Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l’insueto allor gaudio ravviva
Quando per l’etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de’ Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta
Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell’onda”.
La poetessa greca Saffo prende parola in prima persona, rivolgendosi alla notte ormai morente e a Venere, la prima stella; nei versi successivi dice come non le provochino piacere le bellezze della natura, ma solamente le manifestazioni più aspre di questa, come il tuono. Leopardi, in questo canto composto nel maggio 1822, sottolinea come Saffo non ami le bellezze della natura poiché non accetta la sua condizione ed il suo aspetto. In contrasto con tutto ciò che è intorno. Saffo, ovviamente, è solamente un simbolo – così come lo era Silvia – che sta ad indicare una condizione di dolore tipica dell’intero genere umano. Vivere non riuscendo ad accettarsi, l’eterna lotta tra amore (verso sé stessi e gli altri) e natura. Razionalità e istinto, due opposti che, nonostante l’usura del tempo, continuano ad attrarsi l’un l’altro generando eterni conflitti. Aprirsi verso qualcosa di nuovo e sconosciuto, per mettersi alla prova, perché, sotto la pelle, il richiamo della natura si fa sentire. Sempre più forte. Fino a non poter essere più nascosto o tenuto a bada. Quell’attrazione verso l’altra, così diversa e allo stesso tempo uguale a te, divora l’anima fino a sgretolarla perché magari sono ancora troppe le domande lasciate senza risposta.
E’ così che può sentirsi una donna lesbica, che sceglie Saffo come modello non solo perché la letteratura e la storia lo impone, ma perché si ritrova a lottare con quegli istinti inspiegabili inizialmente che portano ad amare il segno di un rossetto, lasciato scivolare sulla guancia di prima mattina, piuttosto che l’odore del dopobarba di un uomo. Un conflitto perenne, che si insinua interiormente, e trova ancor più linfa quando ci si mette a discutere di uguaglianza e diritti: lì sì che – allo stesso modo della musa leopardiana – torna il concetto di “ospite sgradita” e “dispregiata amante” in un contesto incapace di accogliere qualsiasi novità, poiché schiavo della paura e del pregiudizio. Eppure, malgrado i vari exploit di Giovanardi e colleghi secondo cui: “Gli organi dell’uomo e della donna sono stati creati per certe determinate funzioni. E non è altrettanto naturale il rapporto tra due uomini o due donne” e quindi: “Ma a lei, onorevole, che effetto farebbero due ragazze che si baciano alla stazione? Giovanardi risponde: “A lei che effetto fa se uno fa pipì? Se lo fa in bagno va bene, ma se uno fa la pipì per strada davanti a lei, può darle fastidio”, qualcosa in Italia si sta muovendo. Basti pensare all’iter legislativo che il Governo sta mettendo a punto per riconoscere le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Ciò che rimane nell’ombra è, però, qualcosa di ancora più torbido. Infatti, se dopo molti anni – persino le istituzioni – sono state in grado di sedersi attorno ad un tavolo e parlare di unione, il quid che rimane insoluto è la violenza. Come è noto, affrontare argomenti così delicati non è mai facile, tuttavia col tempo abbiamo imparato a familiarizzare (ahinoi) con il concetto di “femminicidio” e di “stupro” attraverso cronache e giornali. L’approccio al problema, però, è sempre unilaterale: un uomo che infierisce su una donna. E se, invece, la violenza avvenisse fra due donne? Giovanna Camertoni – fondatrice del “Centro Antiviolenza di Trento” – spiega: “Il fenomeno della violenza agita all’interno delle relazioni di intimità tra persone dello stesso sesso risulta inoltre scarsamente indagato, spesso ridotto a mero conflitto o ritenuto inesistente da parte delle stesse lesbiche. Le strategie di occultamento della violenza maschile sulle donne sono le stesse che agiscono nei confronti del lesbismo e i messaggi che noi produciamo per contrastare tale fenomeno possono involontariamente contribuire a consolidare l’idea che tra persone “pari” (quali possono essere due donne o due uomini) questo fenomeno non esista, silenziandolo ulteriormente a discapito di chi ne è vittima”.
Scoprirsi lesbiche nella nostra società vuole dire a volte affrontare un momento drammatico di confusione e avere un vissuto di anormalità, l’incontro con l’altra donna che si dice lesbica e che si assume questa identità è uno strumento di visibilità che rafforza l’identità di entrambe. Arriva il momento in cui Saffo grida, andando contro ogni paura e impedimento, che deve e dovrà essere sottolineato, cosicché dietro alle ferite non si celi l’oblio.
Articolo di Andrea Desideri