Ai Grammy 2018, Kesha ha portato in scena la sua Praying ricordandoci di non fermare la lotta contro la violenza di genere. Abbiamo voluto allargare il discorso prendendo in esame anche i casi di violenze sulle donne con disabilità.
“I’m proud of who I am | No more monsters, I can breathe again” sono solo alcune delle parole contenute in Praying, singolo di Kesha pubblicato lo scorso anno a seguito del suo ultimo album Warrior (2013). Il brano è un inno a continuare la battaglia contro la violenza di genere, quella che sotterra la voce di molte donne ripetutamente colpite da abusi e maltrattamenti.
Sul palco dei Grammy 2018, l’artista americana ha ribadito con carattere e veemenza l’importanza di non tacere di fronte alla violenza, intonando la “Preghiera” assieme a Cyndi Lauper, Julia Michaelis, Camila Cabelo, Andra Dray, Bebe Rexa e al Resistance Revival Chorus. L’esibizione è poi culminata con le lacrime dell’artista e un simbolico abbraccio tra le presenti, facendo il giro del mondo e dei social network (intensificando la campagna hashtag #MeToo).
E non è un caso che sia proprio Kesha a esser diventata una delle portatrici della lotta alla violenza di genere, in quanto fu lei nel 2014 a denunciare il suo produttore discografico, Dr. Luke, di averla drogata, aver abusato emotivamente di lei e aver perpetuato molestie sessuali su di lei. Una battaglia legale che ha visto più volte andare contro le accuse presentate dalla pop star, ma che ha trovato il sostegno – anche economico – di molte colleghe, tra cui Taylor Swift.
Oggi la violenza sulle donne non è un tabù. Se ne parla, ed è un bene che l’argomento venga fuori con grande frequenza, la stessa riguardante i casi di abusi segnalati: vedi il recente caso Weinstein, che ha alzato un nuovo e consistente polverone mediatico in tutto il mondo, rendendo vana la speranza che tali atrocità fossero diminuite.
Più sommerse sono le storie riguardanti le donne con disabilità vittime di maltrattamenti o che hanno riportato una disabilità a causa di abusi e percosse. Un quadro che stenta ancora a decollare, limitando un discorso d’insieme che renderebbe più allarmante il contesto attuale.
Secondo una rivelazione del 2013 effettuata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dal titolo Global and regional estimates of violence against women: prevalence and healt effects of intimate partner violence and non-partner sexual violence, la violenza domestica è la prima causa di morte e disabilità per le donne del mondo. Inoltre, si stima che circa il 42% ha riportato ferite e danni fisici che possono aver causato disabilità permanenti. Ad ogni modo, stilare un rapporto dettagliato è quanto mai articolato. Ad esempio, la quantificazione delle disabilità temporanee o permanenti è definita tra il 40 e il 72%. Questo ampio range certifica la difficoltà di redigere un’analisi precisa, anche perché vi sono diverse tipologie di conseguenze da tenere in considerazione: disabilità fisiche causate dalle aggressioni (come paralisi, deficit sensoriali), malattie organiche (le malattie sessualmente trasmissibili) e malattie psichiche (come la depressione). Tutto ciò è confermato anche dal report Violence Against Women: an EU-Wide Survey dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali, pubblicato nel 2014 e disponibile online.
Un altro mondo nascosto nel sottobosco delle violenze sessuali riguarda le donne con disabilità. Secondo gli ultimi dati ISTAT, il 10% rischia di subire uno stupro (4,7% per le donne normodotate), mentre la percentuale aumenta in caso di comportamenti persecutori, come lo stalking, arrivando al 21,6% (14% per le normodotate). Come mai i rischi raddoppiano in caso di disabilità? Le donne con limitazioni fisiche hanno bisogno di assistenza, di persone che le aiutino nelle faccende quotidiane. Tenuto conto che la violenza domestica perpetuata dai familiari è diffusa, possiamo quindi ipotizzare che tali abusi possano essere causati anche da persone ‘fidate’ o dagli assistenti. In occasione della scorsa Giornata contro la violenza sulle donne (si celebra ogni anno il 25 novembre), è stata evidenziata la presenza di 1.000 casi l’anno di abusi su persone con disabilità mentali e deficit motori.
“‘Cause I can make it on my own” continua il brano di Kesha. Ma è anche vero che uniti contro la violenza siamo più forti.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante