In questo periodo di emergenza, si ringraziano gli infermieri, i medici e gli operatori sanitari, ma di coloro che si occupano dell’assistenza personale delle persone con disabilità non autosufficienti nessuno parla
Sono coloro che spesso si svegliano alle cinque o alle sei del mattino per raggiungere l’abitazione di persone con disabilità e gli permettono di alzarsi dal letto, lavarsi, vestirsi, andare al lavoro, uscire, andare ad un concerto o a teatro. Insomma sono essenziali per permettere ad una persona non autosufficiente di fare una vita normale.
Nel migliore dei casi fanno turni giornalieri, nel peggiore sono residenti che staccano solo per poche ore, lavorando sei giorni a settimana di seguito, con una vita sociale quasi ridotta a zero.
Grazie ai loro servizi fondamentali molte persone con disabilità riescono a lavorare e fare una vita piena e attiva. E’ uno di quei lavori di aiuto fondamentali e utili a quelle persone con disabilità che tentano di fare “vita indipendente”, però rispetto ad altre professioni, è una di quelle meno riconosciute, meno menzionate e qualche volta meno pagate.
È un lavoro, il loro, spesso invisibile perché un bravo assistente personale offre i propri servizi in modo discreto, dato che le sue energie sono protese a far emergere le potenzialità del proprio assistito o, per dirla con le loro parole: il proprio datore di lavoro.
Di alcuni di loro abbiamo raccolto delle brevi testimonianze su come stanno vivendo questo periodo di emergenza e che ricaduta ha nel loro lavoro e nella loro vita.
Giuliano:
In pochi giorni ho visto crescere in me un po’ di apprensione. I miei parenti e affini lo vedono anche dal fatto che tento di rispettare forse anche con tanta solerzia tutte le raccomandazioni date per evitare il contagio. Lo faccio perché voglio evitare complicazioni alle persone che assisto, le quali come reddito prendono anche molto meno di me al mese o vivono una vita già compromessa. Il nostro lavoro è anche quello di comprendere chi abbiamo davanti, perché noi come assistenti entriamo di forza nella vita e nei pensieri altrui. E lo voglio dire con vigore: in questo lavoro se non hai questa comprensione non sei qualificato”.
In questi giorni, la maggior parte degli assistenti domiciliari continua a lavorare, perché dalla loro presenza dipende la qualità della vita anche d’intere famiglie. Quando non lo fanno, costringono le persone con disabilità a pensare che l’unica alternativa sia l’istituzionalizzazione, riportando indietro di trent’anni i diritti e le conquiste ottenute.
Chi di loro oggi non ha lasciato la propria attività è evidentemente preoccupato perché alcuni dei “datori di lavoro“ sono persone con disabilità con compromissioni cardio-respiratorie e un contagio potrebbe essere davvero rischioso per loro.
Adriana:
In questo periodo si sta rafforzando sempre di più un rapporto del genere cercando di proteggersi reciprocamente l’un altro”.
Infatti, nella relazione di assistenza personale c’è bisogno di contatto, vicinanza, quotidianità, ciò non permette sempre di mantenere la “giusta distanza” di sicurezza (non solo fisica). Va considerato che parliami di un rapporto di lavoro personale e privato, per cui è lasciata al buon senso di ognuno l’applicazione delle precauzioni.
È il caso di Marina, che normalmente fa turni di ventiquattr’ore:
Evito di uscire quando non è necessario, utilizzo la macchina invece dei mezzi pubblici per andare al lavoro e, quando esco, evito agglomerati di gente… Per adesso ci sono sempre riuscita. Poi mi lavo ogni due secondi le mani, ma le mascherine purtroppo in farmacia non si trovano più”.
Ci sono situazioni “straordinarie” come quelle di Marco e Paolo. Loro da febbraio fanno turni di quindici giorni ciascuno. Sono gli assistenti di uno studente con tetraparesi spastica in Erasmus a Copenaghen per sei mesi. Possiamo immaginare quindici giorni di lavoro intensi, in cui la vita personale non esiste, ma conta solo quella della persona che si sta aiutando. D’altronde il loro lavoro permette ad un ragazzo con un’importante disabilità di vivere un’esperienza di studio in Europa come gli altri suoi coetanei. Fino a qualche anno fa questa reatà sarebbe stata impensabile. Marco oggi è bloccato a Copenaghen, Paolo probabilmente non può partire per dargli il cambio.
Marco:
Siamo un po’ confusi perché nessuno sa bene che fare. Anche l’ambasciata dà informazioni confuse. Solo che abbiamo paura di rimanere bloccati qua. Perché secondo me, a breve. pure qui chiuderanno come l’Italia. Già hanno iniziato, anche se per ora sono tutte raccomandazioni”.
L’Agenzia per la Vita Indipendente, che supporta circa seicento datori di lavoro, il 10 marzo ha diffuso dei suggerimenti su come gestire questo periodo di emergenza, indicazioni su come evitare il contagio e su come negoziare le eventuali assenze.
Alla fine di questa emergenza c’è chi ringrazierà gli operatori sanitari, la protezione civile, chi osannerà i militari. Ma forse in pochi si ricorderanno degli assistenti personali delle persone con disabilità, che stanno responsabilmente continuando a offrire i propri servizi. Non chiamateli angeli, non chiamateli eroi, sono semplicemente professionisti, senza camice e senza uniforme, che dignitosamente fanno in silenzio il loro lavoro.
Articolo di Massimo Guitarrini