Il 12 aprile 2017 la Camera ha approvato il decreto “Minniti-Orlando” in merito all’immigrazione – a fronte di 240 voti a favore, 176 contrari e 12 astenuti. Quella che ormai è a tutti gli effetti una legge prende il titolo dai nomi del ministro dell’Interno, Marco Minniti, e del ministro della Giustizia, Andrea Orlando. L’iter burocratico del testo è stato particolarmente veloce: accettato nel febbraio dello stesso anno, il 29 marzo c’è stata la convalida del Senato, ed è passato attraverso la mozione di fiducia – quindi, le opposizioni non sono potute intervenire sul testo, neanche per proporre emendamenti.
Il decreto contiene le “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” e si può riassumere in quattro punti principali: l’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro diniego; l’abolizione dell’udienza; l’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari; l’introduzione del lavoro volontario per i migranti.
In sostanza, nel primo grado di giudizio verrà applicato il rito camerale senza udienza: il giudice prenderà visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti la commissione territoriale, senza però rivolgere domande al candidato. Quest’ultimo, inoltre, ha solo una possibilità per convincere il giudice della sua richiesta di asilo e – con l’abolizione del secondo grado di giudizio – potrà fare ricorso solo in Cassazione, invece dei consueti tre gradi come previsti dall’ordinamento italiano.
I centri per il rimpatrio, che passano da Cie a Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio), saranno aumentati da quattro a venti, uno per ogni regione, per un totale di 1600 posti. Ogni struttura sarà di piccole dimensioni, con una capienza massima di 100 persone, e sorgeranno lontane dalle città e vicino gli aeroporti.
CRITICHE E PREOCCUPAZIONI – Molti giuristi e studiosi del settore hanno criticato ampiamente il nuovo decreto, definendolo contrario a quanto riportato dalla Costituzione Italiana e dalla Convezione europea sui diritti dell’uomo. In particolare, i punti violati sarebbero l’articolo 111 della Costituzione (il diritto a un giusto processo) e l’articolo 6 (il diritto al contraddittorio) e 24 (il diritto alla difesa) della Convezione europea.
Anche le associazioni di settore si sono dette molto preoccupate riguardo la normativa. «Decisioni più tempestive sulla protezione internazionale sono nell’interesse dei richiedenti asilo ma, – ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente Amnesty International Italia – la celerità non deve portare a una limitazioni dei diritti e delle garanzie procedurali». Sempre Amnesty International Italia, questa volta in una nota pubblicata sul sito, ha espresso forte apprensione «circa l’adeguatezza della procedura camerale con solo uso della videoregistrazione dell’intervista, unita all’abolizione del secondo grado di appello, a una materia che può portare ad esporre un individuo a gravi rischi per la vita e l’incolumità personale. A tale riguardo, […] si potrebbero ravvisare aspetti discriminatori rispetto al diritto a un rimedio effettivo tra cittadini e stranieri, che derivano dall’abolizione del diritto d’appello rispetto alla decisione del tribunale in materia di protezione internazionale».
Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste, si allinea a quanto detto fino ad ora e rilancia: «Assicurare un ricorso effettivo ex nunc comporta che il giudice debba ascoltare il richiedente asilo, fargli delle domande e andarsi ad ascoltare le fonti: cioè esaminare tutti gli elementi di fatto e di diritto, non solo una videoregistrazione».
Anche Caritas non si dice soddisfatta, soprattutto verso i centri d’accoglienza: «Si torna al vecchio binomio immigrazione&sicurezza – ha affermato a Radio Vaticana il responsabile immigrazione della Caritas, Oliviero Forti -. I Cie, purtroppo non riescono a svolgere la funzione per cui sono nati, risultano molto costosi e sono spesso oggetto poi di comportamenti fortemente lesivi dei diritti delle persone. Non crediamo che l’idea del ministro dell’Interno, di distribuirli per tutto il territorio con centri più piccoli, possa essere in alcun modo la soluzione per far fronte a un tema che è quello della presenza di molti irregolari che andrebbe affrontata, a nostro avviso, partendo da serie politiche di immigrazione ed eventualmente anche di regolarizzazione».
I MIGRANTI – La legge è stata discussa velocemente per trovare una soluzione all’accoglienza dei rifugiati che, dalle loro terre colpite dagli orrori della guerra, partono su barconi in condizioni disumane per cercare riparo in Europa. Siamo soliti parlare di “invasione” o “emergenza”, ma la realtà è che il numero di extracomunitari approdati sulle nostre coste comincia a diminuire. Secondo i dati raccolti da UNHCR (The UN Refugee Agency), se nei primi nove mesi del 2015 c’è stato un boom di migranti (520.000), nel 2016 gli sbarchi sono calati considerevolmente (300.000 e poco più), ma aumentanti rispetto al 2014 (216.054). Situazione analoga anche in Italia: prendendo in esame i primi cinque mesi del biennio 2015/2016, il numero dei rifugiati approdati sulle coste dello stivale differenzierebbero di circa 1000 persone (46.714 nel 2016 contro i 47.463 del 2015).
Ma da dove partono tutte queste persone? Con riferimento all’anno 2016, troviamo principalmente individui provenienti dalla Nigeria (15%), dal Gambia (10%), dalla Somalia (9%), dall’Eritrea, dalla Guinea e dalla Costa d’Avorio (8%). Calano invece gli arrivi dei siriani. Ognuno di loro fugge dal proprio paese d’origine per motivi dannosi per la vita umana: ad esempio, in Eritrea la dittatura del presidente Isaias Afewerki causa l’assenza di libertà civile e politica, oltre all’obbligo di servizio militare per donne e uomini dai 17 anni (con possibilità di durata illimitata); in Somalia è in corso una guerra civile, dominata dagli attacchi terroristici dei miliziani di al-Shebaab; in Nigeria ci sono le incursioni di Boko Haram. Comunque la si voglia commentare, “a casa loro” non sembra essere la risposta più consona per aiutare questi esseri umani. Neanche questa nuova legge.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante