Gli assistenti vocali si rivelano utilissimi per le persone con disabilità, ma non sono in grado di comprendere chi ha una disartria. Davide Mulfari sta cercando di ovviare al problema, ma ha bisogno dell’aiuto di più persone possibili con problemi del linguaggio, chiamati a donare la propria voce tramite la sua app gratuita CapisciAMe
L’efficente Siri, il servizievole Google Assistant e la zelante Alexa sono i più famosi. Parliamo degli assistenti vocali, servizi che permettono di interagire con smartphone, consolle per videogiochi, televisori, elettrodomestici vari e soprattutto con i popolari smart speaker. Agli assistenti vocali, per mezzo della voce, si può chiedere di tutto, dall’indirizzo della pizzeria più vicina al risultato di un’operazione matematica, dal farsi raccontare una barzelletta alle informazioni meteo. Oltre a questo e molto altro, ciò che rende davvero utile questa tecnologia è la possibilità di interagire con il proprio ambiente domestico: accendere le luci o regolare la temperatura di casa tramite un semplice comando vocale, può rappresentare la conquista dell’autonomia per molte persone con disabilità motoria.
La brutta notizia è che l’intelligenza artificiale degli assistenti vocali ha i suoi limiti e tende a non riconoscere comandi impartiti in maniera incerta o non correttamente pronunciata. E così, ad un comando semplice ma non bene scandito come “Fammi sentire della musica”, potremmo ricevere come risposta un frustrante “Non ho capito, ripeti”.
È un inconveniente a cui sono abituate le persone con disartria, disturbo neurologico che coinvolge la componente motoria del linguaggio e che provoca una inefficace capacità di articolazione dei fonemi con pesanti conseguenze sull’intellegibilità dell’eloquio. Il parlato dei soggetti disartritici risulta di ostica comprensione per le persone ed è inaccessibile anche ai riconoscitori automatici integrati negli assistenti virtuali presenti in commercio.
Davide Mulfari vive il problema personalmente e si sta impegnando per risolverlo. Trentaquattro anni, ingegnere informatico, da almeno sette anni si occupa di ricerca nel settore delle Assistive Technologies ed ha all’attivo alcune decine di pubblicazioni scientifiche. Da sempre appassionato di tecnologie informatiche, cerca nuove applicazioni che possano migliorare le condizioni di vita delle persone con disabilità.
“Malgrado molti tentativi da me fatti, né Assistant di Google, né Alexa di Amazon e né Siri di Apple mi comprendono”, racconta Mulfari a FinestrAperta.it. “Questo mi impedisce di utilizzare tutti gli strumenti di controllo automatico dell’ambiente domestico che i dispositivi, tra le tante cose, permettono e che per me, che ho gravi problemi motori, sarebbe di grande aiuto. Per esempio, questi assistenti virtuali consentono con un solo comando vocale di spegnere/accendere una luce o un qualunque elettrodomestico o alzare/abbassare una tapparella”.
Davide Mulfari utilizza tecnologie aperte di intelligenza artificiale disponibili gratuitamente, cercando di trovare per esse un campo di applicazione diverso da quelli per cui vengono solitamente utilizzate: “L’obiettivo del mio lavoro è quello di far sì che gli assistenti virtuali presenti sul mercato possano comprendere anche il linguaggio di tutti i disartrici permettendo loro di usufruire di tutte le possibilità che attualmente sono loro negate. Attualmente sono impegnato con il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa, coordinato dal professor Luca Fanucci, in un progetto di ricerca che utilizza l’intelligenza artificiale per riconoscere il parlato delle persone con di disartria. Migliorare la capacità di questi sistemi nel riconoscere il parlato dei disartrici è diventato per me un obiettivo veramente importante. Sto provando ad utilizzare le potenzialità dell’intelligenza artificiale per addestrare una rete neurale che sia in grado, in una prima fase, di riconoscere un numero limitato di parole al fine di riuscire ad utilizzare i comandi base di un assistente virtuale”.
L’ingegnere sta provando a dimostrare che è possibile utilizzare l’intelligenza artificiale per riconoscere il parlato di persone con problemi gravi di linguaggio. Per fare questo ha bisogno del contributo di molte persone con questo tipo di problema, pertanto ha sviluppato l’app CapisciAMe, che è liberamente e gratuitamente scaricabile dal Play Store di Google. L’app consta di due parti: donazione parole e riconoscimento delle stesse. Per la prima parte, l’app è già in versione definitiva; la parte di riconoscimento sarà tanto più efficace quanto maggiori saranno i contributi vocali ottenuti”.
La partecipazione delle persone con disartria è fondamentale per la riuscita del progetto, come lo stesso Mulfari spiega: “Se riuscirò a raccogliere sufficienti contributi, la parte di riconoscimento dell’app stessa servirà a dimostrare la fondatezza o meno delle mie ipotesi. Se invece non riuscirò ad avere le voci il mio lavoro sarà inutile. Se tutto andrà nel migliore dei modi auspicabili, questo progetto mostrerà ai produttori di assistenti virtuali presenti in commercio, che la strada per estendere i loro servizi anche alle persone con disartria o con disturbi gravi del linguaggio esiste ed è facilmente praticabile”.
È una vera chiamata a donare, quella di Davide Mulfari. Donare non soldi, tempo o servizi, ma semplicemente la propria voce. In una sezione di CapisciAMe vengono proposte delle parole ed il compito del donatore disartrico è semplicemente quello di ripeterle più volte nel modo per lui più spontaneo. Una demo su come l’app funzioni è disponibile, al momento in inglese, su YouTube. “Questi contributi vocali”, spiega l’ingegnere, “vengono registrati sul telefonino e sono trasmessi al mio sistema via rete. Con essi io addestrerò la rete neurale presente sui miei computer. Successivamente le persone che hanno collaborato potranno utilizzare la seconda parte della stessa app CapisciAMe, e ripeteranno le stesse parole con le quali hanno svolto l’addestramento. Il sistema verificherà automaticamente se è in grado di effettuare un riconoscimento efficace e misurerà il livello di precisione raggiunto”.
Articolo di Manuel Tartaglia