Sono sempre più i marchi di abbigliamento che dedicano linee specifiche alla clientela con disabilità
Il mondo della moda, con il suo impatto culturale e finanziario, ha la possibilità di essere un forte strumento di inclusione sociale. Tuttavia, le recenti fashion week, da New York a Parigi, hanno evidenziato ancora una volta una carenza di modelle e modelli con disabilità, portando a chiedersi se ci sia la reale rappresentazione della diversità nella moda. Sinéad Burke, attivista per i diritti delle persone con disabilità, sottolinea l’importanza di trasformare il concetto di “adaptive” non solo in riferimento ai modelli disabili, ma estendendolo a tutti coloro che desiderano accesso a capi confortevoli che riflettano la propria personalità. Da anni l’attivista si batte per questo concetto, ricevendo anche i riflettori di importanti riviste di settore come Vogue. Riflettori che, però, hanno una luce intermittente.
Fuori dalle passerelle, la moda adattiva sta guadagnando terreno. Marchi globali come Tommy Hilfiger Adaptive e micro-brand su piattaforme come Instagram stanno creando capi che si adattano alle fisicità non standard e alle disabilità. Piattaforme di vendita online come Zalando stanno anche contribuendo a creare hub adaptive, ampliando così le opzioni di scelta.
Tutte queste scelte hanno dietro un’opportunità economica non di poco conto, con previsioni che stimano un mercato globale dell’abbigliamento adattivo pari a 301,1 milioni di dollari entro il 2028. Questo riflette la realtà, e cioè che il 15% della popolazione mondiale, circa 1,5 miliardi di individui, vive con una disabilità e vorrebbe indossare degli abiti giusti.
In questo contesto, Selva Silvia Barbieri, laureata nel 2021 con una tesi sulla modellistica adattiva per corpi maschili non deambulanti, ha avviato un progetto per sviluppare capi che soddisfino questa crescente domanda. Barbieri è un esempio del cambiamento necessario nel settore, dove la progettazione adattiva può estendersi a una varietà di fisicità, spiegando che tutti abbiamo il diritto elementare di scegliere cosa indossare.
Ad esempio, la stessa Sinéad Burke, attraverso la sua azienda Tilting the Lens, si sta impegnando per fare la differenza partendo dalla creazione degli abiti, sottolineando l’importanza della formazione. In collaborazione con la Parsons School of Design di New York, Burke ha istituito una borsa di studio per dodici designer disabili, promuovendo la loro integrazione nel sistema moda.
In Italia, dove oltre tre milioni di persone vivono con una disabilità, la professoressa e giornalista Anna Zinola, da anni impegnata in questo argomento, sottolinea i problemi nella filiera produttiva. Il problema è a monte: la comunicazione inclusiva è fondamentale, l’inizio del cambiamento, poiché solo un approccio autenticamente integrato può contrastare il fenomeno del “disability washing”, ciò che succede quando in nessun cartellone, in nessuna rivista o passerella, si vedono persone con disabilità, nonostante la palese esistenza all’interno della società. La moda adattiva non è solo una questione di stile e frivolezze, ma una necessità imprescindibile.
(Angelica Irene Giordano)