Il Servizio Sanitario pubblico italiano è stato per anni il fiore all’occhiello di un welfare state evoluto e strutturato. A volte invidiato e spesso preso come modello da imitare dalle politiche sociali di molti paesi europei, il nostro Servizio Sanitario è arrivato addirittura a farci sgomitare con la Svezia nella contesa del primato di efficienza delle politiche sociali. Tuttavia, a causa della crisi economica e dei tagli alla spesa pubblica ad essa collegati che non hanno risparmiato il settore salute, questo record sembra essere un lontano vessillo.
Il rapporto pubblicato lo scorso 8 giugno dal Censis in occasione del Welfare Day, infatti, fotografa una situazione profondamente mutata in tema di ricorso a prestazioni mediche e percezione del servizio sanitario. Secondo lo studio, gli italiani di oggi sarebbero attenti alla propria salute ed in questa spenderebbero anche più di prima, toccando la vetta di 34,5 miliardi di euro. Tali spese, però, sono affrontate dai cittadini autonomamente: laddove il servizio pubblico si mostra insufficiente o lento, infatti, sono le strutture private l’alternativa a cui sempre con più frequenza gli italiani si stanno rivolgendo. Non è un caso che a commissionare l’indagine sia stata la Rbm Assicurazione Salute, una società assicurativa che, per l’appunto, offre polizze a copertura delle spese sanitarie.
La principale motivazione di questo cambio di tendenza, secondo la ricerca del Centro Studi Investimenti Sociali, è rappresentata dalla lungaggine dei tempi: il 72,6% degli italiani che si è rivolto a cliniche o strutture private per curarsi lo ha fatto a causa delle lunghe liste di attesa, ed il 30,2% si è rivolto alla sanità privata attratto dall’elasticità di orario offerta dai laboratori, gli ambulatori e gli studi medici privati, aperti anche nel pomeriggio, la sera e nei fine settimana. I costi di queste prestazioni, inoltre, talvolta superano di poco quelli del ticket del Servizio Sanitario Nazionale. Lo sgretolamento progressivo e le conseguenti ridotte garanzie delle prestazioni offerte dal Sistema Sanitario Nazionale hanno però conseguenze più drammatiche quando guardiamo alle fasce più deboli del nostro paese. Di fronte ad un’attenzione ed una spesa media più alta in salute da parte di una grande parte della popolazione italiana, c’è anche un numero crescente di persone che rinuncia a curarsi: i giovani, che non possono fare affidamento su lavori fissi e che per certi versi nemmeno percepiscono la salute come diritto sempre garantito, e gli anziani, la fascia notoriamente più debole della nostra economia. Questi, scoraggiati dalle lunghe attese, e non potendo rivolgersi a strutture private, spesso rinunciano a curarsi. Allo scoramento generale fa da specchio la mutata percezione che i nostri connazionali hanno della qualità del Servizio Sanitario Nazionale. L’indagine del Censis ha, infatti, rilevato che per ben il 45% degli italiani, la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni e che il 52% degli italiani considera inadeguato il servizio sanitario della propria regione.
La Ministra della Salute Lorenzin, interrogata in merito, mentre constata che il Sistema Sanitario deve fare i conti con la grave crisi economica che le famiglie stanno vivendo, ha ammesso l’evidenza della necessità di difendere l’aumento previsto del Fondo Sanitario per il 2017-2018, concludendo con la sibillina metafora “Deve essere chiaro a tutti che non si possono fare le nozze con i fichi secchi”. Non resta che sperare che questi fondi siano stanziati e proficuamente investiti.
Articolo di Irene Tartaglia