Il caso vuole che sia passato un anno da quando era stato affrontato un argomento del genere, senza troppi peli sulla lingua e con tanta ironia. Nel 2014 un nostro articolo elogiava la fantasia e l’intelligenza di certi personaggi che si fingevano disabili pur di accaparrarsi i diritti che ne conseguono – in particolare, di natura finanziaria. Partendo da questo presupposto, si era mostrato come talune caratteristiche siano la rappresentanza di un menefreghismo ben diffuso. In termini quasi grotteschi la medaglia è stata rovesciata, dando una lezione scritta a chi si crede il più furbo dei furbi. Diffuse nel web però queste parole vanno a mischiarsi con innumerevoli articoli e pensieri, filtrandosi e arenandosi solo su un numero esiguo di fruitori. Certo, qui non si crede di avere in mano la verità assoluta, ma c’è la consapevolezza che vi siano ragioni abbastanza salde e fondate da permettere la pubblicazione di un’arringa veemente.
Qualche giorno fa è stata diffusa in rete la notizia di Jake Danna, 23enne di Weymoth (Dorset) che tifa Liverpool, una squadra di calcio inglese. Il ragazzo normodotato è passato alle cronache per essersi presentato ai cancelli di Goodison Park con l’abbonamento da disabile del nonno – campione locale di triathlon – e su una sedia a ruote per assistere gratuitamente ad una partita dei Reds. Una telecamera televisiva l’ha immortalato e dei suoi amici l’hanno sbugiardato al The Sun. Fin qui, nulla di nuovo (e strano). Insomma, non si tratta del primo e – purtroppo – non sarà l’ultimo caso di falso invalido. Questa volta però a colpire sono le dichiarazioni successive al fatto, le quali fanno trapelare tratti sintomatici da ultimo romantico: “Non sono assolutamente dispiaciuto, anzi lo rifarei”, dichiara Jake. Anche la fidanzata, Sheri Cafer, non vede alcuna illegalità: “Il nonno era in vacanza, quindi non vogliamo che venga fatto passare come se avesse rubato il pass”. Ora, leggerla così produce una forte risata di cuore, oltre che tenerezza. Una persona che utilizza la propria genialità per fingersi disabile e andare a vedere una partita di calcio senza pagare il biglietto può fare solo che pena. Si tratta di una persona intraprendente e piena di spirito. I suoi modi di agire però denotano una scarsa applicazione mentale.
Oltre a questo spartito già suonato, vengono fuori altre e nuove considerazioni. Il continuo ed incessante proliferare di finti disabili è dato anche – e sopratutto – da chi chiude entrambi gli occhi di fronte al reato. E’ decisamente improbabile che nessuno si sia accorto che fingeva, oppure che sul tesserino presentato ai tornelli i dati sensibili e le foto del reale proprietario non coincidessero con il presunto disabile. Qualcosa – o qualcuno – ha certamente aiutato. Dunque bisogna criticare quest’arte incompresa dei finti disabili, ma è pur vero che qualche altro essere umano prende in giro un po’ tutti. E non è un concetto da tralasciare nella nebbia dell’ignoranza. Ormai usare la disabilità per ottenere diritti non propri è un malcostume troppo diffuso nella cultura umana. E’ visto come gesto di ordinaria quotidianità, tanto che se notiamo una persona parcheggiata sui posti per le persone con disabilità, viene da tirare dritto. Tanto, si tratta di un gesto consueto e comune. Magari si lancia un’occhiataccia verso il furbetto e basta, senza nessuna denuncia pubblica. Ma in casi più eclatanti – cioè quando vi sono innumerevoli telecamere a riprendere un evento dalle proporzioni notevoli – il mondo sembra indignarsi contro queste azioni, urlando frasi pietistiche e luoghi comuni forzati. Ma se tutti si indignano, perché allora continuano a proliferare questi personaggi bislacchi e patetici? La soluzione sarebbe semplice: invece di indignarsi per alcuni casi – cioè solo per quelli che fanno grande clamore -, condanniamo anche i reati che caratterizzano la nostra quotidianità. Inoltre, le frasi pietistiche sono da abbandonare. L’obiettivo finale è il rispetto dei diritti, non la compassione.
La difesa forzata della ragazza suscita ilarità. Il pass era del nonno, può anche darsi che l’abbia preso in prestito. Ciò che ha rubato è il diritto di una persona con disabilità ad assistere alla partita. E non del parente, sia chiaro, ma di un qualsiasi altro essere umano in carrozzina che quel giorno non è riuscito a godersi la partita allo stadio perché Jack era arrivato prima. La parola diritto sembra ormai un concetto vuoto, superato ed obsoleto. Si arriva a determinare il prendere il posto di… come una giustificazione sensata e conforme alle regole, al fine di ottenere un’agevolazione di cui non se ne ha ragione.
“Lo rifarei”, ha dichiarato. Questo è il nodo centrale della questione. La noncuranza culturale passa anche attraverso queste due parole. La reticenza nel considerare le agevolazioni degli altri conformi ad ogni singolo essere umano rischia di far prevalere l’idea di un sistema sociale inutile e destrutturato, risultando esso stesso patetico. Se esistono determinate disposizioni per le persone con disabilità, rispettiamole. L’indignazione di fondo sta anche nel constatare che certe persone si credano superiori ad altre per il semplice assunto di poter camminare. Se hai un problema motorio, scaturisce la considerazione di avere davanti a sé un essere debole o non conforme alle esigenze della società. Risulta più semplice quindi scavalcare i suoi diritti, appropriandosene indebitamente.
Se volessimo concludere quest’arringa con toni piacevoli, si può immaginare la scena di una persona che incontra Jake Danna. “Ciao Jake, ti ho visto in televisione. Com’è oggi senza carrozzina, ti vergogni?”.
Angelo Andrea Vegliante