La nostra recensione sulla nuova serie targata Netflix, che racconta la storia di un giovane americano con autismo impegnato a conoscere il mondo circostante.
Netflix ha fatto nuovamente centro. Dopo 3%, Tredici e Fino all’osso, il servizio on demand mondiale più chiacchierato degli ultimi anni ha dato lustro ad una nuova produzione dedicata alle tematiche sociali: stiamo parlando di “Atypical”, serie televisiva che racconta le vicende di Sam Gardner (Keri Glichrist), un diciottenne autistico, intrecciate a quelle della sua famiglia, composta dalla madre Elsa Gardner (Jennifer Jaon Leigh), dal padre Doug Gardner (Michael Rapaport) e dalla sorella Casey Gardner (Brigette Lundy-Paine). Il nodo centrale della storia lo gioca l’autismo di Sam, ma più volte la dramedy orienta la sua trama anche verso aspetti secondari riguardanti gli altri protagonisti, confezionando un quadro d’insieme molto variegato.
Ad ogni modo, Sam resta il fulcro della sceneggiatura. Già dalla prima puntata, infatti, il giovane viene presentato nel suo modo di percepire il mondo. E, come tutti i ragazzi della sua età, ha delle passioni: è affascinato dall’Antartide, dai pinguini e dalla biologia in generale, tanto da utilizzare questi elementi come metro di giudizio per conoscersi e conoscere gli altri. Consapevole della propria condizione, Sam non cerca spasmodicamente l’approvazione altrui e il venir accettato per com’è fatto, non lotta eroicamente a spada sguainata per esser accolto indiscutibilmente dalla società. Sa di essere atipico, cerca altresì di non farsi riconoscere per questa sua atipicità, ma il suo unico obiettivo è imparare a muovere i primi passi nel mondo reale, per capirne il senso e trovare il suo posto nella vita. Il personaggio non si erge dietro la sua situazione, ma mostra il suo punto di vista, il suo modo di creare rapporti sociali, di determinare obiettivi e di vivere la propria quotidianità. Niente di diverso dai percorsi individuali di ogni persona.
Siamo davanti a un Sam che vuole rompere il proprio guscio protettivo. A diciotto anni è anche normale, un’età in cui emerge il desiderio di essere grandi, rompere gli schemi, agguantare maggiore autonomia. Anche lui ha questo desiderio, e non è da giustificare con l’autismo, bensì con l’emancipazione di un giovane essere umano alla scoperta della vita. Momenti della propria esistenza che ogni soggetto si trova ad affrontare, in un modo o nell’altro. E così, l’Atypical trascorre le sue giornate tra la scuola, il lavoro part-time e le sedute dalla psicologa, cercando il senso più pragmatico su come gira il mondo e sui valori ad esso connessi: amicizia, amore, famiglia, responsabilità, sesso. Tematiche che si intrecciano tra loro, e che Sam vuole saper affrontare con il proprio sguardo.
Dalle prime puntate, l’autismo sembra venir ironizzato più del dovuto (diversi i commenti che parlano di una strumentalizzazione della condizione per creare comicità). La tecnica narrativa della serie, però, crea una sensibilità sociale intenta a eliminare i tabù più diffusi, che vedono l’autismo al pari del mutismo selettivo o di persone asociali. Sappiamo dalla stessa Uta Frith (autrice del celeberrimo libro “L’autismo”) che questa condizione è eterogenea e particolare allo stesso tempo, difficile da definire e ancora più difficile da inquadrare. Ma non per questo possiamo parlarne unicamente come di una realtà complessa, snervante e castrante, perché di fatto non impedisce a nessuno di vivere la propria esistenza.
E pensare che Atypical è partito come un esperimento in sordina: otto episodi ciascuno da 30 minuti e rilasciato l’11 agosto 2017, periodo in cui lo schermo viene sostituito dalle vacanze estive. Ecco, l’atipico (ormai per Netlfix non così tanto) esperimento della sceneggiatrice Robia Rashid riesce a toccare un tema delicato quanto significativo, utilizzando allo stesso modo la giusta dose di ironia e la rappresentazione di una difficile realtà, senza però cascare in pietismi e connotazioni apocalittiche riguardo l’autismo. Certo, Atypical non è l’autismo nella sua totalità, ma è una storia che si prefissa obiettivi ben connotati: ognuno di noi può vivere la propria quotidianità emancipando il proprio punto di vista.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante