Roma. Presentato dal Centro Studi e Ricerche Idos il 25 ottobre 2018 presso Nuovo Teatro Orione il Dossier Statistico Immigrazione 2018, in partenariato con il centro studi Confronti e con la collaborazione dell’Unar
ll Centro Studi e Ricerche Idos, nato nel 2004 con lo scopo di raccogliere i dati statistici e di studiare il fenomeno migratori, in partenariato con il centro studi Confronti e con la collaborazione dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, ha redatto anche quest’anno il Dossier Statistico Immigrazione 2018. Il Dossier è stato presentato il 25 ottobre a Roma alla presenza del vice moderatore della Tavola Valdese, Luca Anziani, il missionario comboniano padre Alex Zanotelli, il responsabile immigrazione del sindacato Usb, Aboubakar Souhamoro e il direttore dell’Unar, Luigi Manconi.
Secondo Luca di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos, lo scopo consiste nell’offrire dati statistici reali su cui confrontarsi in modo da favorire un livello adeguato di consapevolezza dei fenomeni migratori da parte dell’opinione pubblica, troppo spesso fomentata da narrazioni strumentali. Le cifre che fotografano la realtà degli stranieri in Italia contenute nel Dossier ci dicono che “non esiste nessuna invasione. contrariamente alla credenza che vorrebbe il paese assediato e invaso dagli stranieri, al netto dei movimenti interni il loro numero è stabile intorno ai 5 milioni dal 2013″.
Il crollo dei flussi. Il Dossier evidenzia che “nel 2017, a fronte di un contesto mondiale caratterizzato da un aumento delle migrazioni, l’Unione Europea ha conosciuto un drastico calo sia degli attraversamenti irregolari delle frontiere (diminuiti di 9 volte rispetto al boom del 2015), sia delle richieste d’asilo presentate (-43,5% rispetto al 2016). A monte, ha denunciato l’Agenzia europea per i diritti fondamentali nel 2018, c’è la questione dell’accesso all’Ue da parte dei potenziali aventi diritto alla protezione. Infatti, maltrattamenti ai danni di migranti da parte delle polizie di frontiera sono stati documentati da più parti nel corso del 2017. A tutto ciò si aggiunge il fatto che il boom di profughi che, attraversando il deserto e il Mediterraneo centrale, sono approdati sulle coste italiane si è pressoché esaurito nel 2017, dopo quattro anni in cui ne sono giunti, nel complesso, circa 625.000. Basti pensare, poi, secondo quanto hanno rilevato Unhcr e Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), che mentre nel 2017 l’Italia ha convogliato il 69% degli oltre 172.000 migranti forzati arrivati in Italia via mare, nei primi 9 mesi del 2018 ne ha accolti sul suolo poco più di 21.000, un dato crollato di quasi il 90% rispetto allo stesso periodo del 2017.
La riduzione dei flussi in Italia è dovuta ai nuovi accordi tra le autorità libiche e il nostro paese (2017), per cui una quota sempre più alta di profughi viene intercettata in mare dalla Guardia costiera libica (rifornita, a tale scopo, di motovedette e risorse economiche dall’Italia) e riportata nei centri di detenzione del paese nordafricano, dove tornano a subire violenze e torture ormai abbondantemente documentate, per estorcerne riscatti, oppure vengono venduti ai trafficanti di esseri umani, che possono rivenderli a loro volta come schiavi. In più la riduzione degli arrivi e l’esclusione delle ONG nel soccorso in mare (ad esse era dovuto circa il 35% dei salvataggi) ha prodotto un vertiginoso aumento dei morti in mare: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, tra gennaio e settembre 2018 ben 1.728 in tutto il Mediterraneo, di cui 3 su 4 (1.260) nella sola rotta tra Libia e Italia”.
Il Dossier mette in correlazione dati dell’Unhcr che stima che sono presenti in Italia complessivamente 354.000 richiedenti asilo (compresi quelli ancora privi di titolo formale o la cui domanda è sotto esame) e titolari di protezione internazionale o umanitaria lo 0,6% dell’intera popolazione del paese. “L’Italia è al terzo posto nell’Ue, dopo la Germania (1,4 milioni di richiedenti e titolari di protezione) e la Francia (400.000), l’incidenza sulla totalità degli abitanti è perfettamente in linea con la media comunitaria, al pari di quella della Francia e dei Paesi Bassi, ed è preceduta da vari Paesi, come la Svezia (2,9%), l’Austria e Malta (1,9%), la Germania e Cipro (1,7%), la Grecia (0,8%)”.
Dei 239.000 titolari di un permesso inerente alla richiesta di asilo o alla protezione internazionale o umanitaria, alla fine del 2017 erano circa 187.000 quelli inseriti nel sistema nazionale di accoglienza, il 5,7% dei migranti si trova nei Centri di prima accoglienza lo 0,2% negli hotspot. La stragrande maggioranza (81%) nei Centri straordinari (Cas), “nonostante le molteplici criticità – segnalano gli autori del rapporto – che ne segnano spesso il funzionamento e i diversi casi l’inadeguatezza e, a volte, di malaffare”. Di contro solo il 13,2% è la quota di richiedenti e titolari di protezione viene ospitata nei centri Sprar, che invece sono spesso indicati come buona prassi nazionale e che però il decreto Salvini sulla sicurezza, prevede inspiegabilmente l’intenzione di ridurre in maniera drastica.
Un’integrazione incompiuta. Nonostante ormai la popolazione straniera, in 45 anni di immigrazione in Italia, si sia inserita nel tessuto sociale in maniera sempre più strutturale (basti pensare che sono diventati cittadini italiani 1 milione e mezzo di stranieri, e circa 1.300.000 gli stranieri sono nati in Italia – seconde generazioni -, oltre un quarto di tutti i residenti stranieri), ancora si riscontrano disparità nell’accesso a misure assistenziali o a servizi essenziali di welfare, come gli asili nido, le mense scolastiche, i bonus bebè e i sostegni per famiglie indigenti, al cui riguardo alcune Amministrazioni locali hanno emanato ordinanze puntualmente bocciate dai giudici, in quanto discriminatorie.
Le discriminazioni, poi, dilagano in Internet, con un aumento esponenziale di discorsi d’odio razzista, spesso sulla base di rappresentazioni distorte che riguardano anche la religione di appartenenza, fomentando l’idea – come si sente spesso dire – che siamo “invasi da musulmani”, mentre tra gli immigrati i cristiani sono la maggioranza assoluta (2.706.000, pari al 52,6% del totale, secondo la stima di Idos), con preminenza degli ortodossi (1,5 milioni) e dei cattolici (oltre 900.000), mentre i musulmani sono 1 ogni 3 (32,7%, pari a 1.683.000 persone).
Il lavoro: nessuna competizione con gli italiani e bassa mobilità occupazionale. Secondo il Dossier: “La credenza che gli immigrati rubino il lavoro agli italiani è, da anni, smentita dalla realtà: dei 2.423.000 occupati stranieri nel 2017 (10,5% di tutti gli occupati in Italia), ben i due terzi svolgono professioni poco qualificate o operaie, In particolare, è straniero il 71% dei collaboratori domestici e familiari (comparto che impiega il 43,2% delle lavoratrici straniere), quasi la metà dei venditori ambulanti, più di un terzo dei facchini, il 18,5% dei lavoratori negli alberghi e ristoranti (per lo più addetti alla pulizie e camerieri), un sesto dei manovali edili e degli agricoltori. Inoltre i lavoratori immigrati restano ancora schiacciati nelle nicchie di mercato caratterizzate da impieghi pesanti, precari, discontinui, poco retribuiti, spesso stagionali e caratterizzati da sacche di lavoro nero (o grigio) e, quindi, di sfruttamento. Niente di tutto questo fa pensare che gli immigrati siano in competizione con gli italiani per un’occupazione o che rubino agli italiani il lavoro, come pure la retorica dominante continua a proclamare. La voglia di riscatto, alimentata dalla frustrazione di un mercato del lavoro dipendente oltremodo avaro, trova nel lavoro autonomo la sua migliore esplicazione: in Italia sono quasi 590.000 le imprese guidate da immigrati (il 9,6% di tutte quelle attive), aumentate anche negli anni della crisi economica. Talora si tratta di ditte e aziende in grado dare impiego anche a lavoratori italiani”.
“Sono dati che ci parlano della cruciale importanza delle politiche di integrazione, di cui oggi nessuno parla più e su cui sempre meno i governi intendono investire”, ha spiegato Luca di Sciullo: “I numeri non bastano più: abbiamo bisogno di esempi, di testimoni, di buone prassi che mostrano in maniera concreta e tangibile che l’integrazione è possibile”. Concludendo, “nell’integrazione si vince insieme, perché, a dispetto di tutti i tentativi di imbastire conflitti sociali tra categorie ugualmente svantaggiate, i destini di italiani e immigrati sono già intrecciati nella nostra società”.
Articolo di Massimo Guitarrini