Il disturbo da gioco d’azzardo patologico è un fenomeno diffuso e pericoloso, su cui però lo Stato chiude spesso un occhio
Il gioco è un elemento arricchente nella vita degli esseri umani, un momento di leggerezza e di condivisione con gli altri. Capita a volte che, però, si possa trasformare in qualcosa di diametralmente opposto, facendoci passare dal divertimento alla sofferenza. È in questi casi che parliamo di disturbo da gioco d’azzardo patologico, una vera e propria dipendenza assimilabile a quella per le droghe, in grado di distruggere la vita di chi ne è affetto e di chi lo circonda.
Riccardo Zerbetto, medico psichiatra, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta per adulti, negli anni Settanta ha aperto il primo centro per le malattie sociali del Comune di Roma, è stato tra i primi a introdurre l’utilizzo del metadone, che all’epoca era quasi fuorilegge; consulente per il Ministero della Salute, negli anni Ottanta ha firmato il decreto che istituiva le comunità di recupero; il suo primo congresso sul gioco d’azzardo risale al 2000, anno in cui è tra i fondatori dell’associazione Alea, associazione scientifica per lo studio del gioco d’azzardo; recentemente ha dato vita a un programma sperimentale intensivo di recupero in Toscana. Decisamente la persona giusta per capire di più sulle cause di questo fenomeno, sul suo impatto e sulle possibili cure.
Dottor Zerbetto, è corretto parlare di ludopatia?
“In realtà è un termine che dagli operatori è contestato perché contenendo la parola ‘ludus’ (‘gioco’) sembra quasi addolcire il problema e sottovalutare il fatto che ci si può fare molto male”.
Qual è dunque il termine più indicato per descrivere questo fenomeno?
“La comunità scientifica lo descrive come ‘disturbo da gioco d’azzardo patologico’”.
Cosa porta determinate persone a manifestare questo disturbo?
“Le motivazioni possono essere molteplici e per analizzarle è necessaria una lettura di stampo bio-psico-sociale. Non è mai stato dimostrato che esista un ‘gene del giocatore’, ma ci possono essere degli elementi di predisposizione. Solitamente queste sono persone inquiete, sempre alla ricerca di novità, di eccitazione, con difficoltà a concentrarsi su impegni e doveri, spesso alla ricerca del successo facile, che non comporti molto impegno. Molte volte sono influenzate dal vissuto familiare, da genitori assenti o troppo permissivi.
C’è poi un importante condizionamento della società: se vediamo tutti i giorni Affari Tuoi, è chiaro che ci faremo un’idea distorta di come ci si possa guadagnare da vivere. Viviamo in una società consumistica sotto la costante illusione della svolta dietro l’angolo e in soggetti più fragili questi input possono portare a veri e propri disturbi.
Dal punto di vista scientifico, possiamo dire che è una questione di dopamina, una sostanza prodotta dal cervello legata al piacere. Il giocatore compulsivo non è in grado di produrre da solo la dopamina perché è abituato a farlo giocando. Va da sé che se smette di giocare vivrà una condizione di infelicità, che assomiglia molto all’astinenza di chi si droga”.
Come possiamo distinguere il giocatore sano da quello patologico?
“La patologia del giocatore si vede soprattutto nell’eccesso. Si dice che il gioco sociale sia quello che non dovrebbe andare oltre il 6% del reddito. Superato questo limite col lotto, il videopoker, il gratta e vinci, il casinò, le lotterie, le slot machine, i cavalli e altri tipi di scommesse, allora abbiamo un problema.
Un altro segno caratteristico del giocatore patologico è quello di non essere in grado di fermarsi: se vince, continuerà a giocare per ripetere l’emozione appena provata; se perde, vorrà comunque continuare per rifarsi della sconfitta”.
Quali sono le caratteristiche di chi soffre di questa dipendenza?
