Satira è l’anagramma di risata, è un genere della letteratura, delle arti e della comunicazione, caratterizzata dall’attenzione critica alla politica e alla società, mostrandone le contraddizioni e promuovendo il cambiamento. Molti l’associano banalmente alla comicità popolare, ma quando si vuol fare satira l’intento è quello di provocare un sorriso che faccia riflettere. Non siamo di fronte a qualcosa di consueto, quando assistiamo alla performance di un monologhista, siamo dinnanzi ad un’architettura artistica fatta di parole e ragionamenti che sfociano a volte nell’ilarità più amara e consapevole del pubblico. In Italia la fanno molti, o almeno ci provano, ma a darle un senso sono veramente pochi. Si confonde, infatti, il cabaret con la stand up comedy: trattasi di due facce della stessa medaglia. Chi fa cabaret esprime leggerezza, il più delle volte attraverso contenuti studiati precedentemente e rimaneggiati successivamente da autori e scrittori che supportano l’artista. Lo stand up comedian, invece, propone suoi scritti e pensieri – sotto forma di monologhi – senza imporsi limiti o maschere di sorta. Da qui deriva anche il termine stand up comedy: quel tipo di arte caratterizzata esclusivamente dal microfono e l’artista sul palco, senza ulteriori ausili se non quello della dialettica. Giorgio Montanini è forse una rarità nel nostro Paese: i suoi monologhi sono sferzanti e originali, vale a dire che non ti strappano un sorriso parlando di consuetudini e luoghi comuni, bensì scarnificano le convinzioni dell’italiano medio andando contro gli stereotipi. Quello che ne vien fuori è un caleidoscopio di emozioni che, qualche volta, fanno discutere. Creano dibattito, in maniera aspra e non convenzionale. Tant’è che, questo genere di comicità satirica, in tivù si vede poco (tivù pubblica e generalista, ovviamente, perché Sky propone certi contenuti già da molto tempo e non solo di matrice italiana). Lui, però, è talmente bravo da esser riuscito a far trasmettere in Rai un suo programma: ‘Nemico Pubblico’ che da tre stagioni caratterizza la seconda serata di Raitre. Abbiamo parlato con lui, ci ha raccontato qualcosa in più della sua attività artistica che spazia tra teatro e televisione, strizzando l’occhio anche al cinema e alla letteratura (prossimamente).
Tu sei uno stand up comedian, uno che non ha paura di proporre monologhi scomodi, secondo te qual è la situazione odierna della satira in Italia?
Moltissimi riescono a passare un’estate intera indossando le ciabatte infradito, le trovano comodissime. Per quanto mi riguarda, dopo due minuti le butterei nel secchio della spazzatura. Le calzature più scomode mai indossate. Per i miei monologhi è la stessa cosa: alcuni li considerano scomodi, alcuni ci si trovano perfettamente a loro agio. La satira fa esattamente questo, divide il pubblico su ogni argomento che affronta. La satira altro non è che un punto di vista originale, ben strutturato e dalla logica ferrea. Che puoi condividere oppure no. La situazione della satira in Italia? Lo sai benissimo, siamo l’Iran della satira.
Tu sei l’unico – dopo anni – che è riuscito a portare un certo tipo di comicità in Rai: il fatto che vai in onda alle 24 è sinonimo di paura da parte dei vertici o perché proprio le tue argomentazioni non sono adatte alla prima serata?
Faccio la seconda serata perché alla mia prima trasmissione in assoluto, anche se alla terza stagione, sarebbe stato folle mandarmi direttamente in prima. Nessuna paura da parte della rete anzi, coraggio nell’aver sperimentato per prima. La tv di stato che per prima sperimenta la stand up comedy satirica in questo paese, le fa onore. Ho fatto la copertina di Ballarò per due puntate, in primissima serata con gli occhi di tutti puntati addosso, gli argomenti trattati e lo stile mi hanno soddisfatto molto. Ovvio che la prima serata permette meno elasticità, ma qualcosa di buono si può fare anche in quel contesto. Certo è che se ci fosse una tradizione di mezzo secolo come in America o resto d’Europa, la stand up e la satira in prima serata avrebbero minori resistenze. Da pioniere televisivo assoluto, incontro anche la diffidenza tipica nei confronti della novità.
Nei tuoi monologhi ti sei scagliato spesso contro la società e gli stereotipi, ritieni che un sorriso amaro possa valere più di un sermone dei benpensanti?
I sermoni, in generale, valgono poco. Chi li fa solitamente si eleva al di sopra delle parti e si deresponsabilizza. Non credano esistano persone che possano farlo. La satira e i sorrisi che ne conseguono, in realtà non valgono nulla. Tranne per chi sale sul palco e chi si fa una bella risata. La satira, come tutte le forme artistiche in generale, hanno solo un effetto: la catarsi. Quella sorta di sensazione liberatoria e purificatrice che si prova dopo aver partecipato ad uno spettacolo teatrale (con valenza artistica naturalmente). La comicità serve solo a stare un po’ meglio e sentirsi meno soli. L’abisso che il comico porta sul palco è molto spesso lo stesso che vivono gli spettatori. Non opera nessun cambiamento strutturale di una società, quello è compito della politica. La più nobile tra tutte le occupazioni. Se le persone si aspettano che la satira possa cambiare qualcosa resteranno deluse, 2500 anni di storia insegnano che nemmeno un comma di una legge è stato modificato grazie ad Aristofane, Lenny Bruce o George Carlin. Dobbiamo essere molto più esigenti, severi e attenti con i politici. Invece in Italia i comici vengono presi sul serio e i politici a barzelletta. Questa confusione ha fatto danni enormi, un comico ha fondato un partito e la gente l’ha votato. Un dramma democratico.
Te la prendi spesso con i comici “alla Brignano”, ma se avessi la possibilità di affrontare una trasmissione tipo ‘Zelig’ non sarebbe una sorta di “atto rivoluzionario” per uno come te? Avresti l’occasione di proporre nuovi canoni alla comicità standard…
Occorre fare una precisazione, altrimenti non riusciamo ad inquadrare bene l’oggetto del contendere. Quella che noi italiani consideriamo “comicità standard”, in realtà non lo è in nessun altro paese del mondo. La comicità può essere satirica (in percentuale più bassa) oppure pop (in percentuale più alta), in entrambi i casi si tratta di arte. La comicità è un’arte. L’arte non è mai reazionaria o stereotipata, non si basa su luoghi comuni o cliché. L’arte è sempre originale. Robin Williams, Bill Cosby, lo stesso Letterman, non sono di certo comici satirici, ma la loro originalità e qualità, li rendevano comici straordinari. Brignano e la carovana delle nostre trasmissioni comiche, propongono una comicità stereotipata e basata su luoghi comuni inaccettabili e beceri. La comicità da “sgrosso”, quella puerile e quasi improvvisata nei villaggi vacanza. Ecco qual è il problema, noi abbiamo elevato a comicità nazionale, quella che dovrebbe essere comicità da villaggio vacanza. Sembra strano non accorgersi che veniamo da Troisi, Benigni, Manfredi, Chiari, Tognazzi…e ci ritroviamo a fare un monumento a Zalone. Banfi mi piace moltissimo, ma un suo film non ha mai incassato un millesimo di Zalone. I nostri film di Natale erano Amici miei, Non ci resta che piangere e Brutti sporchi e cattivi. Ci manca la memoria, quando non ricordi il sapore del filetto rischi ti possa piacere anche il cibo per gatti.
Nelle edizioni passate di ‘Nemico pubblico’ abbiamo visto persone con disabilità prendere parte agli sketch: l’irriverenza può aiutare a distaccarsi da certi tabù?
La cosa, che più di tutte, fa sentire diverso un individuo con delle caratteristiche fisiche o psichiche che non fanno parte di quella che noi consideriamo e abbiamo battezzato “normalità”, è trattarlo diversamente dagli altri. Noi abbiamo fatto una candid camera con un attore disabile, David Anzalone, nella quale il cattivo era l’handicappato. Cattiveria perpetrata a danno di chi l’ha trattato diversamente. Sono dell’opinione che un disabile possa essere una testa di c****, così come può esserlo un gay o un ragazzo di colore scappato dalla guerra. Un conto è tutelare i diritti delle persone che non possono vivere in un mondo a misura dei “normali”, un conto è trattarli come se non fossero individui. Spersonalizzarli. Un disabile testa di c****, se viene messo a conoscenza del suo essere testa di cazzo, potrebbe stare meglio insieme agli altri (come qualsiasi testa di cazzo che cerca di migliorare) e con se stesso. Qualsiasi tabù impigrisce le menti.
Hai fatto uno spettacolo “Per quello che vale”, ce ne parli un po’?
Solitamente il titolo dei miei spettacoli era già una sorta di indizio, una piccolissima anticipazione di quello che avresti visto a teatro. Per la prima volta, invece, ho scelto un titolo che fungesse più da vademecum satirico. Sembra arrogante e presuntuoso detto in questo modo, ma in realtà è l’esatto contrario. Tantissime persone, soprattutto ragazzi giovanissimi, mi scrivono o mi dicono “Grazie per quello che fai! In Italia abbiamo bisogno di persone come te, altrimenti non cambierà mai nulla”. Ecco trovo che dire questa cosa ad un comico, sia la cartina di tornasole della condizione in cui versa il nostro paese. I ragazzi sperano possa essere un comico a cambiare le cose, non sperano nei politici e nella classe dirigente, sperano in una persona che sta peggio di loro. Ho sentito il bisogno di precisare, da lì il titolo, che la satira non ha questo potere, non risveglia le coscienze e non cambia le persone. La satira ti fa stare solo un pochino meglio. Quindi alla fine dello spettacolo, magari ripetendo un passaggio che al pubblico è rimasto impresso, invito tutti ad aggiungere… per quello che vale.
Sono riusciti anche a fare una tua parodia: sul Web gira “Giorgiu Mundanini”, come vive le parodie un satiro come te?
Ci ho pensato, non mi viene in mente nessuna parodia di altri comici. A memoria mia, ma potrei sbagliarmi, la parodia di un comico non l’ho mai vista. Se ci pensi è quasi paradossale… un comico che viene parodizzato. L’ho presa come un enorme riconoscimento. Brignano non ha nessuno che lo imita. Quando un altro comico decide di imitare o fare la parodia di un personaggio, è perché quel personaggio ha acquisito un minimo di rilevanza sociale. La mia non è di certo riferita alla popolarità, non mi imitano perché sono popolare, mi imitano perché quello che faccio è del tutto estraneo alle nostre abitudini comiche, quello che faccio è associabile solo a me. Peculiare. Non che io sia l’unico a fare questa comicità, ma com’è giusto che sia, hanno riscontrato un’unicità. Che per un artista dovrebbe darsi per scontata. Non ho paura possano copiarmi un monologo, perché qualsiasi monologo io abbia scritto parte dalle mie esperienze personalissime ed è cucito addosso a me e al mio stile. In sintesi, mi fa enormemente piacere la mia imitazione (si lo so è una parodia).
La stand up comedy si fa nei locali, resterà sempre un genere di nicchia oppure troverà sempre più spazio nel mainstream per te?
Se intendi “nei locali” per dire che è relegata ad un numero di persone che non supera le 150 unità, ti sbagli. Pur essendo il primo comico ad avere una visibilità (scarsa) a livello nazionale, pur facendo tv solo da un paio d’anni e qualche mese, io nei locali ho difficoltà ad andare perché il mio pubblico è decisamente più numeroso. Se vado in un club da 300 posti, devo fare almeno due repliche. Faccio teatri come il Brancaccio, il Nuovo di Milano e il Puccini di Firenze…più tantissimi teatri in tutte le maggiori città italiane. Ho un riscontro enorme, considerata la mia esposizione televisiva. La stand up è già una comicità da grande pubblico, appena altri comici (ed è inevitabile che accadrà) faranno il salto in tv, i teatri saranno pieni di comedian con un microfono a filo e senza nessun tipo di travestimento buffo. I comici banali e volgari (nell’accezione negativa del termine) torneranno a fare i matrimoni. So che sembra strano, ma siamo gli unici in tutto il globo terracqueo a non contemplare la stand up comedy tra i generi comici. Un ritardo di 50 anni rispetto a tutti, ma il progresso è inevitabile, anche per noi. In America gli Oscar li presenta Chris Rock un comedian satirico che fa film a Hollywood, non li presenta Panariello. Ricky Gervais, un comico satirico micidiale, da tre anni presenta i Golden Globe, fa serie tv e film. Per non scomodare CK, Eddie Murphy, Robin Williams, Bill Burr, Richard Prior, Woody Allen, Jim Carrey, Bill Cosby…devo continuare?
Quanto ci metti a preparare un monologo?
Non c’è un tempo definito. Dipende dall’urgenza e dalla struttura dell’idea. Se devo fare un monologo per Nemico Pubblico il tempo è compresso, se non necessità può decantare anche per mesi. La cosa più importante però, per la durata della gestazione, è la struttura del monologo. Dopo l’idea, c’è la struttura e cioè le fondamenta logiche del tuo ragionamento. La satira, senza una ferrea struttura logica, non funziona. Ad un comico puoi dire non condivido quello che dici, ma non dovresti mai riuscire a dirgli “non è vero”. Se il “non è vero” del pubblico trova riscontro, il problema diventa solo del comico.
Dai qualche consiglio a chi vuole o vorrebbe fare il tuo percorso artistico.
Essere sinceri e leali nei confronti di chi vi ascolterà, paga sempre e vi rende inimitabili. Altro non saprei dire, davvero non lo so.
Ti abbiamo visto a “Ballarò”, rifaresti mai la copertina di un programma che parla di politica?
Assolutamente sì. Solo se, come in Ballarò, io possa mantenere almeno un minimo della mia comicità e del mio contenuto.
C’è un limite entro il quale resti quando decidi di affrontare un argomento o alzi sempre la percentuale di rischio?
Non mi pongo proprio la domanda. Nessun limite, nessuna censura, figuriamoci autocensura. Ti faccio un esempio che potrebbe sembrare agghiacciante perché riguarda in modo specifico la vostra radio. Se io, da comico e quindi sul palco, prendessi per il culo i disabili vessandoli, quindi senza nessun intento satirico o sotto testo, così semplicemente perché sono una m***a e quindi odio i disabili… si solleverebbe un’ondata di protesta che mi seppellirebbe. Trovo sia sbagliato. La politica deve rispondere delle sue affermazioni, un politico che dice “ruspa!” deve rispondere politicamente delle aggressioni subite dagli extracomunitari ad opera di ritardati razzisti. Perché, da politico e quindi candidato a guidare e migliorare questo paese, ha istigato le persone all’odio razziale e alla guerra civile. Un comico no. Un comico razzista o fascista, non va censurato, deve avere la possibilità di esibirsi. Non deve essere la legge a imbavagliare la sua follia e ignoranza, deve essere il pubblico. Un comico fascista e reazionario (in Italia sono moltissimi e famosi), deve avere la possibilità di esibirsi al Brancaccio, ma deve trovare il teatro vuoto perché il pubblico l’ha rifiutato. Fino a che ci saranno persone che comprano biglietti per comici che contraddicono l’essenza stessa dell’arte, è giusto che si esibiscano.
Dacci qualche anticipazione sul tuo futuro lavorativo.
Oltre alla stagione di Nemico Pubblico in corso e al tour appena iniziato, si prospettano importanti novità per la prossima stagione, ma davvero non posso farne nemmeno un accenno. Le cose che posso dire, ormai con firma a sangue sul contratto, sono un libro e un film scritto e interpretato da me. Le uscite sono impronosticabili.
Articolo di Andrea Desideri