Il Presidente della Fish Lazio interviene sulla questione della ragazza con Sma a cui è stata negata l’assistenza personale
Il Comune di Roma per ora non le concede il servizio, nonostante abbia una grave patologia invalidante, viva su una sedia a ruote elettronica e sola in un appartamento nella Capitale. A Ketty Giansiracusa, ragazza di trentadue anni affetta sin dalla nascita da atrofia muscolare spinale, i servizi territoriali del II Municipio del Comune di Roma dicono che occorre aspettare almeno un anno prima di ottenere qualcosa. Nel frattempo lancia una raccolta fondi su Facebook per far fronte ai suoi bisogni assistenziali in modo da non esser costretta a tornare nella casa dei genitori in Sicilia: dopo dieci anni di vita nello studentato dell’Università La Sapienza, significherebbe rinunciare alle conquiste su se stessa fatte con impegno e fatica.
Un modo inusuale, quello di una raccolta fondi su un social network, che suona a tanti come una denuncia verso chi non garantisce un diritto fondamentale. C’è bisogno di capire meglio perché a Roma una persona con una disabilità grave e altamente invalidante, non potendo contare sull’aiuto della famiglia, non possa accedere direttamente a una forma di assistenza che le permetterebbe di fare una vita normale. Su questo abbiamo voluto conoscere il parere del Presidente della Federazione Italiana Superamento Handicap del Lazio, Daniele Stavolo. La Fish è la più rappresentativa federazione di associazioni che si occupano di disabilità, inclusione sociale e diritti.
Quello di Ketty è un episodio isolato oppure ci sono altri casi di questo tipo?
“Purtroppo non si tratta di una situazione isolata. Anzi, potremmo definirla ‘routine’ per coloro che si rivolgono al proprio Municipio per chiedere l’attivazione delle necessarie forme di assistenza. Le interminabili liste di attesa e i ritardi nei pagamenti per gli stipendi degli assistenti costituiscono le principali cause di disagio per la persona ma anche per la famiglia, quando presente, che in queste circostanze continua a rappresentare l’unica forma di welfare certa.
È indispensabile ricordare che il sostegno fornito dall’assistente personale è ormai considerato una risorsa irrinunciabile sin dal momento in cui la persona si sveglia la mattina. I percorsi socio assistenziali, in particolare quelli autogestiti, consentono alle persone di alzarsi dal letto, di uscire di casa, di andare a scuola o al lavoro, di emanciparsi dalla famiglia di origine e di costruirne una propria; nell’insieme, di realizzare possibili progetti di vita. E diventano uno dei primi strumenti che garantiscono piena partecipazione della persona alla vita della collettività”.
Ketty non ha la famiglia a Roma. Da studentessa ha avuto una copertura assistenziale importante, che le ha permesso di emanciparsi grazie al servizio regionale di Laziodisu, ma ora che deve accedere ai servizi territoriali del Comune di Roma, ha di fronte una prospettiva davvero sconfortante. Quali sono solitamente i tempi di attesa per una persona con disabilità per poter accedere all’assistenza?
“In realtà non esiste una risposta alla tua domanda. Vi sono diversi fattori che determinano le tempistiche di attesa, che solitamente sono annuali e pluriennali. Ciò che è certo è che tra le diverse zone della Capitale esiste una importante difformità nell’accesso e nell’erogazione di questo servizio fondamentale. Numerose sono le segnalazioni che arrivano da famiglie e associazioni, relative ad una organizzazione poco efficiente del servizi, anche quando già attivati, con la conseguenza di non considerare le reali esigenze delle persone e di predisporre l’assistenza sulla base del luogo di residenza. Una situazione che genera profondi disagi, che non possono e non devono essere scaricati sulle spalle delle famiglie, se non si vuole che la disabilità della persona debba essere considerata come ulteriore causa di impoverimento sociale ed economico”.
Perché occorre aspettare tutto questo tempo? I fondi stanziati non sono sufficienti per il fabbisogno necessario?
“Raramente i fondi erogati soddisfano il bisogno concreto dei cittadini, che dovrebbe tradursi ed essere riconosciuto come Diritto Umano, quindi pienamente esigibile. La scarsità dei fondi diventa però un falso problema se non affrontiamo anche la questione del modo in cui gli stessi vengono impiegati. In questa città, ma lo stesso accade in moltissimi territori italiani, si continua a ragionare sui singoli servizi erogati e non sull’effettivo livello di bisogno della persona, sulle sue attitudini e i suoi desideri.
Ad oggi il servizio di assistenza dovrebbe inserirsi nell’ambito di un progetto individuale, modello che favorisce una presa in carico complessiva e strutturata e che pone la persona al centro del sistema, garantendole personalizzazione e flessibilità nel tempo degli interventi in suo favore, con l’integrazione di diverse tipologie di servizi rispondenti, nella qualità e nella quantità, alle esigenze e agli impegni di vita del fruitore. Seguendo questa impostazione si potrà iniziare a parlare di budget personale, attraverso il quale è la persona a scegliere liberamente le prestazioni a cui accedere, evitando la ben nota frammentazione e conseguente minore efficienza dei benefit offerti”.
Articolo di Massimo Guitarrini