“Il giocatore d’azzardo patologico è spesso assente, nervoso, distratto. Costantemente impegnato nel cercare di recuperare i soldi persi, non dorme, è irascibile. Preso da una specie di sindrome di astinenza se non gioca, pensa che facendolo risolverà i propri problemi, mentre in realtà i suoi problemi derivano proprio dal gioco. Ci sono molti tratti in comune con chi è dipendente dell’eroina, che da un lato gli provoca piacere, ma dall’altro lo caccia sempre più nei guai. Riassumendo, il giocatore non è mai una persona tranquilla”.
Giocare di per sé non è un’attività insana. Qual è l’atteggiamento giusto per non incappare nella dipendenza?
“Giocare per divertirsi va benissimo, il problema è quando ci si illude di giocare per vincere, magari acquistando uno schema vincente, studiando le statistiche dei cavalli o i sistemi del lotto… Bisogna essere consapevoli del fatto che con il gioco d’azzardo si perde in partenza: sulla tua partita ci devono guadagnare lo Stato, l’esercente, l’industria del gioco… È evidente che si tratti dell’investimento peggiore che qualcuno possa fare”.
Qual è la posizione dello Stato rispetto a questo problema?
“Questo è un eterno problema. Già nei tempi antichi, in cui la Chiesa condannava fortemente il gioco d’azzardo, era comunque concesso praticarlo durante le festività. Questo perché? Perché lo Stato è sempre a corto di denaro e questo è un modo per tassare i cittadini in maniera ‘dolce’. Il fatto è che a fronte di questo guadagno ci sono comunque delle spese perché molte persone, anche non abbienti, perdono i pochi soldi che hanno e si indebitano andando poi a rivolgersi alla malavita per poter sopravvivere. La conseguenza è che si va a foraggiare la microcriminalità. Quindi possiamo affermare che è un indotto che non è produttivo.
Alcuni Stati tentano di intervenire con leggi proibizionistiche, ma non è un metodo che funziona, come si è visto con l’alcol negli Stati Uniti. Anzi, così si alimentano ancora di più le attività illecite. Bisogna trovare un buon equilibrio, cominciando col non promuovere il gioco d’azzardo”.
Parliamo di dati: quanto è diffuso il gioco d’azzardo in Italia?
“Gli italiani giocano molto. C’è stato poi un forte incremento dal 2020 con l’arrivo del Covid, quando molte persone si sono ritrovate da sole a casa e si sono rivolte al gioco online. Nel 2022 il giro d’affari intorno al gioco d’azzardo è arrivato a 53 miliardi di euro”.
Come possiamo aiutare una persona affetta da gioco compulsivo?
“Se riconosciamo in qualche persona le caratteristiche che abbiamo descritto pocanzi, dovremo essere noi ad aiutarla perché è molto difficile che lei venga a chiedere aiuto a noi. Anzi, come tutti gli altri soggetti che hanno una dipendenza, molto probabilmente negherà di avere un problema.
Visto che recentemente il gioco d’azzardo patologico è stato riconosciuto ufficialmente come una malattia, ci si può rivolgere ai SerD (Servizi per le Dipendenze), dove ci sono operatori adeguatamente formati per proporre terapie individuali o di gruppo. Stanno anche emergendo dei servizi sperimentali intensivi della durata di circa tre settimane specificamente dedicati a questi problemi, come quello che ho da poco avviato in Toscana e che è stato riconosciuto come molto efficace. Certo, ci sono casi di persone che giocano da più di vent’anni e in quei casi ci vorranno degli interventi più lunghi e intensi. Il programma prevede psicoterapia di gruppo e la ricostruzione della vita sociale ed economica.
Quello che viene richiesto a una persona affetta da questo disturbo è la sincerità: deve uscire dalla menzogna, ammettendo i propri errori e prendendosi le proprie responsabilità, altrimenti se continuerà a mentire a se stesso e agli altri, non andrà da nessuna parte”.
Se conoscete qualcuno in difficoltà, invitatelo a chiamare o chiamate voi stessi il Telefono Verde Gioco d’Azzardo: 800 558822.
(Manuel Tartaglia)