Ormai possiamo dirlo, ci siamo. Tra poco meno di un mese, domenica 4 dicembre, gli italiani saranno chiamati a votare per il Referendum Costituzionale 2016 (o ddl Boschi). Dalle 7 alle 23, circa 51 milioni di cittadini aventi diritto di voto (di cui 3,5 milioni residenti all’estero) potranno scegliere se cambiare o meno la Costituzione Italiana. La preferenza, quella tra il Si e il No, è molto complessa, in quanto in gioco c’è il futuro del nostro paese: in sintesi, tale referendum chiama in causa la Riforma del Senato (e la possibile e conseguente fine del bicameralismo perfetto), dell’elezione del Presidente della Repubblica, del Titolo V (riguardante l’abolizione delle Province e la soppressione del CNEL), dei Referendum e delle proposte di legge popolari. Va tenuto conto però che si tratta di un referendum confermativo e non abrogativo, e dunque non sarà necessario raggiungere il quorum di validità (50% più uno gli aventi diritto al voto che si recheranno alle urne). In un nostro recente articolo abbiamo già spiegato dettagliatamente cosa ci aspetta da questo disegno di legge. Ora, però, vogliamo dare uno sguardo al passato, in quanto l’Italia è stata già oggetto di riforme costituzionali in diverse occasioni. Insomma, non è la prima volta che Camera e Senato sono chiamati a cambiare la Costituzione Italiana. Per dare un’organizzazione tematica, possiamo individuare principalmente due fasi: la prima iniziata negli anni 80, con la formazione della prima commissione parlamentare bicamerale di Riforma Costituzionale (che ha determinato per vent’anni le proposte di tipo bi-partisan); la seconda cominciata dopo gli anni 90, che ha fissato il passaggio alla maggioranza per le modifiche costituzionali.
ANNI 80 – Nella prima fase storica in esame, Camera e Senato hanno tentato ben tre volte di avviare processi di riforma attraverso organi composti da deputati e senatori, appunto le cosiddette bicamerali. In totale, abbiamo avuto tre tentativi, tutti che hanno dato esito negativo. Il primo risale al 1983, la cui bicamerale era presieduta dal deputato Aldo Bozzi. I lavori coinvolsero 40 parlamentari e durarono 50 sedute. Nel gennaio 1985 ci fu la relazione finale deliberata dalla commissione, che prevedeva la revisione di 44 articoli della Costituzione (tra cui troviamo: la differenziazione del bicameralismo con il principio del silenzio-assenzo, per cui le leggi approvate da una Camera possono essere richiamate dall’altra entro un determinato lasso di tempo, altrimenti si danno per approvate definitivamente; l’abolizione del semestre bianco, così il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere anche negli ultimi sei mesi del suo mandato; fiducia solo per il Presidente del Consiglio; attuazione dell’articolo 39 sull’organizzazione sindacale e partitica). L’esame parlamentare e la trasposizione delle proposte in disegni di legge furono lasciati all’iniziativa dei singoli gruppi politici, che però non raggiunsero un accordo. Il secondo tentativo ci porta indietro nel 1992, nella bicamerale presieduta prima da Ciriaco De Mita e poi da Nilde Iotti, che coinvolse 60 parlamentari. Dopo le 60 sedute, la commissione approvò un testo di riforma di 22 articoli al centro del quale vi era la proposta di introdurre un governo neoparlamentare, che avrebbe riformato vari aspetti del potere esecutivo (oltre a: attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nomina e revoca dei ministri; introduzione della sfiducia costruttiva; riduzione del numero dei ministri; limitazioni dell’adozione dei decreti di legge da parte del Governo che diventano inemendabili; ampliamento del potere regolamentare del Governo; abbreviazione a 4 anni della durata della legislatura; ridefinizione dell’inchiesta parlamentare; divisione della legislazione statale da quella regionale con precisa divisione nelle competenze tra Parlamento e Consigli Regionali). Il tutto fu presentato ad entrambe le camere nel gennaio 1994, ma la riforma venne abbandonata per la conclusione anticipata della legislatura. L’ultima bicamerale risale al 1997 e fu presieduta da Massimo D’Alema. In questo caso, 70 membri si riunirono in 71 sedute e riuscirono a portare il testo in aula (nel quale troviamo: assegnazione alle Regioni della potestà legislativa; riconoscimento dell’autonomia finanziaria degli enti locali; governo semipresidenziale; riduzione del numero di deputati e senatori e differenziazione del bicameralismo; rafforzamento dei poteri del Governo rispetto al Parlamento; differenziazione tra leggi bicamerali paritarie, non paritarie e monocamerali; aumento del numero dei membri laici nel Consiglio Superiore della Magistratura; impossibilità di sovrapposizione nelle funzioni per i giudici e i pubblici ministeri; possibilità per tutti i cittadini di rivolgersi alla Consulta). Nonostante le camere cominciarono a discutere del provvedimento da gennaio 1998, i lavori furono interrotti per forti divergenze fra le diverse parti politiche coinvolte.
DOPO GLI ANNI 90 - Dopo questi tre tentativi falliti, il parlamento decise di adottare un altro sistema, quello della maggioranza. Come riportato da Openpolis, questo ha determinato una netta crescita delle riforme al testo costituzionale: dal 1948 al 1998 (anno in cui si chiuse l’ultima bicamerale), le leggi di modifica alla costituzione sono state 7, nei 18 anni successivi 9. Dunque, il 56,25% delle leggi di riforma costituzionale (una ogni due anni) è stato approvato. Tra le più importanti, ricordiamo la riforma del Titolo V nel 2001 sotto il governo Silvio Berlusconi (riguardante il riconoscimento dell’autonomia locale degli enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica, come Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni) e l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012 sotto Mario Monti.
OGGI – Veniamo al Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016. L’iter del ddl Boschi è stato particolarmente lungo: l’8 aprile 2014 è stato presentato a Palazzo Madama e solo il 12 aprile 2016 è stato approvato. Poiché un ddl che richiede solo due approvazioni impiega circa 237 giorni per diventare legge, i 731 giorni di discussione (346 Senato, 385 Camera) risultano essere dati nella media. Si tratterà del terzo caso in cui i cittadini italiani saranno chiamati a votare su una Riforma Costituzionale. Prima, ci sono state solo due occasioni: nel 2001 e nel 2006. Nel primo caso, come ricorda Openpolis, parteciparono 16,8 milioni di cittadini, a fronte di un corpo elettorale di quasi i 50 milioni di elettori, un’affluenza del 34,05% che diede la vittoria al Si per la modifica al titolo V della Costituzione (10,4 milioni di italiani, cioè il 64,21%, per il Si; 5,8 milioni, cioè il 35,79%, per il No). Nel caso del 2006, invece, la riforma costituzionale ebbe esito negativo. In quell’occasione si discusse su diversi aspetti: dalla devoluzione dei poteri alle regioni, alla trasformazione del senato in senato federale, fino all’istituzione del “premierato forte”. Ventisei milioni di italiani si recarono alle urne, di cui quasi 16 milioni di cittadini (61,29%) contrari. I favorevoli si attestarono intorno ai 10 milioni (38,71%).
Rispetto ai referendum di tipo abrogativo, nel prossimo caso il tema dell’affluenza alle urne non sarà determinante. La storia ci insegna però una lezione molto importante: cambiare la Costituzione Italiana non è semplice e, soprattutto, è un passo delicato per il futuro del bel paese. In questo contesto non vogliamo parteggiare per il Si o per il No, ma sottolineare quanto una scelta presa consapevolmente abbia un peso decisamente differente rispetto ad una preferenza data per partito preso. Gli esempi della Brexit e delle recenti presidenziali americane devono essere per noi dei campanelli d’allarme, al fine di non ritrovarci in situazioni che i cittadini, in primis, non potranno gestire. Dunque, è bene informarsi e guardare al passato, per trovare la via del nostro futuro.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante