Alexander Lo Russo conosce questi disturbi perché li vive in prima persona, ma anche perché ne ha fatto oggetto di studio
Sono quasi due milioni le persone con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) in Italia e si stima che gli studenti con DSA nelle nostre scuole siano più di 298.114, ovvero il 4% degli alunni. Nonostante questo e nonostante adesso ci sia più attenzione in merito, se ne sa ancora poco nella cultura generale. Cos’è la dislessia, come la possiamo gestire, la nostra scuola è preparata a formare i ragazzi e le ragazze con DSA? Ne parliamo con il dottor Alexander Lo Russo, psicologo ed esperto di neuro diversità, presidente dell’associazione “L’ altro apprendimento”, che si occupa di aiutare ragazzi con difficoltà di apprendimento.
Cos’è la dislessia?
“La dislessia è una neuro diversità. È il sistema cerebrale, ovvero il cervello, che si struttura in maniera diversa. Non è un deficit, non è conseguenza di un trauma. Essa ha causa biologica. Non è una malattia, ma è semplicemente un diverso neuro funzionamento del cervello”.
Qual è il ruolo della famiglia e della scuola nella convivenza con la dislessia?
“Non è tanto convivere con la dislessia il problema, quanto accettare di essere dislessici, discalculi o disortografici. La persona che ha questa neuro diversità ha generalmente una intelligenza nella media, se non superiore; perciò, è fondamentale che la famiglia e la scuola aiuti la persona dislessica ad accettare più velocemente possibile sia questa sua caratteristica, sia la sua necessità di avvalersi di strumenti tecnologici (ma non solo) nelle sue attività di scrittura, lettura, calcolo e di apprendimento. Questi strumenti fanno sì che il bambino, o la persona adulta dislessica non senta difficoltà durante queste occupazioni. Gli ausili come PC, tablet, programmi e software permettono alla persona con dislessia di svolgere le attività che vuole senza problemi, lo aiutano a sentirsi su un piano di parità con le altre persone. Sensazione che è da definire fondamentale, per non sentirsi scoraggiati nello studio. Per questo i genitori, così come gli insegnanti, devono aiutare il bambino ad accogliere pienamente e senza problemi tutti gli strumenti di cui ha bisogno”.
Partendo dalla tua esperienza lavorativa sul campo, ma anche dalla tua esperienza personale, essendo tu stesso una persona dislessica, cosa ci puoi dire delle condizioni e del livello di preparazione della scuola e degli insegnanti sulla dislessia e sul come dare supporto e metodo agli alunni dislessici nel loro percorso formativo e scolastico?
“L’Italia è una eccellenza in questo campo. Ormai siamo tutelati quasi a 360 gradi dalle leggi, sia quelle riguardanti la scuola di qualunque grado e l’università, sia quelle che trattano il pubblico impiego od il lavoro nel settore privato. C’è una tutela praticamente globale. La problematicità del sistema risiede nel fatto che viene data in carico agli insegnanti la gestione di ogni specifica caratteristica del singolo studente. Questo si traduce nell’affidare la gestione di aspetti del ragazzo che si concretizzano in difficoltà nelle attività scolastiche, di formazione e di apprendimento a persone non esperte. Queste caratteristiche e le conseguenti problematiche hanno invece bisogno di esperti del settore. Un insegnante non è un tecnico e difficilmente ha le competenze giuste sulla dislessia. Perciò spesso vi sono incomprensioni o equivoci su quali siano e come soddisfare le esigenze di uno studente dislessico. Secondo me, ci dovrebbero essere figure tecniche preparate in questo campo, come lo psicologo della scuola, che è un tecnico, che ha studiato la dislessia ed è molto più adatto a gestirla. Invece spesso un insegnate si trova a dover gestire un carico di lavoro eccessivo e a cercare di capire cose complesse come la natura del DSA. Cosa che, se non la si studia in maniera approfondita, non si può comprendere. Può succedere addirittura che un insegnante valuti la dislessia come una difficoltà e dica ad un suo allievo con DSA di continuare a leggere per migliorare, come se il continuare a provare senza ausili e strumenti adatti bastasse o fosse la soluzione, per quella che non è una semplice difficoltà. Naturalmente strumenti dati dal sistema come il GLO (Gruppo operativo di lavoro per l’inclusione, formato da figure professionali esterne ed interne alla scuola e dai genitori) o il PDP (documento personalizzato ufficiale e alleato per l’apprendimento e il successo scolastico dello studente con DSA) sono utilissimi perché consentono una sinergia tra le famiglie, gli insegnanti e dei tecnici, ma non sempre questo meccanismo di coordinamento funziona nel modo corretto”.
Quali migliorie del sistema scolastico auspichi?
“La presenza dello psicologo scolastico nelle scuole. Uno psicologo non tanto specializzato nella psicoterapia, ma piuttosto nella ‘psicologia della scuola’, perché ci sono diverse richieste da soddisfare. Il suo ruolo dovrebbe essere quello di mediare tra le parti. Generalmente il tecnico che segue il ragazzo con DSA nel suo metodo di apprendimento e che lo guida nelle varie tecniche e nell’utilizzo dei vari strumenti di ausilio è un tutor esterno. Il compito dello psicologo della scuola è quello di aiutare e favorire la comunicazione e la collaborazione tra il tutor e gli insegnanti dello studente con DSA. Ma la presenza di uno psicologo specializzato nella psicologia della scuola è essenziale anche per molte altre situazioni che si possono verificare negli istituti scolastici come: bullismo o diversi tipi di spettri che sono casi complessi. Per dirla in breve: questo psicologo avrebbe la funzione di captare le problematiche, parlarne con l’insegnante e con la famiglia della persona coinvolta, spiegare come affrontare il problema, anche suggerendo l’intervento di tecnici esterni, che poi andranno a lavorare in sinergia con tutti loro. Il lavoro di squadra tra gli esperti esterni, la scuola e la famiglia dello studente serve per aiutare a fare strada al ragazzo nella gestione delle sue caratteristiche o problematicità. Il ruolo di mediazione tra questi soggetti, messo in atto dallo psicologo della scuola, è molto importante. Questo psicologo in sostanza sa quale sia la via da intraprendere, in situazioni in cui gli insegnanti e le famiglie a causa di proprie lacune conoscitive non sanno che come muoversi.
Quello che vedo è che questo compito di faro e di mediatore in queste situazioni viene affidato nel nostro sistema scolastico ad un insegnante, ovvero ‘l’insegnante addetto all’handicap e ai DSA’. A questo professore, che resta in tale ruolo per poco tempo (generalmente un anno) viene dato il compito di stilare i PDP, gestire le situazioni riguardanti la dislessia o la disabilità. Sono soggetti che svolgono ruoli tecnici senza avere una competenza specialistica sufficiente che gli permetta di svolgere queste funzioni senza fare errori. Sono sempre insegnanti che partono da una formazione da insegnanti, non sono provvisti di tutta la specializzazione che serve. Naturalmente non sto parlando degli insegnanti di sostegno, sono figure diverse e separate tra loro. Gli insegnanti di sostegno sono di sostegno alla formazione del ragazzo”.
Quale età è quella giusta per sottoporre una persona ad un test diagnostico per i DSA?
“Diagnosticamente parlando, si dovrebbe fare il test quando il ragazzo frequenta la seconda/terza elementare”.
Di che test si tratta?
“Normalmente si fa un test cognitivo, per vedere tutte le abilità generiche, ovvero il quoziente intellettivo. Dopo di che si fanno i test specifici per lettura, scrittura e calcolo. Nel caso in cui si verifichino dei risultati sospetti, si vanno ad eseguire i test correlati; quindi, si arriva alla diagnosi. Si tratta di due step separati, il primo cognitivo generale ed il secondo con i test specifici di apprendimento”.
Come spieghi che alcune persone ricevono la propria diagnosi di DSA da adulti?
“Qui ritorna un po’ il discorso che facevamo prima. Gli insegnanti, i genitori, dopo i primi anni di scuola elementare, quando vedono che gli apprendimenti che in quella fase dovrebbero essere acquisiti, non lo sono, dovrebbero scattare e muoversi di conseguenza. Teniamo a mente che si tratta di apprendimenti standardizzati, che in quella fase del percorso scolastico e di crescita devono essere consolidati, altrimenti suonano dei campanelli d’allarme. Gli insegnanti sono addetti in presenza di questi campanelli ad indirizzare i genitori verso una diagnosi. Indirizzo che per le ragioni che abbiamo elencato prima non avviene sempre”.
Essere una persona con DSA, come ha influenzato le tue scelte di vita lavorativa?
“Avendo faticato molto nel mio percorso di studi, ho deciso di impegnarmi per aiutare gli studenti, i bambini con DSA, a non sentire la mia stessa fatica, questa è stata la mia motivazione, nella scelta della mia carriera universitaria e lavorativa. A tal fine mi sono laureato in Psicologia, laurea che mi ha permesso di conoscere gli aspetti della neuro diversità e gli apprendimenti. Con queste competenze è possibile aiutare i ragazzi dislessici a non faticare eccessivamente durante gli studi. Riuscire a fargli evitare questa fatica vuol dire impedire l’abbandono scolastico da parte loro. Questo è l’obiettivo, infatti tantissimi ragazzi e ragazze con DSA, a causa del fatto che non sanno come gestire questa loro caratteristica, sentono molta difficoltà negli studi e decidono di non continuare a studiare. Dobbiamo evitare che si sentano scoraggiati davanti alla possibilità di iscriversi a una determinata scuola, oppure all’università”.
Nel tuo lavoro di tutor quale strumento ritieni fondamentale fornire a tuoi ragazzi, per aiutarli a gestire la loro neuro diversità?
“Aiutare il ragazzo o il bambino con DSA ad avere un metodo di studio è essenziale. Un metodo di studio che sia adatto alle proprie caratteristiche è essenziale per chiunque, ancor di più per le persone con DSA. Infatti, per chi è dislessico serve per rendere lo studio una esperienza non stressante. Impedendo che il ragazzo si senta frustrato nello studio e durante la sua esperienza scolastica, si renderà l’iscrizione all’università una scelta fattibile ai suoi occhi. Il metodo di studio è uno strumento che aiuta le persone con DSA a vedere la formazione universitaria come una delle opzioni possibili nel momento del termine della scuola superiore”.
Il metodo di studio specifico alle proprie peculiarità serve a tutti, non solo alle persone con DSA.
“Esatto, si dovrebbe arrivare ad un punto tale in cui quello che si usa per i soggetti con DSA, dovrebbe essere utilizzato da tutti. Penso agli strumenti tecnologici usati in questi casi. Questi sono strumenti che poi al lavoro utilizzano tutti. Nella scuola abituano i ragazzi a scrivere a mano, con foglio e penna, mentre negli ambienti lavorativi usano i PC. Si tratterebbe di anticipare agli anni scolastici l’inizio dell’utilizzo di queste tecnologie. Si dovrebbe armare la scuola di strumenti tecnologici, per preparare fin da subito i ragazzi al mondo del lavoro. I metodi di studio, così come i vari programmi informatici eccetera, sono strumenti che consentono un più facile apprendimento delle informazioni, sarebbe giusto quindi che fossero a disposizione di tutti.
Tecnologizzare la scuola è importante… È importantissimo! Bisogna tenere a mente che il problema dato dalla dislessia, non deriva dalla neuro-diversità in sé, ma dall’incontro della stessa con un ambiente circostante che crea delle barriere, perché non adatto alle caratteristiche del soggetto neuro diverso. Il DSA, se si trova in un ambiente già dotato di ‘strumenti di compensazione’, può sparire”.
Esattamente come la disabilità, essa nasce dall’incontro tra una persona con difficoltà motorie e/o cognitive ed un ambiente non idoneo alle sue necessità. La disabilità nasce a causa dell’inadeguatezza dell’ambiente, non della persona.
“Sì, è vero. Il discorso è: se il mondo fosse ‘a prova di…’, le difficoltà sparirebbero. Per questo è importante rendere la scuola più tecnologica possibile, perché un ambiente che non richiede compensazioni, che non mi dà il problema delle compensazioni, è un ambiente senza barriere per nessuno, che sia una persona con DSA o una persona con disabilità”.
Quindi ognuno ha bisogno di un metodo di studio personalizzato. Come si realizza un metodo adatto al singolo studente?
“Il metodo si crea utilizzando le conoscenze tecniche e basandosi sulle esigenze specifiche del singolo soggetto. Ogni persona è a sé, di questo si deve tenere conto. Può darsi che due persone abbiano entrambe un problema di memoria, ma in uno ha cause e maniere di manifestarsi diverse rispetto all’altro; quindi, anche le tecniche che compongono i loro due metodi di studio sono e devono essere differenti. Stessa difficoltà, realtà e soluzioni diverse. Vari meccanismi si possono mettere talmente tanto insieme che le modalità con cui studia un altro individuo per te non vanno bene. È proprio per questo che è vitale che ci sia una persona con la formazione tecnica necessaria ad affiancare nella creazione dei metodi di studio”.
(Elisa Marino)