Una nota speaker radiofonica critica su Facebook il lavoro dei quotidiani italiani, colpevoli secondo lei di aver dato troppo spazio alla vicenda dell’astronauta Samantha Cristoforetti. Il web innalza vessilli di guerra, commentando come l’affermazione sia inutile e in contrasto con vecchie rivelazioni fatte dallo stesso personaggio. Si punta il dito, si battono alla tastiera parole forti, crude e senza scrupoli. Si versano fiumi di articoli su varie testate giornalistiche. Ci indigniamo.
A Roma, un alunno autistico subisce diversi comportamenti violenti da parte di un docente. Viene scoperta, sconterà due mesi di carcere. A malapena solleviamo il dito, forse clicchiamo l’opzione Condividi, qualche giornale ne parlerà in poche righe. Non ci indigniamo.
Internet e i social network sono diventati casse di risonanza per tanti eventi, fatti e vicende che prima forse non avremo mai conosciuto. La stessa Radio FinestrAperta esiste grazie al web. D’altro canto però la vita interattiva concede a chiunque la possibilità di parlare, di giudicare, di scegliere e di dire la sua. Oggi noi possiamo decidere – ancora non pienamente liberi dalle istituzioni – cosa ricordare e cosa dimenticare. In questo contesto, nel quale ci troviamo dotati di un piccolo potere (la condivisione) che può fare realmente la differenza, decretiamo indignazione per un giudizio di una speaker radiofonica, che possiamo trovare giusto o sbagliato, e restiamo in silenzio di fronte al magro risultato di una sentenza.
Il primo caso crea notizia, crea condivisione e genera comunità di commenti. Il secondo non viene condiviso da tutti, si lascia nell’oblio. Probabilmente ci si interessa in parte, si commenta tra di sé. E poi basta. Si lascia così, passeggero seduto con altre vicende nella carrozza del dimenticatoio. Perché? Fondamentalmente, non fa parte della nostra cultura indignarci per cose serie. O più nello specifico, non siamo interessati ai fatti inerenti al mondo della disabilità. Siamo lì inermi, pronti forse a parlare di questa situazione semplicemente perché esiste il mondo della disabilità nelle sua differenza, come se fosse un crimine o una caratteristica negativa, e non lo includiamo nell’immaginario quotidiano.
Prima ancora di un bambino autistico, qui parliamo di una maestra che ha ripetutamente usato atti violenti nei confronti di un alunno di 6 anni e ha minacciato gli altri allievi presenti in classe di non dire nulla ai genitori. Pena, la nota. I fatti in questione, risalenti all’anno scolastico 2009/2010, hanno avuto il 12 Giugno 2015 come risultato questa sentenza: la maestra Mara Felici è stata condannata a due mesi di carcere per abuso di mezzi di correzione, nonostante i suoi comportamenti violenti abbiano causato al bambino uno “stato fobico ansioso”, guaribile in 40 giorni. Non ci indigniamo.
Non è l’unico esempio. Siamo a Velletri, Istituto Alberghiero. Un’alunna con disabilità subisce violenze da quattro suoi compagni di classe. La maestra, presente sul fatto, non interviene a soccorrere l’allieva, nonostante le grida di quest’ultima. Il fatto emerge, la docente Elena Agliotti viene sospesa per 20 giorni e il suo stipendio dimezzato. Non ci indigniamo. Restiamo a guardare, come impauriti dall’utilizzare parole fuori posto nei confronti di una persona con disabilità, mentre non pensiamo al magro e discutibile risultato della sentenza. E via, tutto resta nell’oblio.
Ecco, ci indigniamo quando fa comodo, quando è più facile far crescere il dissenso. Non importa se conosciamo bene l’argomento, possiamo indignarci perché in quella situazione è facile giudicare, è puro istinto. Ma per il resto non ci indigniamo. Non quando serve per sottolineare quanto la realtà necessiti di un cambiamento.