Questo vuole essere un articolo diverso. Visto che questa parola viene sempre accostata al mondo del sociale, mettiamola come base per l’incipit: questo è un articolo diverso. Ma sapreste dire che significa “diverso”? Nel vocabolario possiamo leggere: “di cosa o di persona molto differente in rapporto a quello che era o in raffronto ad altra cosa o persona”. Se dunque la mettiamo così, tutti siamo diversi. E la diversità non è intesa come un gender sociale: normodotato, disabile, omosessuale, transgender, e via discorrendo. Ma, nel bene o nel male, siamo tutti diversi: c’è a chi piace la montagna e a chi il mare; c’è chi preferisce il calcio e chi il basket; c’è chi ha la passione di studiare e chi decide di voler subito lavorare. Non sono anche queste delle diversità?
Bisogna ammetterlo. Molto spesso negli scritti dei giornalisti e nelle comunicazioni della società ci soffermiamo sulla parola “diversità” intesa come valore fisico. Non nascondiamolo, “l’occhio vuole anche la sua parte”. In tanti lo abbiamo pensato e in molti lo pensano ancora. Ormai la domanda “Come possiamo abbattere queste barriere mentali?” sembra retorica allo stato puro.
Come spiegare in modo semplice un concetto spesso frainteso ed enfatizzato sotto un punto di vista imposto dalla società? Andrea Lucchetta propone un interessante progetto: “Il sogno di Brent”, un film andato in onda su Rai 2 il 1 dicembre 2013 in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità. In poche parole: Brent è un ragazzo con la passione per la moto, ma un brutto incidente lo porta all’amputazione di entrambi gli arti inferiori. Oltre allo shock emotivo e psicologico, il ragazzo ritrova se stesso grazie allo sport. Tra le varie personalità nel cartone animato, spicca fra tutte Giusy Versace che nella sua autobiografia “Con la testa e con il cuore si va ovunque” racconta la sua discesa negli inferi della mente per poi rialzare la propria voglia di riscatto grazie allo sport.
Poca pietà e poca enfatizzazione nel film: la verità nuda e cruda di un ragazzo che deve imparare ad accettare il suo nuovo fisico, costretto e diviso ad accettare se stesso e, purtroppo, anche il giudizio degli altri. Già, perché chi dice che sei diverso, alla fine, sono sempre gli altri. In un forte climax di abbandono psicologico e grande forza di volontà, Brent è la rappresentazione animata di quanti credono che il diverso sia il fisico. Se analizziamo bene la storia però, notiamo un’analogia con altre opere: il personaggio principale subisce un duro colpo, un conseguente contraccolpo psicologico, ma trova nella sua volontà la forza per andare avanti. Non sembra un filo conduttore tipico della maggior parte dei film?
Ma allora cosa c’è di diverso realmente? Possiamo nasconderci dietro il valore diverso inteso come assenza di un arto? Al ragazzo mancano due gambe certo, ma la storia non vuole concentrare pietà su cosa significa essere disabili e suscitare amarezza per chi “è meno fortunato”. Anzi, l’idea è che la diversità sta nel come si affrontano i problemi, i quali però non descrivono una persona. Ognuno può essere descritto forte, egoista, tenace, pignolo, responsabile, creativo, impulsivo, divertente, permaloso, egocentrico. Il termine “disabile” diventa però parte di questo gruppo. Ma allora perché non far entrare anche la parola “normodotato”? Evidentemente, la società non vede il normodotato come un’entità diversa.
L’argomento è profondo e contiene spunti diversi a cui aggrapparsi. Si rischia di fare confusione e questo non aiuta. Così resta solo che concludere con dei punti cardine da cui ripartire grazie a questo film.
Brent vuole essere un messaggio rivolto a tutti: alla società che vede nel disabile un peso, un poco di buono; a chi usa troppo la parola “diverso” in base al colore della pelle, al sesso e alle gambe; ai ragazzi, che ogni giorno restano tappati in casa per colpa del giudizio degli altri. Ecco, questi sono alcuni messaggi.
Ma il “Brent” più importante viene trasmesso dal personaggio stesso. Sotto gli occhi pieni di pietà dei medici, dei familiari e degli amici, il ragazzo decide di ribellarsi, gli risulta difficile accettare più quanto sta accadendo intorno a lui che quanto è cambiato nel suo corpo. Gli altri lo guardano con compassione e amarezza. Senza ricordarsi però che “le persone si guardano negli occhi, non nei loro problemi”.