Il film ispirato all’omonimo libro di Jojo Moyes utilizza espedienti drammatici per raccontarci la disabilità e alcuni argomenti a essa legati, come l’eutanasia. Quale immagine ne viene fuori? La nostra recensione
Io prima di te (Me Before You) è una pellicola del 2016 diretta da Thea Sharrock che narra le vicende di Louisa “Lou” Clark (Emilia Clarke), ragazza ventiseienne di in una tipica cittadina della campagna inglese. Per aiutare la famiglia, Lou passa da un lavoro a un altro, fino a che non viene assunta come assistente di Will Traynor (Sam Claflin), giovane e ricco banchiere completamente paralizzato a causa di un incidente.
L’arco narrativo della storia ruota attorno i sei mesi di lavoro che Lou passerà con Will, durante i quali diversi aspetti della disabilità vengono messi in risalto. Approfondiamone alcuni.
Il dogma della diversità. Will Traynor si mostra da subito un personaggio introverso e scostante, incapace di creare relazioni umani stabili a seguito dell’incidente che lo ha paralizzato. Elementi rimarcati anche quando appare la sua ex fidanzata: Will mostrerà il suo odio nei confronti della sua condizione, che ha portato la sua vecchia fiamma a troncare di netto la relazione e scegliere un nuovo partner. Inoltre, in più di un’occasione, il giovane utilizzerà la disabilità per mettere in risalto quanto sia un argomento difficile da affrontare, come fosse un tabù. Toni drammatici che richiamano l’intreccio della vicenda, la scelta di Will di ricorrere all’eutanasia in quanto insoddisfatto della sua nuova vita. Legittime quindi le caratteristiche drammatiche della pellicola, ma esasperanti nel voler affrontare la disabilità come una condizione che può procurare estrema infelicità a tutte le persone che hanno una forma di disabilità.
Il ruolo dell’assistente. Fin dagli inizi, sfugge il ruolo di Louisa: è una semplice assistente o una caregiver a tempo pieno? Se si tratta di un’assistente, perché si è scelto di creare questa figura lavorativa totalmente nuova? Nel film, è presente un caregiver specializzato nelle cure fisiche di Will, mentre l’obiettivo dell’assunzione della ragazza è rallegrare le giornate del ricco banchiere: in pratica, fargli da amica. Una scelta che può far emergere alcuni tratti negativi, come il limite della disabilità nel creare rapporti umani, quando il vero artefice del suo discostarsi dalle persone è Will. Per questo, l’assunzione di Lou sembra essere forzata e discutibile, a tratti pietistica nei confronti della persona con disabilità.
La controversa questione dell’eutanasia. È il perno centrale della storia: Will ha dato sei mesi ai suoi genitori per abituarsi all’idea che volerà in Svizzera per effettuare l’eutanasia. La sua neoassistente lo scopre e tenterà il tutto per tutto per fargli cambiare idea. L’attenzione dello spettatore viene messa di fronte a un bivio: eutanasia, sì o no? Ovviamente, i toni drammatici espressi dalla pellicola accentuano l’idea che la vita sia sacra e vada rispettata in ogni condizione. D’altro canto, però, la figura di Will è l’unico baluardo in grado di reggere chi è a favore di questa pratica, ed è forse questa la critica più forte che si può fare: tutti sono contro l’eutanasia, l’opinione di Will non interessa a nessuno. La pellicola prova a mantenere un equilibrio lucido sull’argomento, ma i toni drammatici non aiutano ad affrontare l’argomento, inquadrando l’eutanasia come una scelta deprecabile e disumana.
Probabilmente siamo troppo abituati a Quasi Amici, Dietro la maschera e La teoria del tutto. Sta di fatto, però, che parlare della disabilità attraverso una produzione cinematografica è sempre più complesso: se prima era un tabù, oggi c’è il rischio di drammatizzare troppo la condizione di chi è costretto su una carrozzina. Certo, in quanto film drammatico, Io prima di te utilizza espedienti tali per gonfiare certe caratteristiche, le quali però fanno emergere una visione troppo negativa della disabilità. C’è da chiedersi se il problema sia nella sceneggiatura o nella scelta quasi costante di raccontare la diversità esclusivamente con toni drammatici. Forse sarebbe meglio cambiare tendenza.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante