Cosa accade quando viene chiesto il trasferimento di un lavoratore che si prende cura di un familiare con disabilità? Sono più importanti le esigenze familiari o quelle aziendali? Diverse sentenze, nel tempo, hanno ribaltato il punto di vista sulla questione
La Legge 104 e il punto sui trasferimenti. La 104/1992 è la cosiddetta “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” e contiene una serie di indicazioni per favorire, da un lato, i cittadini italiani con disabilità e, dall’altro, i loro familiari che se ne prendono cura. Tra i vari articoli della Legge 104 che riguardano quest’ultima categoria, ha suscitato non pochi dibattiti il numero 33, comma 5, rivolto al lavoratore che assiste un familiare con certificazione di handicap in situazione di gravità. Il succitato articolo sancisce che:
Il lavoratore [...] ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
Attenzione alle interpretazioni: l’articolo 33, comma 5, della Legge 104/1992 parla esplicitamente di “familiare con certificazione di handicap in situazione di gravità”. Ne consegue, dunque, che tutti i lavoratori che abbiano in cura un familiare, sì disabile, ma non grave, siano esclusi da tale privilegio. Se verrà imposto loro, dal proprio datore di lavoro, di trasferirsi presso altra sede, non potranno opporsi appellandosi alla Legge 104.
La sentenza 25379/2016 e le disabilità non gravi. Tutto questo fino al 12 dicembre del 2016, giorno in cui la Corte di Cassazione stabilisce, con la sentenza numero 25379, che il trasferimento del lavoratore che assiste un familiare disabile è vietato anche nella circostanza in cui la disabilità non presenti la connotazione di gravità. La sentenza spiega che il concetto di “handicap in situazione di gravità”, deve essere interpretato alla luce dei principi costituzionali e comunitari di tutela della persona disabile.
La sentenza 12729/2017 e il legittimo trasferimento. Capitolo chiuso, dunque? No, perché con una nuova sentenza (la numero 12729/2017), la Cassazione rimescola le carte, giustificando il legittimo trasferimento. Il caso era sorto su azione di una lavoratrice, che assiste una persona disabile convivente, alla quale era stato imposto di spostarsi in una nuova sede, più lontana di 10 chilometri dalla precedente. Inutile appellarsi alla Legge 104: Tribunale e Corte d’Appello hanno rigettato la domanda. I giudici hanno ritenuto prioritario il bisogno del datore di lavoro di trasferire la ricorrente, in quanto il posto da lei occupato era stato soppresso. In definitiva, è stato stabilito che, in assenza di una soluzione che soddisfi entrambe le parti, le esigenze dell’azienda vengono prima di quelle del lavoratore.
Come ci conferma questo caso, è fondamentale interpretare i dettagli enunciati nella norma. In particolare, quando si dice “il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina”, va evidenziata l’espressione “ove possibile”, perché se questa possibilità non c’è, il datore di lavoro ha tutto il diritto di scegliere la sede più indicata per il proprio dipendente.
Articolo di Manuel Tartaglia