È il 27 agosto 2015 quando il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, comunica durante una conferenza stampa la decisione di sciogliere il X Municipio di Roma (Ostia, Acilia e Infernetto) a causa delle infiltrazioni mafiose, e dunque di commissariarla. «Ho proposto lo scioglimento del decimo Municipio di Roma Capitale e il CdM (Consiglio dei Ministri, ndr) ha approvato e accettato la proposta», dichiarò Alfano. E così, dopo l’arresto dell’ex presidente del Municipio sotto il PD, Andrea Tassone, nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale, per la successione fu nominato il prefetto Domenico Vulpiani, insieme al vice prefetto Rosalba Scialla e al dottor Maurizio Alicandro. Solo qualche mese dopo arrivò un altro commissariamento, che produsse un tonfo molto più rumoroso: verso la fine di ottobre del 2015, ventisei consiglieri comunali di Roma consegnavano nelle mani di un notaio le proprie dimissioni: di conseguenza, la giunta veniva sciolta e il sindaco Ignazio Marino (PD) perdeva la propria carica di primo cittadino romano, ottenuta nel 2013. Al suo posto, su indicazione del governo, fu nominato il commissario Francesco Paolo Tronca. Il resto è storia ben nota: nel giugno 2016 Virginia Raggi del Movimento 5 Stelle diventa il primo sindaco donna a guidare la Capitale, battendo Roberto Giachetti (PD). Tutto questo mostra come a Roma, in questi ultimi anni, ci siano state dalle infiltrazioni mafiose, anche se spetterà ai giudici definire se si è trattato di mafia oppure se i capi di imputazione saranno altri. È certo però che qualcosa di serio è successo. La prima conseguenza dell’inchiesta Mafia Capitale furono una serie di commissariamenti,: ancora oggi, il decimo Municipio è sotto il prefetto Vulpiani. Ma in cosa consiste il commissariamento? E quanti ne sono stati eseguiti in Italia negli ultimi vent’anni? E come si lega questo tema con la mafia?
Partiamo dal principio, sulla procedura di commissariamento. Il Presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, ordina lo scioglimento di un consiglio comunale in base ad un indice indiretto dell’efficienza delle amministrazioni. Le principali cause di un commissariamento possono essere raggruppate in due macrocategorie: questioni politiche (dimissioni dei consiglieri o del sindaco, mozioni di sfiducia) e cattiva gestione (infiltrazioni mafiose, mancata approvazione del bilancio e decadenza del sindaco). Ovviamente, questo si ripercuote negativamente sull’amministrazione locale: basti pensare che i tre commissariamenti che hanno coinvolto la Capitale dal 2000 ad oggi hanno rallentato in modo significativo la gestione dei servizi fondamentali per i cittadini. Questo è anche dato dal fatto che le pratiche per tale operazione tecnica richiedono tempi molto ampi, soprattutto nel caso di un’infiltrazione mafiosa, il cui provvedimento segue un iter particolare. Innanzitutto, il prefetto nomina una commissione d’indagine che nel giro di tre mesi (rinnovabili per altri tre) deve fare le dovute verifiche e consegnare le proprie conclusioni al prefetto. Entro 45 giorni lo stesso Prefetto invia al Ministro dell’interno una relazione completa su quanto raccolto. Successivamente, il Presidente della Repubblica, su consiglio del ministro, decreta o meno lo scioglimento. L’intervento ha effetto per un periodo dai dodici ai diciotto mesi, prorogabili fino a ventiquattro. Contro tale decreto si può ricorrere in prima battuta dinanzi al Tar e in appello al Consiglio di Stato.
In generale, secondo i dati diffusi da Openpolis nel minidossier Fuori dal Comune, dal 2001 al 2014 sono stati sciolti 2.385 consigli comunali, con una media di 170 provvedimenti all’anno: in tal senso, ogni dodici mesi sono 2,5 milioni (circa il 4%) i cittadini interessati da questo tipo di vicende. Ovviamente, i commissariamenti riguardano tutto il suolo nazionale. Ma, se volessimo circoscrivere i dati nel constante dualismo Nord-Sud tipica del Bel Paese, emerge una gigantesca differenza. L’impatto delle amministrazioni straordinarie, infatti, è più affluente nel mezzogiorno, anche se al nord la statistica è in lieve aumento. Sempre tra il 2001 e il 2014, diciotto delle venti regioni italiane hanno registrato almeno un provvedimento straordinario, sei delle quali collezionano il 70,36% dei casi: Campania 18,28%; Lombardia 13,46%; Calabria 12,29%; Puglia 9,39%; Piemonte 8,39%; Lazio 8,01%; solo Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta non hanno avuto amministrazioni commissariate.
Come se non bastasse, il record di commissariamenti in un singolo anno spetta alla Campania: nel 2009 ci sono stati 43 consigli comunali sciolti. Neanche un’altra visione d’insieme salva il mezzogiorno: nel 2001 il 60,50% dei comuni commissariati era al sud, il 28,70% al nord e il 10,80% al centro; nel 2014 il sud è sceso al 45,80%, mentre il nord e il centro sono saliti rispettivamente al 36,60% e al 17,60%. Per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose, dal 1991 al 2014 sono stati sciolti per mafia 258 comuni, 171 casi tra il 2001 e il 2014 (97,08% solo nel mezzogiorno, 2,34% nord e 0,58% il centro). Particolarmente significativi sono i numeri registrati sotto il governo tecnico di Mario Monti nel 2012: i decreti di scioglimento per infiltrazioni mafiose aumentarono del 380%. E, anche qui, il sud si è fatto riconoscere per un triste primato. In Italia ci sono nove città che sono state commissariate tre volte per cause di stampo mafioso: quattro in Campania, quattro in Calabria e una in Sicilia. Caso particolare Casal di Principe che, oltre ai tre scioglimenti per criminalità organizzata, ne ha avuti sei per altri motivi.
Trovare soluzioni a queste problematiche risulta, ancora oggi, difficile e complesso. L’inchiesta di Mafia Capitale ha sottolineato quanto le ragioni che stanno alla base di un commissariamento possono indicare ramificazioni profonde e, il più delle volte, non note alle cronache. Servirebbe, per ipotesi utopica, uno sguardo più attento e controllato a chi entra a far parte di una giunta o assemblea. Ma, di questi tempi, è chiedere troppo.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante