O bloccate la deforestazione, o vedrete una riduzione dei nostri contributi per la salvaguardia della foresta amazzonica. In sintesi, è questo il pensiero espresso nel giugno scorso da Erna Solberg, premier conservatrice della Norvegia, rivolto a Michel Temer, presidente del Brasile, in merito al sensibile aumento del disboscamento della foresta amazzonica. L’attacco verbale trova giustificazione nel fatto che, fino ad oggi, Oslo ha versato circa 1,1 miliardi di dollari nelle casse di Brasilia, al fine di bloccare o, quantomeno, ridurre la diminuzione del Polmone Verde della Terra.
Di fatto, la Norvegia è l’unico paese nel mondo ad attuare questa politica di aiuti finanziari nei confronti dei brasiliani, che però vedrà ridursi drasticamente. Un altro segnale chiaro e deciso arriva da Vidar Helgesen, ministro dell’Ambiente e del Clima del paese scandinavo: «Dalla metà del 2015 alla metà dell’anno scorso, abbiamo registrato un’accelerazione della deforestazione in Brasile, quindi verseremo meno soldi». Senza sé e senza ma, con tutte le ragioni del caso. Da parte sua, il presidente brasiliano si è giustificato dicendo che ha posto un veto legislativo a misure tendenti a ridurre di 600mila ettari le zone protette della foresta amazzonica. Greenpeace, però, ha smentito l’esistenza di un disegno di legge in merito. Dunque, le perplessità norvegesi sono legittimate, anche perché bisogna capire se effettivamente quei soldi siano destinati a bloccare questo fenomeno, quando in realtà sembrerebbe il contrario. Tra i due litiganti, nessuno gode, ma ci rimette il globo intero.
Ad ogni modo, la battaglia norvegese dovrebbe essere di esempio per tutti gli altri paesi. La foresta pluviale è una cintura verde che si estende da un Tropico all’altro nel globo (Asia, Australia, Africa, Sud America, America centrale, numerose isole del Pacifico) e ha effetti notevoli sul clima mondiale, sul commercio e sullo sviluppo di nuovi farmaci. Per essere chiari, ha effetti sulla qualità della vita di chi abita il pianeta. Purtroppo, secondo i dati FAO del 2016, sono sette milioni gli ettari di foresta persi ogni anno tra li 2000 e il 2010, proprio nella fascia tropicale: il 40% destinati all’agricoltura su larga scala, il 33% a quella locale, il 20% alla costruzione di infrastrutture e progetti di edilizia urbana e il 7% ad opere di estrazione dal sottosuolo. Numeri allarmanti, al quale si aggiunge il disastro ambientale che sta colpendo principalmente l’Amazzonia. E se nei prossimi 100 anni questo fenomeno non verrà fermato o quantomeno dimezzato, non ci sarà più nessuna foresta pluviale.
Ma cos’è la deforestazione? Si tratta di un procedimento umano che mette a dura prova il nostro stesso habitat: consiste nell’abbattimento di alberi per motivi commerciali e urbanistici, per ottenere nuove zone destinate all’agricoltura o per ricavare del legname, il cui utilizzo è dei più svariati. In primis vengono abbattuti gli alberi, e poi s’incendia il sottobosco, la cui cenere verrà riutilizzare come fertilizzante – ma solo per un breve periodo di tempo -.
Tutto ciò, scaturisce delle conseguenze drammatiche: nel caso di un clima più umido, il materiale bruciato può essere trasportato nei corsi d’acqua più vicini grazie alle piogge, con effetti gravi sugli ecosistemi acquatici; in zone più secche, invece, può dar luce alla desertificazione. A sua volta, questo comporterebbe una diminuzione della biodiversità, con l’estinzione definitiva di alcune specie animali e vegetali. Oltretutto, la deforestazione causa l’intensificarsi dell’effetto serra, in quanto – in assenza di fotosintesi clorofilliana – aumenta l’anidride carbonica, con il conseguente aumento del surriscaldamento globale. L’ironia sta nel fatto che l’allarme viene costantemente lanciato dai Paesi Sviluppati, i primi a condurre queste campagne distruttive.
Un piccolo “avamposto verde” risiede nel web, e porta il nome di Ecosia, un motore di ricerca grazie al quale è possibile piantare nuovi alberi con un semplice click. L’idea è nata nel 2009 a Berlino (Germania) da Christian Kroll, in associazione con Bing, Yahoo e WWF. Il funzionamento è molto semplice. Una volta installata l’estensione sul proprio browser, sarà possibile effettuare qualsivoglia ricerca tramite Ecosia. In questo modo, il sito finanzierà nuovi alberi da piantare, grazie all’80% dei profitti derivanti dal click sui contenuti sponsorizzati. Al momento, i luoghi interessati dagli obiettivi di Ecosia sono Perù, Madagascar, Burkina Faso, Etiopia, Nicaragua e Tanzania. Secondo gli ultimi dati pubblicati (e consultabili nella sezione apposita del progetto), ci sarebbe oltre 3 milioni di utenti già registrati, e il contatore registra più di 10 milioni di alberi piantati.
Ecosia sta producendo benefiche conseguenze per il mondo. «Oggi percepiamo l’individuo come più importante dell’umanità e della natura – ha dichiarato il CEO a Repubblica.it -. È la logica di America first, no? Un paradigma che mi piacerebbe cambiare, dovremmo agire in un modo che sia buono per la natura e gli altri esseri umani». E basta semplicemente un click, un’azione che – al giorno d’oggi – è di uso quotidiano. E può contribuire a salvare il nostro pianeta e la nostra qualità della vita.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante