Edoardo Ferrario, uno stand up comedian che arriva sul Web e spopola con “Esami” – la Web serie che guarda il mondo universitario in maniera ironica – un terzo occhio nelle facoltà italiane. Quel sottobosco di ironia e comicità che qualcuno ha provato a raccontare nei cinema. Stavolta, al posto delle poltrone e dei pop corn, c’è il vostro pc e un portale: Youtube. Digitando “Esami – La serie”, verrete catapultati in un mondo nuovo, come una sorta di Narnia in versione H264, dove niente è come sembra. Un semplice esame orale può diventare un’Odissea. L’epopea studentesca ai tempi della fibra ha aperto a Ferrario molte porte, anche quella del grande schermo. Cinematografico e televisivo. Infatti, l’artista romano sta scrivendo un suo film (prodotto da Valsecchi) dove intende riportare i personaggi che l’hanno reso una celebrità in rete. Inoltre, l’abbiamo visto nell’ultima stagione di “Quelli che il calcio” al fianco della Gialappa’s Band. Pur essendo in piena fase creativa, tra l’organizzazione di un live, la sceneggiatura della sua opera prima e la collaborazione radiofonica su Radio2, ha trovato un momento per parlarci della sua carriera: dal presente targato Rai, al passato con la Guzzanti e la Dandini.
Tu nasci come stand up comedian, ma la tua popolarità si deve – in gran parte – grazie al Web: cosa pensi di chi prova a mettersi in gioco su youtube? Vedendo i tuoi video, si ride e qualche volta si riflette, prova a sfatare la convinzione che dietro una telecamera può mettersi chiunque e spiegaci quanto lavoro c’è dietro un tuo episodio standard.
E’ vero, io ho iniziato esibendomi dal vivo, le prime cose che ho fatto sono stati spettacoli dal vivo. Quindi ho iniziato facendo dei piccoli pezzi sul palco di cinque-dieci minuti, perché ero iscritto ad una scuola che si chiama “Accademia del Comico” a Roma, così ho iniziato ad andare in scena. Poi, una volta, ho fatto uno spettacolo di un’ora, scritto da me, e da lì ho preso sempre più confidenza col pubblico arrivando anche a fare, successivamente, delle cose in televisione. Nel 2012 con Sabina Guzzanti. Effettivamente, però, il Web mi ha dato maggiore popolarità. In realtà, non credo che dietro una telecamera possa mettersi chiunque, più che altro bisogna vedere cosa bisogna fare, ognuno dietro una telecamera può realizzare quello che vuole, dietro un progetto come “Esami” però c’è molto lavoro di scrittura e non solo sin dall’inizio: ci tenevo molto a realizzare un qualcosa di divertente e ben congeniato che raccontasse la situazione delle università italiane e soprattutto una realtà che io stesso avevo vissuto, perché ho scritto questa serie mentre mi stavo laureando in Giurisprudenza, quindi ho fatto tesoro di tutte le esperienze vissute mentre facevo l’università. Tutte quelle situazioni assurde in cui mi ero trovato agli esami, con professori che mi abbandonavano nel bel mezzo di un colloquio, oppure studenti scarsamente preparati che cercavano comunque di elemosinare voti da professori assolutamente competenti e spesso molto pazienti. Erano tutte cose che avevo visto con i miei occhi e le ho ripensate totalmente nella scrittura. Dopodiché, per quanto riguarda il lavoro di girato, anche quello è stato molto impegnativo: io ho proposto queste dieci sceneggiature di puntate a due miei amici, che sono anche i registi della serie, abbiamo messo in piedi una troupe e c’è voluto moltissimo per girare ogni puntata. Gli interni, quindi, tutte le scene in aula sono state girate in una ventina di giorni e gli esterni li abbiamo girati nel corso dell’anno quando avevamo tempo. Il lavoro è stato grande anche perché eravamo autoprodotti, quindi, dovevamo gestire completamente da soli sia il minimo budget che avevamo sia il tempo a disposizione che esulava dai nostri lavori principali. C’è molto lavoro, concentrazione e divertimento (per fortuna). E’ stata un’esperienza nata assolutamente per puro gusto e per divertirci con amici che credevano tutti nello stesso progetto, anche se non sapevamo dove ci avrebbe portato pur avendo avuto successivamente un grande successo anche fuori da Youtube. Mi fa piacere quando mi fermano per strada e mi apostrofano con le frasi dell’avvocato, insomma, quello mi fa molto ridere. Tutto il grande sacrificio è stato ripagato dalla grande soddisfazione che abbiamo avuto e dall’altro lavoro che ci ha portato, soprattutto. Ci siamo comportati esattamente come una troupe cinematografica, sia nell’organizzazione, sia nel montaggio insieme a Maurizio Montesi.
Qualche anno fa, nel programma della Guzzanti, facevi le imitazioni dei giornalisti proponendo dei servizi divertenti e verosimili: ti hanno mai chiesto di condurre un tg satirico in tivù?
Sì, mi è arrivata qualche proposta. Mi hanno fatto un po’ di proposte, soprattutto per rifare le voci dei tele giornalisti, sicuramente me l’hanno chiesto. La cosa non si è mai realizzata perché, dico la verità, mi piace molto andare avanti sul lavoro; non mi piace focalizzarmi su una cosa sola, quei pezzi sono una delle prime cose che ho scritto e devo dire che hanno fatto ridere il pubblico, però, se li rivedo adesso, mi sembrano abbastanza acerbi. Continuano a divertirmi, ma adesso ho molta voglia di scrivere e proporre cose nuove. Non escludo di riprenderle, magari in un’altra forma meno primitiva. Erano delle imitazioni che giocavano su due livelli: il primo tecnico, cioè l’abilità di rifare la voce del giornalista, l’altro che invece mi interessava di più era una vera e propria ricerca sul linguaggio giornalistico. I servizi che proponevo erano quasi meta giornalistici, molto spesso si limitavano a riprodurre proprio i meccanismi con cui i telegiornali danno le notizie. Mancava una vera e propria notizia, era più una riproposizione linguistica. In effetti non è molto diverso dall’approccio reale in alcune redazioni (ride).
Restando in tema di informazione: come vedi il giornalismo odierno? C’è ancora bisogno del sensazionalismo che esponevi egregiamente nelle tue parodie?
Di sensazionalismo non ce ne sarebbe bisogno, però, purtroppo, il linguaggio dei media – in un certo senso – lo richiede. Ovviamente si può fare ottimo giornalismo, ci sono ottimi esempi di giornalismo che continua ad essere estremamente efficace e, quindi, assolutamente meritevole di essere seguito. Il sensazionalismo viene richiesto da un certo tipo di televisione che si basa poco sull’approfondimento della notizia in sé e più sulla ‘sparata’ mediatica. Sull’intenzione di coinvolgere, in un certo qual modo, emotivamente lo spettatore utilizzando dei trucchetti retorici. A me piace il giornalismo d’inchiesta, l’approfondimento giornalistico, non ti nego che io sono molto affascinato dai linguaggi: molto spesso, quando mi rendo conto che qualcosa che vedo in televisione o sento ha un linguaggio molto preciso, sento quasi il dovere di imitarlo. Credo molto che in ogni linguaggio ci sia una verità, anche se spesso non so quale sia, però, ti faccio l’esempio della parodia di “Report” che ho fatto a “Quelli che il calcio”: non voleva essere offensiva, ma si basava su quel tipo di canoni linguistici che io trovo ottimi, quello è sicuramente buon giornalismo. Mi faceva molto ridere il fatto che ci fosse un linguaggio molto specifico. Ho voluto imitarlo ma assolutamente per il puro gusto e piacere di riprodurre uno stile.
Cosa pensi, invece, di tutto quel filone pomeridiano di programmi talk show? Meriterebbero una tua rivisitazione o sono già comici così?
Sono già comici così (ride), nel senso che purtroppo lì c’è poco da imitare: quel tipo di televisione è un esempio in cui è così palese il linguaggio che usano che non c’è davvero bisogno di riproporlo sotto un’altra chiave di lettura. E’ molto semplice decodificare ciò che fanno in quel tipo di programmi. Ti dico anche la verità, sono programmi che a me proprio non piacciono e non mi interessano. Se faccio un’imitazione, se creo un personaggio, mi deve prima di tutto interessare. Devo avere quella voglia di volerlo raccontare in altro modo. Non penso sarei mai in grado di imitare qualcuno che non m’interessa minimamente. Quindi, dato che non provo alcun interesse verso quel tipo di format, non penso di aver mai voglia di approfondirlo e studiarlo.
Se avessi la possibilità di proporre un tuo format televisivo su cosa ti soffermeresti?
Probabilmente mi soffermerei su uno “sketch show”, quindi, una serie di sketch interpretati da me con tutti quanti i miei personaggi. Tra l’altro, insomma, è un’idea che ho pronta e che non escludo di fare prima o poi. Spero proprio di riuscire a farlo. Io credo nella buona comicità, quella efficace e che funziona, un programma se è scritto bene e fa ridere deve essere accessibile a tutti. Quindi un mio eventuale programma potrebbe avere un destino sia sulla tv generalista che sulla parabola.
Hai lavorato con la Gialappa’s, loro hanno portato alla ribalta importantissimi artisti comici e non, parlaci del tuo rapporto col trio; com’è stato sincronizzare la tua comicità con la loro irriverenza in fase di scrittura?
Per me è stata una grandissima soddisfazione, perché io sono cresciuto vedendo anche i loro programmi. Trovarmi a duettare con loro come spalla, all’inizio, mi sembrava impossibile. Sentire le loro voci accompagnare le mie battute era qualcosa che avrei sempre voluto. Temevo molto le loro figure perché, sapendo quanto sono bravi e il calibro di artisti con cui si sono confrontati, avevo una sorta di riverenza assoluta. Si sono rivelate persone straordinarie sia umanamente che artisticamente, cioè non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo. Il mio lavoro è stato minimo. Loro sono delle persone che hanno una tale conoscenza della comicità, una tale dimestichezza con tutti i meccanismi del dialogo con il comico, che praticamente non dovevo far nulla. Mi limitavo a provare il pezzo insieme a loro, con la bravura che hanno metà del lavoro era fatto. Avere una spalla che funziona per il comico è fondamentale. Loro sono fra i più bravi in Italia. Quindi, per quanto mi riguarda, era come se mi servissero tutte le battute su un piatto d’argento. Immagina di giocare a pallacanestro e avere uno bravissimo che ti alza la palla, tu devi solo schiacciarla e fare canestro. Ti rendono tutto molto più semplice.
Utilizzi la Web serie come trampolino di lancio per arrivare sul grande schermo?
Io sono stato notato da molte persone grazie alla mia Web serie, mi è stato proposto di scrivere un film grazie al successo di “Esami”, hanno creduto nelle mie capacità, mi è stata data la possibilità di creare un lungometraggio e lo sto scrivendo. E’ un lavoro molto importante che spero potrete vedere a breve.
Cosa vorresti raccontare da regista?
Vorrei fare un film con i miei personaggi, lo sto scrivendo, non so quando uscirà perché i tempi del cinema sono piuttosto lunghi. Pietro Valsecchi ha creduto in me, perciò è un progetto molto importante al quale voglio dedicare la giusta concentrazione.
Nel cinema pensi di avere carta bianca nella produzione oppure potresti incontrare difficoltà nella proposizione dei tuoi contenuti?
Pietro Valsecchi, il mio produttore, mi ha dato carta bianca perché crede molto nelle mie doti di caratterista e interprete di personaggi. Il meccanismo di scrittura e produzione è molto lungo, quindi possono succedere tante cose, però, godo di una grande fiducia. Per questo motivo spero di riuscire a portare integralmente la mia comicità sul grande schermo, ma non ho dubbi e sono molto grato e riconoscente del rapporto che si è creato.
Ti hanno paragonato a molti grandi: Verdone, Louis C.K… tu, invece, a chi ti sei ispirato nella tua carriera?
Mi hanno paragonato a molti grandi, ma questi sono accostamenti che mi imbarazzano sempre molto (ride) e cerco sempre di prendere le distanze per evitare l’effetto boomerang. Sicuramente sono onorato che mi abbiano paragonato a loro, ma certamente penso di avere ancora molta strada da fare. I miei riferimenti comici sono Carlo Verdone, Corrado Guzzanti, Antonio Albanese, Antonio Rezza, Ciprì e Maresco. Quelli che trovo irraggiungibili sono Carlo Verdone e Guzzanti, sono i più grandi comici che abbiamo avuto in Italia e che hanno fatto la storia della commedia e satira, in più ho riferimenti internazionali: a me piacciono soprattutto i comici inglesi e americani.
Hai dichiarato: “Questi comici che si trincerano dietro alla commedia dell’arte, finendo per incarnare delle ‘mascherette’, si fanno portatori di una tradizione che finiscono per banalizzare”, in che modo – secondo te – si trova il compromesso e il giusto approccio tra vecchia e nuova comicità?
Semplicemente con la ricerca, con la scrittura e con la voglia di proporre cose sempre nuove e originali. Questa cosa che ho dichiarato la rivendico, però, sicuramente va chiarita: la commedia dell’arte ovviamente è la nostra tradizione teatrale italiana, nonché la nostra cultura, la maggior parte della comicità italiana proviene da lì. Dall’interpretazione dei personaggi. Purtroppo, la distorsione della commedia dell’arte in Italia c’è stata a partire dalla concezione della maschera, quindi del personaggio, che inizialmente aveva uno scopo sociale e artistico molto preciso, arrivata – per via di alcune distorsioni dovute alla banalizzazione richiesta per un certo tipo di comicità televisiva – ad appiattirsi. Io credo molto nei personaggi, la comicità che mi piace di più è quella, l’importante però che si sperimenti e si evolva sempre. Quindi bisogna scrivere cose originali, che rappresentano il proprio stile, provare tutto con il pubblico in modo da offrire cose sempre nuove. Non appiattirsi su modelli visti e rivisti in televisione sperando di avere successo sulla scorta di format televisivi che ormai vanno avanti da anni, ma che hanno fatto un po’ il loro tempo. Credo che ognuno dovrebbe sperimentare e trovare nuove intese con il pubblico, perché c’è l’esigenza di vedere nuova comicità. Non bisogna spaventarsi pensando ‘il pubblico non la capirà’, la platea avrà sempre voglia di ridere e divertirsi. Si deve tornare a sorprendere lo spettatore. Nella comicità, la sorpresa è l’elemento principale.
Hai lavorato con i “The Pills” nella loro esperienza televisiva: perché ce l’avevi tanto con gli italiani all’estero? Pensi che siamo un popolo che si atteggia da cosmopolita per poi tornare sempre da mamma?
Non proprio, diciamo che la comicità sui viaggi mi diverte molto perché viaggiare è una delle mie passioni. Quando incontri gli italiani all’estero, senza dubbio, loro sono sempre molto riconoscibili, mettiamola così (ride). Io ho vari amici che sono partiti e ora vivono all’estero, in quel programma mi sono divertito a prendere in giro quella categoria di persone: parlo solo di cose che conosco, non mi piace parlare attraverso stereotipi, qualsiasi cosa interpreto è figlio di cose che ho visto. Prendevo in giro tutti coloro che si sentono esterofili, cioè non compresi in Italia, e credono di aver trovato la propria ‘Mecca’ all’estero quando invece la realtà è sempre un po’ più spietata rispetto ai sogni di gloria attesi. Ho raccontato una serie di personaggi conosciuti realmente in qualche viaggio fatto in giro per l’Europa. Mi sono divertito con i “The Pills”, con cui sono molto amico, fra l’altro.
Passi con notevole duttilità tra radio, tv e Web: come cambiano i tuoi parametri di scrittura e linguaggio a seconda del mezzo e in cosa si modificano?
Io credo che la comicità sia una: un’idea comica si può declinare attraverso vari mezzi. Ad esempio, adesso sto lavorando a un programma radiofonico che si chiama “I sociopatici” su Radio2 e l’anno precedente avevo lavorato a “Stai Serena” con la Dandini, ogni mezzo ha una particolarità. Un personaggio come Pips l’ho fatto sia in radio che in televisione, oltre che sul Web, l’idea comica può rimanere la stessa ma cambia il modo in cui la devi esporre: sul Web tu hai l’immagine, quindi c’è una grande versatilità; puoi giocare sulle contraddizioni, come quando, parlando di opere d’arte, facevo vedere il catalogo di Marzia Pellegrino (ride). Mentre in radio una cosa del genere non si può fare, quindi devi giocare molto di più sul testo e sull’interazione con la spalla, sui ritmi, sull’alternanza delle battute e lì dovrà far ridere la parola. In tivù è ancora un’altra cosa: a livello visivo lì c’era molto poco, paradossalmente, tutta la mia comicità si basava sul dialogo con la Gialappa’s. In onda il ritmo è molto serrato e si evitano tempi lunghi. L’idea comica è sempre la stessa ma cambia la scrittura, che la devi adattare rispetto al mezzo in cui ti trovi.
La nostra è una testata giornalistica formata da persone con disabilità e normodotate: tu hai raccontato l’epopea universitaria di milioni di studenti, hai mai pensato di proiettare l’avventura nelle facoltà di uno studente con disabilità?
Devo dire che mi divertirebbe molto, le prime puntate di “Esami” erano autoprodotte quindi potevo parlare solo di cose che conoscevo, tieni presente che non avevo idea nemmeno di come sarebbe andata a finire, andando avanti con la serie ho pensato che potrei raccontare anche aspetti dell’università che non conosco. Questo che suggerisci è molto interessante, perché effettivamente gli studenti con disabilità vivono l’università in un modo completamente diverso. Penso che sarebbe interessante realizzare una puntata di “Esami” su come questi studenti si relazionano all’università, peraltro io credo che si possa fare anche comicità sulla disabilità perché credo che possa essere un modo molto innovativo per indagare questa realtà. Io non credo che, in generale, esistano argomenti che non possano essere trattati nella comicità. Ritengo che si possa parlare di tutto, bisogna sempre vedere come lo si fa. Ci sono esempi di comici che hanno trattato argomenti molto sensibili in maniera estremamente acuta e profonda, proprio per capire qualcosa in più su una realtà che, quando viene trattata in maniera più classica, probabilmente non viene compresa totalmente. Il grande pregio della comicità è quello di far vedere degli aspetti e delle realtà che non possono essere carpite con degli altri linguaggi. Si può fare comicità sulla disabilità se dietro c’è un lavoro accurato di scrittura e c’è un’idea forte. Potrebbe essere molto divertente realizzare una puntata di “Esami” in tal senso e prospettiva.
Dacci qualche anticipazione sul tuo futuro lavorativo.
Ti posso dire che il prossimo anno sarò di nuovo a “Quelli che il calcio” e sicuramente farò degli altri spettacoli dal vivo, sia a Roma che in Italia, e mi farà piacere fornire qualche anticipazione quando avrò altre date e conferme sicure.
Articolo di Andrea Desideri