Renato Pozzetto ed Ezio Greggio. Negli anni Novanta, precisamente nel ’92, escono al cinema con Infelici e contenti; un film che, tra una battuta e l’altra, affronta il tema della disabilità (argomento delicato in Italia) e sceglie di farlo attraverso una coppia di attori decisamente inedita. Cinque anni dopo, nel ’97, Tarantino – made in Usa – mette insieme Robert De Niro e Samuel L. Jackson in Jackie Brown.
Il lato comune delle due pellicole non sta nel genere, non sta negli attori e non lo ritroviamo nemmeno nella composizione dei luoghi. Ciò che accomuna questi due film è la stravaganza e l’azzardo, due aspetti che li rendono unici entrambi. L’azzardo di affrontare temi scomodi usando generi e paradigmi differenti: il traffico di armi negli States (piaga che esiste ancora oggi) e la disabilità in Italia (con cui dobbiamo ancora imparare a fare i conti totalmente). La stravaganza, aspetto non meno importante e basilare, di scegliere due protagonisti che già da soli basterebbero a sé stessi: cavalli di razza – abituati a divorare la scena – costretti a dividersi il set. Oneri e onori. Alla pari, non emerge nessuno in particolare, per lasciar spazio alla visione d’insieme. Una bella prova, soprattutto se da una parte c’è Samuel L. Jackson – l’eroe nero (accezione che sottolinea in primis la malvagità dei ruoli e non la sua composizione epidermica) di Tarantino – e dall’altra De Niro, quello che con Taxi Driver ha sfiorato un Oscar (perso, poi, ai danni di Rocky IV).
Per questo, Tarantino, malgrado ce la metta tutta (ma proprio tutta) non potrà mai fare un altro JB. Gli altri suoi sette film son belli, capolavori, ma non unici. Jackie Brown dimostra come smontare una fonte di guadagno e d’attrattiva – le armi – tramite l’avarizia e l’incoscienza degli americani stessi, che preferiscono i soldi a scapito di qualsiasi cosa. Persino delle vite umane. Stessa cosa vale per Neri Parenti, che smonta il finto buonismo attorno al mondo del terzo settore (dove dietro l’inclusione del diverso si nasconde l’avarizia di chi lucra per denaro). Farsi belli sorridendo sul dolore e la precarietà altrui, è questo che si legge negli occhi di Jackie – costretta a fare il tramite dell’illegalità, perché la vita le ha riservato solo tanta amarezza – .
L’aspetto del riscatto arriva nel finale del film, dove Jackline Brown riesce ad incastrare i suoi sfruttatori riuscendo pure a rifarsi una vita con chi ama. Neri Parenti – così come Quentin – affida ai titoli di coda il lieto fine: l’indipendenza motoria e mentale trionfa sempre, nonostante gli ostacoli e i franchi tiratori. Quest’elogio squallido dell’indecenza viene portato avanti in maniera sferzante e mai banale, facendo risaltare ferite aperte che, tuttavia, sfuggono ai più: la difficoltà di una strada impervia per chi vive su due ruote – quindi, la mancanza d’accessibilità – piuttosto che la facilità di reperire un’arma che, così come il porno, in America è accessibile a tutti. Infatti, le pubblicità di armi sono fatte da pornostar. Particolare su cui il regista statunitense, nel suo film, si sofferma volutamente.
Non mancano le citazioni: da Taxi Driver a Coffy in Jackie Brown, passando per The Blues Brothers in Infelici e contenti. Siamo di fronte a due affreschi che rendono la scelleratezza del quotidiano accettabile, mantenendo, però, quell’amarezza di fondo. Quella molla che si solleva nell’animo di chi guarda, capace di restituire una piccola (illusoria?) speranza nel domani. Ecco perché film così sono una rarità. Il cinema prende spunto dallo spettacolo della vita, perciò – a volte – un’ora e mezza di girato può svegliare le coscienze più di mille discorsi. Basta solo esserne consapevoli.
Articolo di Andrea Desideri