Nel mondo della musica, molto spesso, ad essere ricordati sono gli artisti morti in condizioni misteriose o indicibili. Quelli che hanno vissuto la propria vita tutta d’un fiato, senza un attimo d’esitazione. Coloro che, a guardarli, sembra strano che abbiano realizzato qualcosa di unico: una canzone, un rif, una melodia che hanno cambiato il mondo. Uno che, sicuramente, non è destinato all’oblio è Tupac Amaru Shakur: il suo nome in arabo vuol dire “grato a Dio” e già questo basterebbe ad alimentare l’alone leggendario che l’artista si porta dietro, ad aggiungere mistero e curiosità c’è anche, appunto, la sua dipartita. Assassinato a Las Vegas nel 1996, subito dopo l’incontro di pugilato tra Tyson e Seldon, da quel 7 settembre sono state fatte le più disparate ipotesi su chi ci fosse dietro la Cadillac bianca da cui sono partiti quattro proiettili, uno dei quali perforò il polmone destro dell’artista che morì dopo sei giorni di coma. Il principale sospettato dell’assassinio materiale di Tupac è tutt’oggi Orlando “Baby Lane” Anderson, un gangster losangelino, dello stesso quartiere (Compton) da cui provenivano Dr Dre, Suge Knight e quasi tutto il personale della Death Row, ma membro di una gang rivale, che fu coinvolto in una rissa con Tupac e tutto il gruppo della casa discografica al Casino Mgm immediatamente dopo l’incontro di Mike Tyson. Questione di feeling, o forse dissing, visto che ‘Pac non aveva da tempo buoni rapporti con Notorious Big – i due si sono insultati reciprocamente nelle loro canzoni, alimentando la faida americana tra East e West Coast. Quel che resta, attualmente, è il mito di un artista controverso che è stato idolatrato quasi eccessivamente dai fan dell’Hip Hop. Una convinzione americana prevede che, chi scampa a due attentati, possa cambiare identità e vita: così c’è chi pensa che Tupac abbia deciso di dare un netto taglio con il passato, ricominciando da zero. Oppure che sia ancora vivo e si nasconda tra i milioni di abitanti della città degli angeli. La morte misteriosa, il personaggio estremo, forse questi elementi hanno sviato il giudizio sulla musica dell’artista, concentrando l’attenzione su vicende che esulano dall’operato sonoro.
Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna: in questo caso, la madre, Afeni Shakur, che ha sempre vissuto accanto al suo “serpente splendente” – Amaru, in onore ad un capo inca così definito –. La mamma del defunto rapper ha sempre saputo cosa volesse dire appartenere ad una categoria sociale minoritaria. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando negli Stati Uniti era in corso il movimento dei diritti civili per gli afroamericani, Afeni Shakur entrò a far parte del gruppo rivoluzionario per la lotta delle Pantere Nere. “Black Panther Party for Self-Defence”, come soleva definirsi, era l’organizzazione fondata da Huey P. Newton e Bobby Seale ed aveva il principale obiettivo di sviluppare ulteriormente il movimento di liberazione degli afroamericani fino ad allora pesantemente discriminati, socialmente, politicamente e legislativamente. Il movimento di liberazione stava conoscendo negli anni Sessanta un rapido sviluppo grazie all’opera di attivisti come Malcom X e Martin Luther King. Afeni ha pagato in prima persona la scelta di difendere i propri diritti, infatti, nel ’71 trascorre l’intero periodo della gravidanza dietro le sbarre: era finita in carcere per aver piazzato un ordigno esplosivo in un edificio newyorkese (non era cattiva, stava prendendo parte alla “lotta armata” per l’affermazione del “Ten point plan”). Ben conscia di questo, il 16 giugno dello stesso anno, dà alla luce Lesane Parish Crooks (nome originario di Tupac, prima di esser ribattezzato all’età di sei anni) accanto al quale trascorrerà buona parte della sua vita, supportandolo sempre (o quasi) nell’espressione del proprio talento. La figura della donna non fu una guida ed un esempio soltanto per il figlio, che successivamente scrisse per lei la canzone “Dear Mama”, ma anche per tanti altri artisti appassionati dell’Hip Hop. L’anno seguente all’uccisione del figlio fondò la “Tupac Amaru Shakur Foundation”, un’associazione senza scopi lucrativi per l’aiuto e il sostegno delle famiglie povere e dei giovani afroamericani per allontanarli dalla realtà delle bande di strada. Ennesima dimostrazione di quanto tenesse a far emergere qualcosa di buono dalla società, la stessa che le aveva portato via il figlio e contro cui si era scagliata quando il suo ragazzo, trovato morto, veniva accusato dall’etichetta discografica per non aver onorato alcuni prestiti. Inoltre, la donna, è riuscita ad ottenere la gestione dei diritti d’immagine del figlio potendo, quindi, evitare ulteriori speculazioni su una figura già troppo chiacchierata.
Una mamma chioccia sui generis che ha tutelato non solo suo figlio, ma anche tanti ragazzi in difficoltà, col suo operato. Infatti, nel giorno della sua morte – avvenuta il 2 maggio 2016, in seguito ad un arresto cardiaco, nella sua abitazione – tanti hanno voluto renderle omaggio. Non era soltanto colei che aveva generato uno tra i più grandi artisti contemporanei, ma era anche quel tipo di persona in grado di ricostruire e ricostruirsi sopra le macerie della vita, dando persino speranza alle generazioni future. Eminem, uno degli eredi di quella stessa cultura, la ricorda così:
“Cara Afeni,
Scusami se può sembrare un po’ approssimativo, avrei potuto farlo un po’ meglio se avessi avuto le giuste matite. Invece ho dovuto disegnarla con una penna. In più, ero dell’idea che fosse un po’ troppo tardi. Ma io disegno da quando avevo 10 anni e ho pensato potesse piacerti. Comunque, grazie per essere sempre molto gentile con me. Tu sei una vera Regina e intendo in ogni senso di questa parola. Non dimenticherò mai le opportunità che mi hai dato. Tu sarai sempre nel mio cuore, nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Come ho detto prima, non hai idea di quanto tuo figlio e la sua musica abbiano ispirato, non solo il mondo “Hip Hop”, ma, parlando per me, ha ispirato la mia intera carriera. Lui è stato, ed è ancora, la vera definizione di un “Soldato”. Quando mi sentivo male; (prima della fama, prima di Dre) sapevo che potevo mettere quella “Cassetta di Tupac” e che improvvisamente, le cose non erano così male. Lui mi ha dato il coraggio di alzarmi e di dire “Fan**lo il mondo!” “Questo è quello che sono! E se non ti piace, vaffa***lo!” Grazie per averci dato il suo spirito ed il tuo! Dio ti benedica!
Con amore,
Marshall”
Articolo di Andrea Desideri