L’esperienza di una giovane attivista con disabilità in uno scambio culturale promosso da Enil
La European Network on Independent Living (Enil) ha lanciato un appello nei mesi scorsi coinvolgendo giovani attivisti con disabilità desiderosi di fare la differenza. L’organizzazione ha selezionato quattro giovani impegnati nel movimento per i diritti delle persone con disabilità e nell’auto rappresentanza della condizione fisica o mentale, offrendo loro l’opportunità di trascorrere una settimana all’estero, sponsorizzati da Youth Leadership Programme (YLP) di Enil.
Durante la settimana all’estero, che si è svolta tra luglio e dicembre 2023, i partecipanti hanno avuto l’occasione di immergersi nella cultura, nelle leggi e nelle politiche relative alle disabilità e alla vita indipendente del paese ospitante. L’obiettivo era quello di comprendere da vicino il lavoro e l’impatto delle organizzazioni ospitanti, acquisendo una conoscenza approfondita dei diversi metodi e approcci all’attivismo.
Una delle caratteristiche distintive del programma è stata la partecipazione in prima persona degli attivisti, che hanno condiviso le proprie competenze e conoscenze attraverso diari, blog e altri canali di comunicazione.
Il programma non solo ha promosso la formazione pratica, ma ha anche contribuito alla costruzione di legami duraturi tra i giovani attivisti disabili, creando una rete che si estende oltre i confini territoriali e che contribuisce all’avanzamento continuo dei diritti delle persone con disabilità in Europa.
Una redattrice di FinestrAperta.it, Elisa Marino, è stata scelta per partecipare al programma e qui racconta entusiasticamente la sua esperienza.
Elisa, come sei riuscita a partecipare?
“Ho partecipato al progetto mandando il mio curriculum e una lettera di presentazione. C’erano quattro posti disponibili ed io sono stata scelta per andare in Irlanda nell’associazione Independent Living movement Ireland (ILMI, Movimento per la vita indipendente d’Irlanda)”. Le altre destinazioni possibili erano l’Albania, la Finlandia e l’Ungheria. Il progetto è nato per coinvolgere dei giovani disabili di altri paesi europei e mostrare le proprie realtà associative”.
Quali sono state le tue attività durante queste giornate?
“Ho partecipato agli incontri online del progetto Voice, un canale comunicativo per spiegare alle persone disabili gli strumenti legali di cui dispongono per tutelare i propri diritti. Ho partecipato anche alla riunione del gruppo di lavoro del Programma collettivo ILMI Housing, che si occupa di garantire alle persone con disabilità l’accesso ad alloggi accessibili. Con Damien, l’amministratore delegato, ho avuto la possibilità di presenziare a incontri con politici e altre associazioni su temi quali l’occupazione lavorativa delle persone disabili, l’istruzione inclusiva e l’imminente riforma irlandese riguardante i benefici economici loro previsti. Soprattutto, ho partecipato al lancio del Piano strategico, preparato da ILMI per i prossimi anni. Piano lanciato dallo stesso Ministro della Disabilità irlandese.
Era un po’ uno scambio: loro mostravano a noi come lavoravano nell’ambito dei diritti delle persone disabili e noi portavamo quello che sapevamo. Capire come funziona il loro mondo associativo e fare uno scambio di buone pratiche, questo è davvero utile. Ho potuto esprimere la mia opinione e soprattutto la mia visione che arrivava da un paese molto distante dal loro”.
Hai notato tante differenze fra i due paesi?
“Il loro è un mondo associativo completamente diverso dal nostro. Si basa e funziona mediante il coinvolgimento in prima persona delle persone con disabilità, qui in Italia è un po’ più difficile. Io mi sono ritrovata in un’associazione che si occupa di Vita Indipendente e in quel periodo abbiamo parlato della loro lotta – il motivo per cui sono nati e che è ancora in corso -, del far rispettare pienamente il diritto all’assistente personale. Ho partecipato anche a degli incontri con dei politici irlandesi sul tema delle pensioni sull’invalidità e sembravano molto interessati a quello che si stava dicendo.
Eppure, è incredibile; in Irlanda su alcuni aspetti sono più avanti di noi, ma su altri potremmo insegnare loro molto: da loro ancora esistono alcune scuole ‘speciali’ per i bambini disabili. Noi siamo sicuramente più avanti nell’inclusione, ma nella loro capacità giuridica e legale noi abbiamo moltissimo da imparare. In Italia invece non siamo sicuramente perfetti, ma possiamo dirgli cosa abbiamo sbagliato e cosa abbiamo fatto bene, così che prendano da noi solo il meglio. Noi siamo precursori, le nostre norme sono belle, però non sempre ben applicate nella realtà. Loro hanno deciso di aderire alla Convenzione con più calma, volevano vedere se il sistema avrebbe retto. Da un certo punto di vista sono stati saggi.
Quindi sì: siamo molto diversi, ma anche molto simili. Quello che cerchiamo di raggiungere è la stessa cosa, anche se siamo partiti da due punti differenti”.
Cosa ti ha colpito particolarmente?
“Mi ha fatto riflettere molto l’uso delle parole: in Irlanda non utilizzano il termine ‘persons with disability’ (persone con disabilità), ma ‘disabled persons’, che non vuol dire esattamente ‘persone disabili’ ma è un termine che dà più valore ed esprime meglio il fatto che la disabilità non è una condizione del corpo, proprio come è scritto sulla Convenzione dei diritti delle Persone con disabilità dell’Onu. La disabilità non è una caratteristica della persona, ma più che altro è una condizione esterna alla persona stessa”. Se non ci fossero barriere di qualsiasi tipo nell’accessibilità, non parleremo di disabilità in questo modo. “Se dovessimo proprio tradurlo in italiano, forse suonerebbe come ‘persone disabilitate’”.
Questa esperienza cosa ti ha lasciato?
“Questa esperienza mi ha mostrato una realtà molto simile, ma anche molto diversa dalla mia. Mi ha fatto capire ancor di più l’importanza dello scambio di buone pratiche a livello europeo. È stato possibile scambiare informazioni reciprocamente utili e metodi operativi e legislativi utilizzati nei nostri Paesi. Torno a Roma con nuove idee su come affrontare i problemi che esistono qui per le persone con disabilità.
Senza il lavoro, l’accessibilità, la capacità giuridica, l’istruzione… non c’è il diritto di prendere decisioni indipendenti per sé stessi, né la possibilità reale di essere parte attiva della società.
Il lavoro di ILMI si basa sul coinvolgimento diretto delle persone disabili. Vedere come lavorano insieme alla stesura dei documenti e alle iniziative da realizzare è stato emozionante come poche cose lo sono, considerando quanto hanno realizzato.
La settimana con ILMI mi ha cambiato in meglio, come attivista e come persona. Mi ha permesso di riflettere sull’assistenza personale, aiutandomi a vederla, più di quanto già non facessi, come uno strumento per potenziare la persona che la riceve. Non dimenticherò mai il colloquio con Fiona, membro dell’associazione, incentrato sulla domanda ‘Perché dobbiamo cercare di essere normali?’. Dobbiamo essere noi stessi e lottare per far riconoscere i nostri diritti. In ILMI ho trovato un nuovo gruppo di colleghi e mentori”.
Un’ultima domanda: in base alla tua esperienza di vita e quella vissuta con ILMI, cosa avresti voluto per te da bambina?
“Io sono nata a Roma nel 1993, ho una disabilità esclusivamente motoria da quando sono nata e avrei voluto un sistema più inclusivo, ma realmente inclusivo. Perché noi persone con una disabilità non siamo ‘speciali’, come spesso ci sentiamo dire. L’essenza della persona non cambia con o senza la disabilità. E soprattutto avrei voluto che la società avesse potuto educare i miei genitori a questa situazione, nonostante nell’imprevisto in cui si sono trovati – personalmente mi ritengo fortunata -, sono stati bravi.
Noi persone disabili ancora sembriamo da proteggere, più che da spronare. Ma è questo il momento in cui dobbiamo uscire dal guscio, nel limite delle nostre possibilità. Bisogna lottare per l’autodeterminazione, bisogna imparare che autonomia significa sapere anche quando aver bisogno di aiuto e chiederlo. Parlando con gli altri e ascoltando sé stessi. E, cosa non meno importante, ma spesso data per scontata, esigere che tutti i diritti vengano rispettati”.
(Angelica Irene Giordano)