La scure della censura questa volta si abbatte su tre pietre miliari della cinematografia per bambini: Dumbo, Gli Aristogatti e Peter Pan sotto accusa per presunti messaggi razzisti
La Disney Company viene travolta dalle critiche a causa di cartoni animati usciti nelle sale cinquanta o sessanta anni fa.
I lungometraggi sotto accusa sono tre:
A Dumbo, l’elefantino dalle grandi orecchie che ha commosso il mondo, vengono contestati i versi di una canzone che suonerebbero irrispettosi verso gli schiavi afroamericani che lavoravano nelle piantagioni (“E quando poi veniamo pagati, buttiamo via tutti i nostri sogni”).
Peter Pan, invece, sarebbe reo di aver denigrato i nativi americani, chiamando i membri della tribù di Giglio Tigrato, “pellirosse”, un titolo considerato offensivo e descrivendoli come una popolazione che parla una lingua incomprensibile.
Infine, ne Gli Aristogatti, il gatto siamese chiamato Shun Gon è interpretabile come una “caricatura razzista dei popoli dell’Asia orientale con tratti stereotipati esagerati, come occhi a mandorla e denti sporgenti”, il tutto condito da un uso improbabile delle bacchette (usate anche per suonare il pianoforte).
I film in questione sono stati cancellati dalla sezione della piattaforma streaming Disney+ dedicata ai bambini (utenti al di sotto dei sette anni d’età), ma restano visibili per gli adulti con l’adeguata nota introduttiva che spiega come i programmi “includono rappresentazioni negative e/o denigrano popolazione e culture” e quindi “piuttosto che rimuovere questi contenuti, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo”, come recita il disclaimer (avvertenza e discarico di responsabilità) che precede i titoli di testa dei film.
In tempi non sospetti, anche altri lungometraggi della multinazionale californiana erano stati additati dalla censura.
Ad esempio, ne Il Libro della Giungla, il personaggio di Re Luigi, una scimmia con scarse capacità linguistiche, canta il jazz e viene descritta come pigra e sfaticata. Il personaggio è stato segnalato per essere una parodia razzista degli afroamericani.
Ed ancora, in Lilli e il Vagabondo, i due gatti siamesi Si e Am racchiudono al loro interno degli stereotipi anti-asiatici che ridicolizzano la cultura orientale. Nella scena del canile, inoltre, molti randagi vengono fatti parlare con un forte accento tipico dei paesi da cui provengono queste razze canine (Pedro, ad esempio, è un Chihuahua e parla messicano, mentre Boris, il Borzoi, ha un forte accento russo).
Interessante sarebbe sapere cosa ne avrebbe pensato di questa polemica, il fondatore Walt Disney, detentore, ancora oggi, del record di Premi Oscar vinti, avendo ricevuto, in trentaquattro anni di carriera, per i suoi cortometraggi e documentari, cinquantanove candidature e ventisei premi, di cui tre onorari e un Premio alla memoria Irving G. Thalberg.
(Giuseppe Franchina)