“L’accusa che l’Impero Ottomano commise un genocidio contro gli armeni viene utilizzata come un ricatto contro la Turchia”. A dirlo è Recep Tayyip Erdogan, presidente della nazione turca, dopo il riconoscimento del massacro da parte del governo tedesco. Ankara respinge l’atto come “nullo e mai avvenuto”, ma di fatto la Bundestag ha portato sul piano politico una questione storica vecchia di un secolo, ancora oggi negata e taciuta nel dimenticatoio.
Il genocidio degli armeni fu un vero e proprio massacro organizzato durante il primo conflitto mondiale, con disparati documenti (infondati, secondo la Turchia) che decretarono il totale coinvolgimento dell’allora ministro dell’interno Talaat, il quale creava leggi ad hoc e diede disposizioni dirette a tutti i valì (governatori) sull’organizzazione delle deportazioni, sul recupero dei beni abbandonati e via discorrendo. Dalla fine della guerra, la Turchia ha sempre respinto il termine genocidio e messo in dubbio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni tra il 1915 e il 1916. A questi numeri vanno aggiunti poi altri fattori: per aver salva la vita, bisognava convertirsi all’Islam o diventare dhimmi, cittadini di seconda categoria la cui protezione veniva garantita solo a fronte di un pagamento in denaro; donne e bambini venivano venduti o integrati nelle famiglie musulmane; molti armeni morivano in campi di concentramento, come quello di Ras El Ain, anche se veniva promessa loro la libertà.
Non tutti però erano d’accordo su queste operazioni: da una parte, troviamo personalità come Rechid bey, cresciuto su idee anticristiane e sull’odio nei confronti dei paesi balcanici, colpevoli nel 1912 di aver dato avvio ad una serie di guerre che portarono all’indipendenza di vari paesi (come Serbia e Grecia), con la conseguente disgregazione di una larga fetta dell’Impero Ottomano; d’altro canto, però, vi erano governatori, come Chefik e Hilmy bey, che non ritenevano idonee queste deportazioni, in quanto gli armeni non avevano nessuna colpa. Anche tra la popolazione i sentimenti erano incerti: c’era chi collaborava allo sterminio, chi si disinteressava e chi portava alla salvezza i propri concittadini cristiani. Determinante fu la proclamazione della Grande Jihad, che diede il via a rastrellamenti di carattere non solo politico – eliminare gli armeni dall’economia dell’impero ed appropriarsi dei loro beni -, ma anche in senso religioso: i non musulmani diventano dei giaur (epiteto infamante per designare le altre minoranze religiose), i quali dovevano essere banditi – ed eliminati – dall’impero islamico. Non vi era nessuna possibilità di coabitazione.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, la situazione per i cristiani in terra turca non migliorò. Nell’Anatolia, la popolazione cristiana passò dal 30% all’1%. Chi abbandonava la neonata Turchia, doveva obbligatoriamente lasciare tutti i suoi beni nel paese. Moltissime chiese appartenenti alle minoranze religiose distrutte durante il conflitto, furono sostituite con attività commerciali o luoghi di culto musulmani. Dunque, la decisione del governo tedesco è un risvolto storico importante, considerando anche che la Germania del Kaiser Guglielmo II, in parte, fu complice di questo massacro, ed il silenzio di diversi paesi come Francia, Inghilterra, Unione Sovietica e Stati Uniti (rotto solo da qualche documento indirizzato al sultano di turno) fu corresponsabile di quanto accaduto.
In questo quadro sanguinoso, la musica diventa la portavoce del ricordo. Sono tante le canzoni che rammentano stragi e massacri: ad esempio, Sunday Bloody Sunday degli U2 commemora la domenica di sangue del 30 gennaio 1972 della città nordirlandese di Derry.
I Creative Crimes sono una band romana che vede tra le sue fila Gabriel Wegner, discendente di un importante quanto fondamentale testimone del genocidio armeno: il loro disco, Armin T. Wegner – 1916, ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica su tale fatto dimenticato, negato e poco curato. Per approfondire questo vasto argomento, e conoscere più da vicino l’opera, abbiamo parlato proprio con il cantante della band.
