In questi ultimi anni, la disabilità è divenuta una tematica popolare e condivisibile, meno marginalizzata e ghettizzata in un unico spazio di riferimento. Seguendo l’obiettivo – si spera – di farla entrare nell’immaginario collettivo, oggi questo argomento è oggetto di spettacolarizzazione, delle volte caratterizzato da canoni positivi e genuini, delle altre mercificato come un semplice pacchetto da vendere al miglior offerente. Un esempio indicativo di questa duplice condizione risiede nella televisione, fondamentalmente per la sua peculiarità nell’immediatezza dell’immagine.
Quanto stiamo osservando è un’evoluzione della proiezione della tematiche in sé, dove conduttori e showman mettono in luce la disabilità sotto un importante numero di riflettori, e sviscerandone alcuni argomenti che ne convergono, provando così a ribaltarne la ghettizzazione sociale a cui è sottoposta, fino a raggiungere diversi – e talvolta discutibili – risultati: partendo da Giusy Versace alla Domenica Sportiva, passando per l’esempio di Alex Zanardi citato da Luciana Littizzetto, soffermando l’attenzione sull’apparizione di Ezio Bosso a Sanremo, per poi arrivare alla campionessa Nicole Orlano, ora ballerina di Ballando con le Stelle, questa tematica sembra sempre più essere utilizzata come una merce, un pacchetto di infotainment presente – non costantemente, sia chiaro – nel format televisivo, declamato in metodologie differenti, forse non nuove ed originali, ma agli occhi di molti ancora semplicistiche e superficiali.
Per approfondire questo intricato discorso, ci siamo rivolti ad un esperto del mondo della televisione. Il 7 marzo 2016 Paolo Bonolis è ospite all’Università degli Studi di Roma Tre per affrontare il tema della comunicazione televisiva con gli studenti del dipartimento Filosofia, Società e Spettacolo, nell’ambito di un confronto intitolato La TV che intrattiene. Prima dell’incontro – caratterizzato da un excursus sulla sua lunga attività artistica di successo, seguito poi da un fitto quanto importante e specifico scambio di idee con i giovani presenti in aula -, lo showman ha rilasciato un’intervista a FinestrAperta.it centrata sulle modalità e sui linguaggi utilizzati da questo mass media per raccontare e rappresentare la disabilità nell’immaginario collettivo.
Dopo i casi riguardanti Ezio Bosso a Sanremo e Nicole Orlando a Ballando con le Stelle, ed i meno recenti Braccialetti Rossi e Hotel a 6 stelle, attualmente come la televisione sta argomentando e trattando la disabilità?
“La disabilità viene trattata in televisione come tutti gli altri temi. Ci sono persone che hanno una sensibilità nel trattarla e altre che ne hanno meno. Molto spesso capita che venga sviluppato con un obiettivo commerciale, cioè sfruttando quello che può essere una sensibilizzazione, un patimento nel racconto e nel ricevere il racconto, e trasformando quello che dovrebbe essere un atto di attenzione in un’azione di sfruttamento della diversificazione della vita. Però ci sono altri che invece trattano la tematica con tutte le cautele e le pinze che merita, non perché debba essere esaminata con prudenza, ma semplicemente perché deve essere approfondita con rispetto, quel rispetto che si deve a persone che hanno – purtroppo – una vita diversa dalla nostra, ma che hanno i medesimi obiettivi”.
Rispetto agli anni passati, la disabilità è sempre più un tema popolare, soprattutto in ambito televisivo, dove troviamo un’adesione pietistica nei confronti di questa mondo. In questo caso, si può parlare di mercificazione della tematica?
“Tutto quello che noi viviamo è merce. Lo sono diventati i sentimenti, perché non dovrebbe esserlo la disabilità (purtroppo)? Si, c’è una mercificazione del tutto, perché tutto è commerciale: ad esempio, la notizia amplificata e risonata come se fosse l’ultima data all’umanità. Ogni cosa viene esasperata affinché possa diventare più appetitosa in questo boato generale di affermazioni e di asserzioni. La disabilità è una frontiera parzialmente nuova, marcata con tinte sempre più forti, perché – purtroppo – questo richiede il mercato. La tematica non è solo sviluppata dallo spettacolo televisivo, radiofonico o teatrale che sia, ma la disabilità è analizzata da altri in un silenzio di attenzione che è sicuramente molto più della disabilità stessa, di questa visibilità eccessiva. E peraltro, quando si racconta la disabilità in televisione, è difficile percepirla come tale, è più avvertita come una fiction. Di conseguenza, sembra quasi un qualcosa che non esiste. In realtà la disabilità esiste, ma te lo dico con la serenità di un padre che ha una figlia di tredici anni profondamente disabile. È difficile per chi guarda, non affrontandola in una dimensione naturale, capire realmente cosa possa essere, quindi facilmente si scade nel si vabbé, ma non esiste. In realtà essa esiste, ha delle problematiche importanti, ma regala anche delle gioie bellissime. Consiglio a chi volesse avvicinarsi alla disabilità di non guardare un telefilm, ma di andare in un istituto”.
In termini di linguaggio, la televisione può fare qualcosa in più per trattare questa tematica? Ad esempio cito l’episodio di Ezio Bosso, dove si è visto applaudire prima la persona con disabilità che un grande maestro della musica.
“Il passaggio di Bosso a Sanremo ha avuto un grosso successo non perché lui sia un grande musicista qual è, e non perché sia un disabile, ma semplicemente perché era felice. Ha colpito la capacità che ha la persona con disabilità di affrontare la propria condizione, talvolta per incoscienza, ma tante altre volte per coscienza presa, per l’accettazione del problema, e per la volontà di vita a prescindere, di poter declinare tutto ciò che fa con un sorriso. Credo sia questo che ha colpito il pubblico: non la sua musica, non la sua disabilità che è scomparsa a fronte dell’entusiasmo che ha saputo regalare. Senza dubbio, la televisione può fare di più, ma di tutto si può fare di più, nel racconto, nell’intervento quotidiano, come stato sociale; si possono fare tantissime cose di più. La televisione credo sia una microparcella di divulgazione del problema”.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante