Ieri è cominciata una nuova edizione del Festival di Sanremo. Claudio Baglioni, fra novità di regolamento e tanti ospiti, confeziona una manifestazione inedita. Anche perché, rispetto al suo predecessore, non accoglie le persone con disabilità: la testimonianza di Andrea Turnu.
Non esiste un’estate senza sole, mare ed amici. Non c’è Natale senza tombola, così come è inconcepibile febbraio senza San Valentino e Sanremo. Due santità, per così dire, che celebrano l’amore: uno con particolare attenzione alle coppie, l’altro dedito a un ardore più vasto: quello per la musica. Entrambi, però, sono sempre al centro del dibattito. San Valentino lo festeggio? Sanremo lo guardo? E se non lo faccio, passo per un rivoluzionario o per un acido senza morale e sentimenti? Lo spettro dell’italiano medio è sempre lì, pronto a ricordarci i luoghi comuni del nostro Bel Paese (che non è solo un formaggio).
Tralasciando le frasi fatte e le impuntature, cioè tutta quella sequela di assunti secondo cui Sanremo avrebbe fatto il suo tempo, così come San Valentino sarebbe esclusivamente una ricorrenza consumistica, parliamo del Festival. Ogni anno è di scena uno spaccato sulle nuove tendenze di musica (siamo sicuri?) e spettacolo. Da qualche tempo, però, all’Ariston si affronta anche la disabilità. Ci ha pensato Carlo Conti a scardinare ogni tabù, portando sin dal 2015 (suo primo anno alla guida della Manifestazione) ospiti con disabilità. Ha iniziato invitando in Liguria Sammy Basso, che ha raccontato come affronta la sua patologia viaggiando in giro per gli Stati Uniti, poi è toccato a Ezio Bosso – che ha incantato tutti con la sua abilità al pianoforte – nel 2016 e, infine, ai “Ladri di Carrozzelle” che a suon di Rock hanno aperto la serata finale dell’edizione scorsa. Tre anni, tre patologie diverse fra loro. Un modo come un altro per sensibilizzare il grande pubblico alla diversità, facendo luce su un universo ignoto ai più, durante un’occasione così rilevante per gli italiani e non solo.
Invitarli su un palco era (e resta) la migliore definizione di servizio pubblico, poiché – tra una canzone e l’altra, fra il serio e il faceto – si offre a chi guarda qualcosa di nuovo. L’intrattenimento assume (anche) una funzione pedagogica e sociale. Questa è la vera rivoluzione, semmai, in un contesto ciclico che si ripete stagione dopo stagione. L’esempio dato da Conti nel triennio alla direzione artistica sembrava aver aperto le porte ad una concezione avanguardista della disabilità che, finalmente, non era coinvolta a piacimento solo ed esclusivamente nelle maratone benefiche ma anche in un contesto nazionalpopolare. Quindi, con maggior appeal. Una svolta che pare non abbia minimamente toccato il nuovo direttore artistico Claudio Baglioni.
Il cantante, barra conduttore, barra “capitano coraggioso” (come ama definirsi) nel 2018 ha assunto il timone del concorso: uno scettro del comando con più oneri che onori, dato lo scetticismo che aleggia intorno alla sua figura sin dall’ufficialità dell’incarico. Tante novità, altrettanti stravolgimenti nel contest canoro (via le eliminazioni dirette e la serata delle cover), parecchi ospiti: italiani ed internazionali, selezionati con attenzione. “Alcuni ospiti non hanno portato grandi performance artistiche sul palco dell’Ariston, per loro venire a Sanremo era come fare delle ‘vacanze romane’” ha tuonato l’artista di Centocelle. Dunque, se in Liguria, in questo nuovo corso, non c’è posto per chiunque e tutto ha l’aria di essere una festa per persone selezionate accuratamente, come mai si sono voltate le spalle alla disabilità?
Essere persone con disabilità non dovrebbe fungere da passpartout, non è obbligatorio chiamarle. Tuttavia, resta quantomeno opportuno rispondere ad alcune richieste. Proprio come quella fatta da Andrea Turnu, giovane dj malato di Sla che combatte la sua patologia con la musica. Il ragazzo aveva chiesto in tempi non sospetti a Baglioni di poter intervenire al Festival per parlare di Sla, una condizione che potrebbe riguardare molti e che è ancora poco approfondita. “Non mi hanno considerato, eppure gli autori ci hanno fatto sapere di aver ricevuto il mio appello – dice Andrea – Dagli organizzatori del più grande spettacolo italiano mi aspettavo una certa attenzione verso temi sociali. Ma forse pensano solo al business che gira intorno allo show. Ora comunque hanno una seconda possibilità per dimostrare di avere un po’ di cuore: devolvano una parte, anche minima, del loro cachet alla ricerca contro la Sla. Non ci facciano credere che di tutti noi malati non si preoccupano minimamente” (La Stampa – 7 febbraio 2018). Un silenzio che continua a far rumore anche in mezzo a mille note, perché Sanremo è Sanremo – come dice la canzone – e spesso la noncuranza risuona più di molte melodie. Specialmente in mondovisione.
Articolo di Andrea Desideri