Salve Gabriel Wegner, e benvenuto su FinestrAperta.it. Lei è nipote diretto di Armin Wegner, paramedico e scrittore tedesco. Quest’ultimo è stato testimone del Genocidio Armeno operato dall’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale. Le sue fotografie rappresentano il fulcro di questa fase storica dimenticata e, ancora oggi, negata. Il vostro album, Armin T. Wegner – 1916, porta proprio il suo nome: in che modo raccontate la sua figura ed il massacro armeno?
“Nel modo che mi/ci riesce meglio: attraverso la musica. Mio nonno era un artista poliedrico, scrittore, giornalista, poeta, avventuriero, aveva lo spirito dell’artista dentro di sé, ed è proprio attraverso l’arte e l’amore per essa (è quello che più ci accomuna) che vogliamo raccontare la sua storia, il suo vissuto. Quest’album non vuole avere la pretesa di raccontare il suo pensiero – accessibile a tutti attraverso la miriade di cose che ha scritto riguardo al genocidio armeno prima ed a quello ebraico poi -, ma vuole raccontare una storia, la storia di un uomo come tanti che di fronte ad una cosa così assurda come l’annientamento di un popolo vissuta in prima persona, invece di girare lo sguardo dall’altra parte, ha deciso di dare voce a questo dramma, sacrificando la sua vita, la sua carriera, la sua famiglia la sua nazione e il suo stesso sangue in virtù di un bene comune più grande: la memoria. Ecco di cosa parla l’album, è principalmente un elogio a ciò che un uomo, seppur rinchiuso nella limitata dimensione di essere umano singolo, può riuscire a fare contro tutto e tutti in nome di ciò che è giusto e che egli ritiene moralmente sacro.”
Nella vostra opera è stato dato spazio anche a cantanti di origine armena…
“Si, faremo un duetto con Essaï, un famoso cantante armeno molto seguito in patria e nell’Europa dell’Est, che ci ha fatto l’onore di partecipare al progetto duettando su uno dei brani presenti nell’album che porta il titolo Hidden.”
Siamo davanti ad un pezzo di storia umana dimenticato, oscurato e negato. Anni fa, parlare di questa strage in terra turca era rischioso, la propria vita veniva messa in serio pericolo. Basti pensare al giornalista turco di origine armena e fondatore di Agos, Hrant Dink, arrestato nel 2005 e assassinato nel 2007 proprio per i suoi articoli sul Genocidio Armeno. Quant’è importante il ruolo della musica nell’operazione del ricordo?
“Direi fondamentale, la musica ha un potere enorme, tra le arti è quella più eterea, non è tangibile come un monumento o una scultura, non la si può guardare come un libro o un quadro, viaggia su strutture empatiche completamente diverse, non è materia ma vibrazione. Nel momento in cui l’ascolti è già dentro di te, in realtà è qualcosa che già ti appartiene, e già in passato ha dimostrato di saper scuotere le menti e sensibilizzare le masse su argomenti specifici più di ogni altra invenzione dell’uomo o della natura. Ecco, penso che un tale potere, se usato per ricordare o ancor meglio far venire alla luce realtà sconosciute ai più, possa diventare un veicolo di eccezionale portata.”
Ad inizio giugno, il parlamento tedesco ha riconosciuto la carneficina compiuta dall’Impero Ottomano come Genocidio. Il presidente turco Erdogan ha parlato di “errore storico”, ed ha precisato che i rapporti economici e militari con Berlino sarebbero stati compromessi. Come si sente di commentare queste parole?
“Ciò mi riporta alla mente proprio una frase di mio nonno: ‘Io non accuso il popolo semplice di questo paese il cui animo è profondamente onesto, ma io credo che la casta di dominatori che lo guida non sarà mai capace nel corso della storia di renderlo felice’. Ecco, è incredibile come queste parole scritte a quasi cento anni di distanza suonino lungimiranti. Io credo che sia dovere e libertà di ogni essere umano saper riconoscere e poter ammettere i propri sbagli, soprattutto quando essi risultano essere così evidenti e con così poco margine di dubbio. Ancor di più se tale sbaglio viene esercitato da chi in realtà dovrebbe guidarci, come in questo caso una casta politica, e sostenere una morale comune che inneggi al bene, alla preservazione di ogni cultura umana che rende la nostra storia tanto martoriata quanto al tempo stesso unica e bella, e che ci spinga sempre verso un’evoluzione piuttosto che un’involuzione. Io sono convinto che se non Erdogan, prima o poi la Turchia, soprattutto in nome del suo grande popolo, sarà capace di riconoscere quello che è ormai chiaro esser stato un vero e proprio massacro organizzato. La verità esce sempre fuori con il tempo per quanto si cerchi di tenerla rinchiusa o in silenzio, e sono convinto che il giorno che la Turchia saprà riconoscere tutto ciò, sarà finalmente in pace con la propria coscienza, così come accaduto ai tedeschi per il genocidio ebraico.”
Rispetto ad altri eventi, il Genocidio Armeno è stato per molti anni chiuso nell’imbuto dell’oblio: da una parte, la dirigenza turca ha sempre negato quanto avvenuto durante la Prima Guerra Mondiale, innanzitutto per evitare le riparazioni economiche e sociali in favore degli armeni; dall’altra, la questione non è stata mai presa in seria considerazione dai paesi europei, nonostante il fatto emerse già nel 1916. Secondo voi, come mai ancora oggi si parla di genocidio dimenticato? È un problema che riguarda tutta l’Europa?
“È ormai abbastanza evidente quanto la storia nella maggior parte dei casi sia scritta da chi vince o da chi ha più poteri e mezzi a propria disposizione. Credo che, in questo senso, gran parte della nostra storia per molti versi sarebbe da rivedere e riscrivere. In questa presa di coscienza, nell’essere così inermi ed impotenti di fronte a ciò, ci rimane la non magra consolazione nel sapere che esistono, sono esistiti ed esisteranno uomini che con la propria forza di volontà e senso di giustizia saranno capaci sempre di riportare l’ago della bilancia verso una consapevolezza collettiva di ciò che è vero o falso, di ciò che è giusto o sbagliato; ma soprattutto di avere sempre la capacità, come esseri umani, di mettere in discussione ciò che ci viene dato come assolutamente vero ed imprescindibile. Solo per citarne alcuni come Oskar Schindler, Liu Xiaobo o lo stesso Hrant Dink, o anche appunto nell’impegno armeno insieme a mio nonno, come Anatole France, Fridtjof Nansen, Franz Werfel, Johannes Lepsius, e potremmo continuare ad oltranza. Di solito, sono i grandi strateghi militari i conquistatori, o comunque uomini noti più per la loro attitudine al predominio sull’altro, ad essere ricordati e studiati sui banchi di scuola. Sono convinto che dare più ampio spazio a personaggi come mio nonno in virtù di ciò che hanno fatto, delle loro opere e di quello che hanno lasciato all’umanità, per ciò che noi come esseri umani riconosciamo universalmente come giusto o sbagliato, ci aiuterebbe senz’altro ad evolvere le nostre coscienze in altra direzione. Invece, accade quasi sempre che tali personaggi vengano volutamente o meno lasciati nell’oblio, messi a tacere o dimenticati. Questo per quanto riguarda l’Europa, quanto il resto del mondo.”
Torniamo alla musica. Che diffusione e riscontro vi aspettate da Armin T. Wegner – 1916?
“Il mondo e probabilmente anche Marte. A parte gli scherzi, lo scopo principale di questo progetto è quello di essere una voce in mezzo ad un coro di altre voci che stanno cercando in ogni modo di portare alla luce questa storia e le sue verità. Ciò che ci aspettiamo va di pari passo con ciò che in realtà speriamo, e cioè di essere parte di qualcosa che piano piano ed inevitabilmente sta ormai accadendo su scala globale: una sensibilizzazione verso certe tematiche per capire che siamo tutti parte di un qualcosa e che ne siamo tutti quanti altrettanto responsabili. In questi termini, perciò, non abbiamo assolutamente idea di cosa aspettarci.”
Articolo di Angelo Andrea Vegliante