Il tema delle barriere architettoniche è diventato centrale negli ultimi tempi, e questo è un fatto positivo. D’altro canto, però, ancora persistono muri legislativi e culturali che non garantiscono una piena inclusione sociale. Ad esempio, troviamo strutture di nuova costruzione senza accessi pensati per persone con bisogni specifici. E, inoltre, scopriamo diversi edifici con una buona accessibilità, ma non per tutte le forme di disabilità. Di fronte a tutto ciò, la rassegnazione diventa il sentimento più diffuso.
Un recente episodio, però, può regalarci speranza per il futuro. Francesco Bressan è un giovane studente con disabilità dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e uno stick dei Treviso Bulls, squadra di wheelchair hockey. Quando non è in campo ad allenarsi o a disputare partite, Francesco rincorre il sogno di molti ragazzi, quello di laurearsi. Di fronte a sé una montagna di libri, per lui anche di gradini: un giorno, infatti, lo studente non è riuscito a frequentare una lezione a causa di un leggero problema strutturale. Ma questa storia ha un lieto fine.
Ciao Francesco, benvenuto su FinestrAperta.it. Ci puoi raccontare la vicenda del montascale dell’Università Ca’ Foscari?
«Certamente. Premetto che fino a questo episodio non avevo notato e sperimentato nulla all’interno del Campus Scientifico (di nuovissima costruzione tra l’altro) che potesse essere ritenuto una barriera architettonica. Il secondo semestre prevede un corso di Laboratorio di Biodiversità, che consiste nell’analisi al microscopio di campioni biologici del nostro territorio (in particolare studio Scienze Ambientali) ed è composto da una parte animale e una vegetale.
Il primo giorno del corso mi reco all’Università e cerco di capire dove sia il laboratorio di microscopia, senza successo. Chiedendo ad alcuni compagni di corso riesco a trovarlo: si trova in un’ala esterna di uno dei vari edifici del Campus la quale, da quello che mi è stato poi detto, è stata restaurata da circa un anno. Uscendo dall’edificio, per passare nell’ala esterna, mi accorgo subito di una breve rampa di scale che porta all’ingresso del laboratorio. Guardo attorno alla ricerca di una rampa e non la trovo; a quel punto mi accorgo di un montascale avvolto da una copertura impermeabile. Non sapendo come funziona, chiedo al tecnico del Campus di spiegare a me e ad alcuni miei amici il funzionamento: niente di difficoltoso, infatti il tecnico va a prendere il telecomando dotato di chiave per azionare il montascale, e, premendo un pulsante, lo mette in funzione, predisponendolo per farmi salire.
Provo a salire ma mi accorgo immediatamente che la pedana è troppo stretta e la mia carrozzina elettrica non ci passa. A questo punto faccio notare il problema, chiedendo se per caso ci siano altri modi per accedere al laboratorio (per esempio attraverso una rampa sul retro): purtroppo la risposta è negativa. Alcuni ragazzi, avendo assistito alla vicenda, mi dicono prontamente che possono prendermi di peso e portarmi su insieme alla carrozzina. Io non mi fido però: potrebbe essere molto pericoloso per me, per chi mi tira su e per la mia carrozzina.
Realizzo che non posso frequentare quella lezione, allora ritorno dentro l’edificio accessibile un po’ amareggiato. In ogni caso sono stati tutti gentili con me, e infatti un professore dei due che avrebbero dovuto tenere la lezione cerca di fare il possibile cercando di trovare una soluzione abbastanza sbrigativa, senza però trovarla. È quindi necessario contattare l’architetto e interrogarlo sulla possibilità di costruire velocemente una rampa, anche provvisoria: ci risponde dopo qualche giorno che ciò non è possibile, non c’è spazio a sufficienza.
Nel frattempo, durante una pausa faccio il giro dell’edificio, vedendo che da un’altra parte lo spazio ci sarebbe; lo faccio notare: mi rispondono che non è possibile realizzare una rampa lì perché è di proprietà di un’altra Università di Venezia, la IUAV di architettura. Intanto passano i giorni, e continuo a non poter andare a quella lezione. Una possibilità ci sarebbe: andare con la carrozzina manuale, più stretta. Rifiuto questa possibilità a priori perché per me non è sicura e comoda come quella elettrica, e, soprattutto non mi rende indipendente come quella elettrica.
Nel frattempo il professore che ha seguito la faccenda mi fa sapere che all’Università si sono messi in contatto con la ditta del montascale, la quale ci presenta la possibilità di montare una rampa più larga. La ritengo un’ottima soluzione, però sarebbe stato molto più facile e a mio avviso economico e veloce costruire una rampa. Purtroppo però la cosa non è immediata, ci vogliono ancora molte settimane, tante da farmi perdere la parte animale del Laboratorio di Biodiversità. Finalmente però la notizia che aspettavo arriva: stanno montando la pedana più larga e mi chiedono di provarla. La provo e fa il suo lavoro, finalmente anche io posso frequentare il laboratorio, anche se solamente la parte vegetale. L’amarezza dei giorni prima viene sostituita dalla soddisfazione, e sono contento perché un pochino è merito mio».
Questo risultato non migliora solo la tua accessibilità, ma anche quella di tutti gli studenti con disabilità presenti e che in futuro si iscriveranno alla Ca’ Foscari.
«Si, esatto. Infatti ho insistito molto su questo fatto, perché per un’università senza dubbio attenta il più possibile alle problematiche delle categorie di studenti con disabilità e DSA non poteva permettersi di lasciare una barriera (per chi come me utilizza una carrozzina leggermente più larga della norma) di questa rilevanza. Ribadisco in ogni caso che in molte situazioni l’Ufficio Disabilità (predisposto apposta per questo tipo di problemi) sia sempre venuto incontro alle mie esigenze. Un esempio: dopo pochi mesi dall’inizio delle lezioni del primo semestre hanno provveduto a farmi avere un sollevatore elettrico in bagno. Devo ammettere: proprio un ottimo lavoro da questo punto di vista».
A tuo giudizio, come mai le università italiane registrano ancora problemi di accessibilità?
«È difficile rispondere, di preciso non saprei. Ultimamente si parla sempre più di accessibilità, di abbattere le barriere architettoniche: già un grosso vantaggio rispetto a pochi anni fa. Il fatto è che comunque in ancora molti posti le barriere fanno fatica a scomparire. Quello che posso dire è sicuramente che gli architetti, nel progettare una nuova struttura, non si immedesimano in una persona con esigenze speciali, e spesso è più facile puntare al lato estetico lasciando un po’ in disparte il lato funzionale. Non bisogna assolutamente dar loro la colpa, ma è un po’ difficile capire le esigenze di un ragazzo in carrozzina se non vivi le giornate dal suo punto di vista».
L’università non è l’unico luogo dove troviamo le barriere architettoniche. Ci puoi raccontare qualche altro luogo inaccessibile che ha incontrato?
«Certamente. Un esempio che posso fare è un nuovo Cinema Multisala che hanno aperto da qualche anno in centro di Mestre (la mia città): pur essendo anch’esso di nuovissima costruzione, e dotato di un moderno ascensore, non ho potuto fare a meno di notare alcuni punti dolenti riguardo l’accessibilità. Prima su tutti è la posizione dei posti assegnati per le carrozzine e i loro accompagnatori (2 per sala): essi sono purtroppo in prima fila, proprio sotto lo schermo. Non è molto comodo per uno spettatore “ordinario”, potete immaginare per chi ha qualche difficoltà in più. Ovviamente questo non è una novità nei cinema italiani, ma per un cinema di nuova costruzione non è tanto bello, e, nella mia zona, ci sono altri cinema, molto più vecchi, che hanno previsto posti carrozzine a metà altezza in alcune sale».
In generale, definiresti accessibile la città in cui vivi?
«Ritengo che la mia città, Mestre (provincia di Venezia), sia nel complesso accessibile. Purtroppo però in centro ci sono ancora molti, troppi, negozi o altre attività commerciali che presentano un gradino, che rende difficile, se non impossibile, l’accesso per una persona dotata di carrozzina elettrica. Devo dire che qualcuna di queste ha provveduto o sta provvedendo a mettere una rampa, fissa o provvisoria. Ne approfitto per incentivare i commercianti a rendere accessibile il proprio negozio attraverso questo piccolo ed economico gesto. Garantisco che la sensazione provata, dopo aver reso accessibile a tutti il proprio negozio, è molto bella».
Come ben sai, quest’anno la Giornata Nazionale UILDM è incentrata sul tema dell’accessibilità nei parchi giochi italiani. Cosa senti di dire per sensibilizzare sul tema?
«È una bella iniziativa, ritengo che qualsiasi posto, compreso il parco giochi debba essere accessibile a tutti, e che non sia oggetto di nessuna discriminazione. Io ho avuto la fortuna di poter giocare in un parco giochi da bambino, ed è brutto negare a un bambino la possibilità di giocare con gli amici e di divertirsi».
Grazie al tuo aiuto, un’università è stata resa più accessibile. Il tuo esempio può essere considerato un monito per continuare la battaglia contro le barriere architettoniche?
«Certamente, deve esserlo! Grazie per la bellissima opportunità. Invito quindi tutti i miei amici a 4 o 6 ruote di farsi avanti, insistere sul tema dell’accessibilità, e denunciare qualsiasi barriera che neghi questo diritto».
Realizzare una piena inclusione sociale richiede un’attenzione completa e mirata alle esigenze di tutte le persone con i loro bisogni specifici. Francesco ha raccontato un fatto avvenuto in un luogo dove l’accessibilità viene sufficientemente garantita, anche se con qualche piccolo accorgimento da fare. Siamo sicuri, però, che non si tratti dell’unico caso da sottolineare. Se avete storie di inacessibilità da segnalare, scriveteci a finestra.aperta@uildmlazio.org.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante