Qualche settimana fa, precisamente il 14 ottobre 2016, Sette (settimanale de Il Corriere della Sera) ha pubblicato un breve articolo riguardante lo stato delle case circondariali americane: in questo pezzo, scritto da Massimo Gaggi, è stato sottolineato come «gli Stati Uniti hanno un numero di detenuti molto superiore a quello di tutti gli altri paesi avanzati. Addirittura dieci volte superiore, nel confronto con alcune nazioni europee». Questa circostanza ha determinato un enorme sovraffollamento delle case circondariali a stelle e strisce, che pesa considerevolmente sulle tasche dei contribuenti. Gli statunitensi però non sono gli unici a dover fare i conti con questa ed altre situazioni quanto mai destabilizzanti. Anche in Italia il tema è all’ordine del giorno, tanto che dal 2010 ad oggi la scena politica ha cercato di migliorare la qualità di vita nelle carceri attraverso una serie di riforme improntate, appunto, sul problema del sovraffollamento. Principalmente è stata applicata una strategia a due vie complementari: la costruzione di nuove carceri e l’allargamento di quelle esistenti; l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione. In seguito vedremo se tali operazioni abbiano contribuito alla realizzazione di una soluzione concreta. Prima, però, serve descrivere l’attuale situazione carceraria italiana. E lo faremo utilizzando due dossier, distanti temporalmente l’uno dall’altro di qualche mese.
ASSOCIAZIONE ANTIGONE – Il 15 aprile 2015 Caterina Pasolini pubblica su Repubblica.it un interessante quanto completo approfondimento sulle carceri del nostro paese. Lo scritto parte dal report Galere d’Italia pubblicato dall’Associazione Antigone, il quale consegna una fotografia accurata sulle condizioni degli istituti penitenziari e dei suoi abitanti. Per snocciolare qualche dato, possiamo focalizzarci sui 53.476 detenuti presenti in Italia (numero considerato in crescita), sui 4.000 che non hanno un letto a disposizione e sui 9.000 che non arrivano ad avere neanche 4 metri quadri a testa di spazio. Per consegnare una mappa demografica, la popolazione carceraria italiana è di prevalenza maschile, solo 4.000 le donne. In sostanza, il sovraffollamento è determinato dalla presenza di celle non idonee ad accogliere tutte le persone, e rende angusta e difficoltosa una vita all’interno delle stesse. Tutto questo, com’è noto, ha un costo sulle tasche dello Stato: circa 140 euro al giorno, ben 2.7 miliardi di euro l’anno. Una cifra tre volte maggiore quella spagnola, la metà in più di quella francese. Va sottolineato, però, che solo l’8% del budget viene investito sui detenuti per pagare vitto, corsi, attività o trasferimento, mentre l’80% viene speso per la sicurezza. Vanno anche considerati i percorsi di riabilitazione che portano i carcerati al reinserimento nella società: lavoro ed istruzione. Sul primo punto, solo il 29,73% dei detenuti lavora nelle case circondariali (di cui il 15% ha un datore di lavoro privato) per qualche ora a settimana ad un salario in media di circa 200 euro mensili. Per quanto riguarda l’istruzione, invece, con riferimento all’anno scolastico 2014/2015, nelle carceri sono stati attivati 1.139 corsi scolastici, con 17.096 iscritti e 7.096 promossi a fine anno. Tema delicato invece quello dei suicidi: nel 2015 sono stati poco meno di 7.000 gli episodi di autolesionismo, 43 i suicidi e 79 i decessi definiti per cause naturali (si sono ammazzati 8,2 detenuti ogni 10 mila mediamente presenti). «Il maggiore spazio, il minore affollamento incide sulle prospettive di vita probabilmente grazie a un controllo socio-sanitario maggiore. E migliora anche la vita degli agenti di polizia penitenziaria. Nel 2015 due suicidi contro gli undici del 2014. Conviene a tutti un carcere più umano», sottolinea l’associazione.
DENTRO O FUORI – Veniamo ora a Dentro o Fuori, il minidossier di Openpolis del 10 novembre 2016, ed iniziamo subito con le due strategie impegnate dal sistema politico italiano. Il primo obiettivo (costruzione di nuove carceri e dell’allargamento di quelle esistenti) è miseramente fallito: appena l’11% del budget previsto è stato speso e solo il 37% dei posti aggiuntivi è stato realizzato nei tempi previsti. Il secondo (ampliamento delle misure alternative al carcere) non ha sortito alcun effetto di rilievo. Insomma, sembra non essere cambiato pressoché nulla, anche se c’è un dato che dà conforto: da un sovraffollamento attestato al 151% nel 2010 si è passati all’attuale 108% (in sostanza, l’Italia è il sesto sistema penitenziario più affollato d’Europa). Peggio di noi solo il Belgio (131,10%), la Grecia (119,30%), la Francia (113,90%), la Slovenia (112,70%) ed il Cipro (109,60%). I migliori sono i Paesi Bassi (80,20%). Più in particolare, nel bel paese i sistemi penitenziari più affollati sono la casa circondariale di Brescia (191,53%), Como (181,45%) e Lodi (180%).
Prendendo invece in esame le diverse case circondariali sparse sul suolo italiano, tra il 2009 e il 2011 riscontriamo un alto tasso di suicidi: quasi 60 detenuti ogni anno, a fronte però dei 39 nel 2015. Il metodo di uccisione più frequente è quello dell’impiccagione, seguito dall’asfissia da gas e dall’avvelenamento. Per quanto riguarda invece il reinserimento nella società (lavoro ed educazione), la quota di detenuti che lavora rimane inferiore al 30% e le mansioni offerte difficilmente concedono concrete possibilità di trovare un’occupazione stabile una volta usciti dal carcere. Ma quali sono le maggiori professioni in cui si viene occupati? Sartoria, assemblaggio di componenti vari, falegnameria e call center. Inoltre, va registrato che la partecipazione ai corsi professionali si è dimezzata rispetto ai primi anni Novanta: prima era all’8%, mentre oggi è al 4%. In compenso, è aumentato il numero dei promossi tra i partecipanti, dal 36% del 1992 all’oltre l’80% attuale. Tutto questo, come abbiamo visto precedentemente, ha un costo giornaliero per detenuto: 141,80 euro al giorno, un dato lievitato rispetto al dossier precedente. Per quanto riguarda il budget complessivo, diminuiscono al 7,5% gli investimenti per il mantenimento dei detenuti, mentre aumenta all’82% l’utilizzo di fondi al fine di coprire le spese per il personale.
Da entrambi i dossier presentati ne viene fuori una situazione quanto mai allarmante: pochi investimenti per la cura delle strutture circondariali, basse certezze sul fronte di un futuro reinserimento sociale, un sovraffollamento che non sembra trovare una facile quanto veloce soluzione. Certo, negli ultimi anni il numero dei suicidi è diminuito, ma resta pur sempre un dato presente e non ancora eliminato. Bisogna tener conto che le carceri non sono solo un luogo di detenzione, ma un mezzo per reintegrare i detenuti. I corsi scolastici e professionali sono determinati in tal senso: oggi come oggi rischiano di non essere adeguati alle esigenze di chi, una volta uscito dal carcere, dovrà ricostruirsi una vita. A questo proposito, servono politiche sociali più attente a questi aspetti, volte a promuovere un percorso migliore e meno destabilizzante per i detenuti.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante