Girano più soldi, ma gli italiani sono più arrabbiati, disillusi e diffidenti. Lo rivela il nuovo Rapporto Censis, di cui abbiamo seguito la presentazione
È stata presentata, al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, la 51° edizione del Rapporto Censis, una delle più attente e precise fotografie dell’Italia, del suo stato di salute e del suo andamento. I dati dello studio si riferiscono all’anno 2016. La presentazione del lavoro si è avvalsa degli interventi del Direttore Generale Censis Massimiliano Valerii e del Segretario Generale Censis Giorgio De Rita. Ecco cosa emerge dallo sudio.
La ripresa economica. Cominciamo con le buone notizie: l’Italia sta uscendo dalla crisi economica esplosa nel 2009. È un fatto assodato, supportato da cifre in positivo: il prodotto interno lordo si attesta ad un +1,7%; i consumi sono in crescita dell’1,3%; l’export +4,6%; le compravendite di abitazioni +2,8%; la produzione industriale +4,1%; gli occupati +1,4%. Gli italiani tornano a investire, con un incoraggiante +4,6%, anche se si tratta in buona parte di investimenti privati, mentre quelli pubblici latitano.
L’industria va bene. Durante gli anni della crisi abbiamo perso più di 100mila aziende e più di 800mila unità lavorative nel settore manifatturiero, ma dopo un lungo processo di ristrutturazione possiamo riscontrare una crescita della produzione che nel 2016 arriva a toccare il 4,1%. Il made in Italy piace: dopo Giappone e Germania, siamo il terzo maggior esportatore nel mondo.
Si tratta di dati di cui rallegrarsi, anche se emerge l’importanza di risolvere tre problemi: investimenti pubblici, dinamica delle retribuzioni e inflazione.
Consumi in crescita e voglia di coccole. Tra il 2013 e il 2016 la spesa complessiva delle famiglie è aumentata di 42,4 miliardi, con un incremento del 4%. Lo studio rivela che queste spese sono legate al cosiddetto “benessere soggettivo”: gli italiani, in pratica, hanno voglia di coccolarsi dopo anni di ristrettezze. Ed eccoli, quindi, spendere per la ristorazione, per la cultura, per l’intrattenimento. Il 78% degli italiani, finalmente, si dichiara soddisfatto della propria quotidianità.
Un paese che si sta rimpicciolendo. Il dato più preoccupante – e la sfida più importante che dovremo affrontare – è la diminuzione della popolazione. Lo scorso anno siamo scesi sotto la soglia dei 500mila bambini nati, non era mai successo nella storia italiana. Non solo c’è il problema della fertilità e della denatalità (gli italiani fanno meno figli o non ne fanno affatto), ma sta venendo meno anche il contributo degli immigrati. Il Rapporto Censis, infatti, evidenzia come le donne straniere, tradizionalmente più inclini a generare prole, si stiano adattando allo stile di vita italiano. Uno stile di vita di cui pagheremo le conseguenze: la popolazione è sempre più vecchia, non c’è ricambio generazionale, non c’è sufficiente manodopera per garantire i servizi e non c’è chi può prendersi cura di questo crescente esercito di anziani. A tutto questo sommiamo il fatto che sono tanti i giovani che abbandonano la patria per tentare fortuna altrove.
Per chiarire l’entità della riduzione del peso demografico, facciamo un raffronto: nel 1951, i giovani (cioè quella parte di popolazione con meno di trentacinque anni) erano il 57%; oggi ne rappresentano solo il 35%. Gli anziani (ovvero le persone con più di 65 anni) erano 622mila; oggi sono 4 milioni. I centenari sono passati da 165 persone alle odierne 20mila.
Un risultato di questo fenomeno è che oggi i giovani italiani non contano. Rappresentano un bacino elettorale così scarso, che il mondo della politica non è interessato a loro, con il conseguente avvio di un circolo vizioso di disaffezione e scarso coinvolgimento nella vita sociale.
Un territorio devastato e trascurato. L’Italia è fragile, negli ultimi settant’anni i disastri naturali sono costati 10mila vittime e 290 miliardi di euro di danni economici. Questo perché manca la cultura della prevenzione, ma non solo, manca anche quella della manutenzione. L’esempio lampante è la nostra rete idrica nazionale, che presenta perdite del 39%. È evidente che se avessimo avuto delle strutture più efficienti, la scorsa estate la siccità avrebbe avuto un impatto decisamente meno pesante.
L’Italia del rancore. Abbiamo iniziato questa analisi evidenziando come, dal punto di vista economico, il Paese registri cifre positive. Al contrario di come si possa immaginare, però, la felicità degli italiani non va di pari passo con la maggiore disponibilità di denaro. Cresce il fenomeno del cosiddetto “rancore sociale”, un sentimento misto di paura, risentimento, amarezza, che avvelena le esistenze e influisce negativamente sulla società. L’83% degli italiani pensa sia difficile salire di posizione nella scala sociale; il 65% teme di retrocedere. In difesa di quella piccola felicità riconquistata con la ripresa economica, l’italiano medio tende ad innalzare muri e rimarcare le differenze: ecco così che l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani. È una crisi immateriale, quella che stiamo attraversando, non più finanziaria, ma percepita visceralmente. Rancore e nostalgia sono i sentimenti ricorrenti che traspaiono dallo studio.
La sfiducia è un’altra protagonista: l’84% degli italiani non si fida dei partiti politici; il 76% del Parlamento; il 70% delle istituzioni locali. Non deve sorprendere, dunque, il successo del populismo e del sovranismo.
Le nuove icone. Concludiamo questa panoramica sulla nostra società prendendo in analisi i valori della popolazione. Il mito degli italiani, il punto fisso, irrinunciabile, è sempre stato il lavoro. Oggi non più, al primo posto tra gli interessi dei giovani ci sono i social network, il lavoro scala in seconda posizione, seguito a ruota dallo smartphone; segue la cura del corpo (dai tatuaggi alla chirurgia estetica) e solo dopo il conseguimento di un buon titolo di studio. Specchio di un mondo che cambia e di cui dovrebbe far tesoro chi sarà chiamato a guidare il Paese fuori dalla crisi economica, ma soprattutto sociale, che stiamo attraversando.
Articolo di Manuel Tartaglia