Arriva la bella stagione e quindi ognuno di noi è messo alla prova dal punto di vista fisico, infatti – non a caso – la “prova costume” è il culmine di un percorso che dovrebbe durare un anno: la cura del corpo e del fisico è qualcosa che riguarda chiunque. Non soltanto per i risvolti legati all’estetica. C’è chi aiuta ogni persona nel raggiungimento di un obiettivo, loro sono i personal trainer, cioè quei tipi che trovate ad accogliervi in palestra, pronti a schedarvi (non è una minaccia, ma una procedura necessaria, in tal caso) e ad accompagnarvi nel vostro percorso di potenziamento o riabilitazione fisica. La cura personale coinvolge anche – e soprattutto – le persone con disabilità che, a seconda della loro patologia, possono svolgere vari tipi di attività e sport. Le figure dei terapisti e dei personal trainer divengono, quindi, fondamentali. Ragazzi, più o meno adulti, qualificati con la passione per le scienze motorie, a disposizione della collettività. Abbiamo incontrato Claudia Niutta, studentessa e istruttrice di fitness e nuoto, ci ha raccontato la sua esperienza di lavoro ed approccio con bambini affetti da deficit cognitivi e disturbi dell’attenzione. Inoltre, abbiamo parlato anche della sua parentesi all’estero e dell’accessibilità di Valencia.
Che fai nella vita e cosa ti ha spinto a scegliere questo lavoro/passione?
Sono una studentessa di scienze motorie e nel frattempo per pagarmi gli studi e togliermi qualche sfizio lavoro come istruttrice di fitness e di nuoto in diverse palestre. Ora però sono in vacanza dal lavoro perché mi sto per laureare e sto dedicando un po’ più di tempo allo studio. Questo lavoro lo faccio per passione senz’altro e poi perché mi ci sono ritrovata dentro, essendo cresciuta dentro i centri sportivi. Ho praticato nuoto agonistico per 12 anni, fino ad ormai quasi tre anni fa (mamma mia già 3 anni son passati!) passavo tutti i miei pomeriggi tra piscine e palestre, ecco perché sono ancora in questo ambiente, è la mia seconda casa.
Cosa consigli a chi fa attività fisica per rimettersi in sesto nel miglior modo?
Dipende da quale sia il problema, c’è chi fa attività fisica solo per sentirsi meglio col proprio corpo, chi invece per curare patologie specifiche o recuperare da un infortunio. Ognuno ha il suo percorso da seguire, io consiglio sempre di affidarsi ad un esperto del settore, qualcuno che vi sappia indicare e che vi segua nella strada da percorrere perché tal volta fare da soli peggiora solo le cose e non porta al raggiungimento di alcun obbiettivo, qualunque esso sia.
Sei stata in Erasmus, ci racconti quell’esperienza e soprattutto le caratteristiche della città?
E’ stata l’esperienza più bella della mia vita, già amavo la Spagna prima di partire ma viverci è stata senza dubbio la cosa più fantastica che io abbia mai fatto in tutta la mia vita e sono felice che la mia scelta sia ricaduta proprio su Valencia. E’ una città giovane, solare, vivace, non ti stanca mai! Ti trasmette energia sempre, non è mai triste o banale, ti fa scoprire sempre cose nuove e interessanti. Ti stupisce. E’ grande ma non troppo, tutto quello che ti serve è raggiungibile a piedi o in bici. Valencia è interamente percorsa da piste ciclabili, con biciclette pubbliche parcheggiate per strada ad ogni incrocio: “Valenbici” è sicuramente una delle cose più funzionali di Valencia ed è una delle caratteristiche principali della città. Inoltre le strade sono grandi, spaziose, curate ed estremamente ordinate, tutte cose che mi hanno veramente stupito, in positivo! E la cultura non manca, anzi, è famosa in tutto il mondo per la sua Ciudad de la Ciencias.
Dal punto di vista di una persona con disabilità, era un posto accessibile o c’erano barriere?
E’ una città accessibile a tutti, i marciapiedi e le strade sono grandi e spaziosi, tutti gli incroci hanno gli scivoli per le carrozzine, le strisce pedonali sono ovunque, non come a Roma che a volte bisogna camminare centinaia di metri per attraversare una strada! E anche la metro e le università sono accessibili alle persone con disabilità senza problemi, con ascensori funzionanti e funzionali, grandi e spaziosi.
Hai avuto modo di notare qualche differenza nell’approccio e la relazione con persone disabili tra Italia ed estero?
Sicuramente in Spagna questa differenza si nota molto meno, adesso che ci penso faccio fatica ad individuare persone con handicap poiché sono integratissime nella società e i pochi che ho visto erano assolutamente indipendenti.
In cosa dobbiamo migliorare secondo te?
In Italia parliamo tanto di integrazione ma in realtà quello che facciamo è includere, niente più. L’inclusione però è il primo step, l’integrazione presuppone l’inclusione ma è un passaggio molto più complesso e che richiede molto più tempo. Non basta mettere le persone tutte insieme, bisogna farle sentire parte di un qualcosa, bisogna imparare ad esaltare l’individualità della persona. Diverso è bello e non strano. Questo forse è il primo passo per migliorare la nostra mentalità…
Ti è mai capitato di fare lezione a persone con disabilità? Se sì, dove punti di più nel lavoro con loro?
Mi è capitato di lavorare con bambini affetti da deficit cognitivi e disturbi dell’attenzione. Con loro non ho mai cambiato metodo di lavoro, anzi ho sempre evitato di fare lavori differenziati che a mio parere vanno solo ad accentuare l’eventuale divario (se c’è), piuttosto cerco di coinvolgere sempre tutti insieme, poi nell’acqua e con i bambini, viene tutto più semplice.
Qual è la tua visione riguardo all’integrazione sociale?
Io credo che il concetto di integrazione presupponga l’idea di una società aperta, fondata sul riconoscimento dei diritti umani, della democrazia e del principio di eguaglianza, della coesione sociale, delle pari opportunità tra classi sociali. In Italia quando si parla di integrazione si pensa subito agli immigrati, per carità non che questo sia sbagliato. Ma come possiamo occuparci degli immigrati se prima non riusciamo a integrare quella parte di popolazione italiana considerata diversa? Parlo dei disabili, come dei ragazzi affetti da problematiche mentali o deficit cognitivi o quel che sia. Dovremmo partire prima da lì per innescare un meccanismo di integrazione che non sia “chiuso” solo all’idea degli stranieri, perché a mio parere prima ci sarebbero altre situazioni, anzi mentalità, da cambiare!
Se una persona con disabilità volesse affrontare un Erasmus, le università italiane hanno gli strumenti adatti – secondo te – oppure manca qualcosa?
Credo che le difficoltà siano più per le istituzioni italiane, e di tipo burocratico, perché ho notato che all’estero sono tutti molto più preparati di noi. Addirittura ho visto che ci sono borse di studio riservate alle persone disabili, cosa che anche qui nel nostro paese, non so se esista, ma potrebbe esserci tranquillamente, purtroppo però non è assolutamente incentivata a parer mio.
Quante ore ti alleni al giorno?
Attualmente cerco di allenarmi almeno 3/4 volte a settimana un paio d’ore, l’allenamento varia in base all’umore o all’obbiettivo che voglio raggiungere in quel periodo dell’anno.
Cosa vorresti fare da grande?
Bella domanda, sto cercando di capirlo pian piano. Vado avanti un passo alla volta e prendo quello che la vita mi sta offrendo senza pressioni né fretta. Voglio godermi tutto quello che arriva a pieno e gustarmi ogni attimo. Devo dire che questo mio atteggiamento mi sta ripagando perché col tempo sto capendo che strada seguire, ma non dico nulla per scaramanzia.
Come vedi il tuo futuro?
Pieno e felice, spero che sarà davvero così. La felicità credo sia quella che tutti cerchiamo, io spero di poter dire un giorno di averla trovata, mi piacerebbe alzarmi una mattina e dire “ho tutto quello che ho sempre sognato” e non parlo di cose materiali, perché il bene più prezioso sono le persone che ci circondano. E poi un giorno vorrei riuscire ad essere un genitore bravo tanto quanto lo sono stati i miei e trasmettere ai miei figli quella passione per la vita e quella forza da combattente che hanno trasmesso a me, forse così potrò ritenermi soddisfatta!
Lavoreresti nel sociale?
Mi piacerebbe ma non ne ho mai avuto l’occasione, chissà in futuro potrebbe accadere.
Articolo di Andrea Desideri