Da diverso tempo è partita una campagna su Change.org per richiedere l’accesso diretto alla 104 per tutte le persone affette da artrite psoriasica, malattia che colpisce le articolazioni e di cui se ne sa ancora molto poco. Facciamo il punto della situazione, assieme a una persona che n’è affetta.
La legge n. 104 del 1992 permette l’accesso ai benefici economici e sociali per tutte quelle persone con disabilità, con lo scopo di garantire piena dignità agli individui a cui è rivolta. Da diverso tempo, tale legge è divenuta obiettivo delle persone con artrite psoriasica, malattia infiammatoria cronica che colpisce le articolazioni dei soggetti affetti da psoriasi.
Le cause di questa malattia non sono ancora ben note, ma vi sono alcuni fattori che sono stati individuati come motivi principali della sua esistenza. Specificatamente, la psoriasi comporta la comparsa di chiazze rosse con al di sopra placche bianche in diverse zone del corpo (come i gomiti, le ginocchia, le caviglie, le mani, i piedi e così via) e, in seguito, può sviluppare l’artrite, anche se può avvenire il contrario. Per essere più specifici, la malattia “si verifica quando il sistema immunitario, che normalmente difende l’organismo dall’aggressione di agenti estranei (batteri, virus ecc.), attacca cellule normali dell’organismo, provocando infiammazione delle articolazioni e produzione eccessiva di cellule della pelle”, come spiega l’Osservatorio Malattie Rare: “Non si conoscono i motivi che causano la reazione del sistema immunitario contro cellule normali, ma si ipotizza che fattori genetici e ambientali, come alcune infezioni, giochino un ruolo in persone predisposte”.
Alcuni dei sintomi più frequenti sono rappresentati dal gonfiore e dal dolore alle articolazioni: nella fase iniziale, è presente un’entesite (infiammazione delle entesi, che sono le inserzioni tendinee nell’osso) che può degenerare, causando un versamento infiammatorio nell’articolazione. Le zone principalmente colpite sono quelle delle mani, dei piedi, dei talloni e della colonna vertebrale, e, nel lungo termine, tutto questo può comportare enormi disagi e fatiche quotidiane.
Lo sa bene Roberto Quagliatti, che qualche tempo fa ha dato il via a una raccolta firme su Change.org indirizzata al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e al Sindaco di Roma, Virginia Raggi, per chiedere l’integrazione diretta nella 104 per le persone affette da artrite psoriasica. Il quadro è abbastanza ingarbugliato, in quanto al centro della matassa abbiamo qualità della vita, medicina e legislazione. Così, abbiamo incontrato una donna di 56 anni residente a Roma affetta da tale condizione, che preferisce restare anonima.
Quali sono le fatiche quotidiane che più influenzano la qualità della vita di una persona affetta da artrite psoriasica?
“Chiaramente le difficoltà quotidiane variano da persona a persona. Ma generalmente ci si alza al mattino con difficoltà a causa di una diffusa rigidità articolare e con la stanchezza già presente. Il sonno infatti spesso non è ristoratore. È necessario dormire il più possibile durante la notte, ma è difficile a causa dell’insonnia di cui generalmente soffrono le persone con questa malattia. Personalmente ho dovuto smettere di guidare, sia perché mi risultava troppo faticoso, sia a causa della secchezza oculare (spesso associata alla malattia). Posso prendere i mezzi pubblici solo per viaggi non troppo lunghi e con pochi trasbordi, ma solo negli orari in cui posso trovare posto a sedere; per questo motivo svolgo il mio lavoro part-time il pomeriggio, perché posso essere accompagnata all’andata e al ritorno, essendo molto tardi, posso sedermi sui mezzi. In ambito domestico tutte le attività risultano un vero ostacolo e solo quelle più leggere, come ad esempio togliere la polvere, possono essere svolte, ma per poco tempo. Quindi è fondamentale l’aiuto di un’altra persona. Quando si è obbligati per motivi economici a mantenere l’attività lavorativa, anche se ridotta, questa non solo assorbe tutte le energie a disposizione ma peggiora anche lo stato di salute, perché impedisce di svolgere attività fisiche salutari e di svago utili per migliorare lo stato di salute. Il lavoro incide negativamente non solo in questo modo, ma anche perché le attività a lavoro vengono svolte in modo limitato, con difficoltà, sofferenza e sacrificio quasi sempre nell’indifferenza o intolleranza dei colleghi. Per cui diventa demotivante e stressante”.
Quant’è difficoltoso gestire questa condizione in ambito lavorativo?
“È estremamente difficoltoso gestire la malattia in qualsiasi contesto lavorativo, perché la condizione di forte affaticamento riguarda sia l’aspetto fisico (reggersi in piedi, fare qualsiasi tipo di movimento, parlare) che mentale e ciò vuol dire ridotte funzioni cognitive (difficoltà a concentrarsi, seguire ragionamenti lunghi e complessi, esprimersi correttamente, problemi di memoria a breve termine) e minore capacità di sopportare e gestire l’ansia e lo stress che derivano sia dal lavoro stesso, ma che sono anche generate dalla condizione patologica. Infatti è la stessa malattia che è spesso associata ad una maggiore ansia. Non è noto se questa condizione psicologica sia causata dalla malattia o ne sia una conseguenza. Complessivamente è quindi estremamente difficoltoso affrontare il lavoro e nella maggior parte dei casi si è costretti a ridurre le ore lavorative, cambiare attività e spesso come nel mio caso a lasciare il lavoro (a breve)”.
Al momento, non esiste una cura e le informazioni in merito sono veramente scarse. Sul piano medico, quali sono le principali indicazioni da seguire?
“Innanzitutto esistono i farmaci biologici che funzionano molto bene nel contrastare la progressione della malattia e in molti casi indurre la regressione. Il problema è che, essendo questi farmaci molto costosi, vengono prescritti esclusivamente ai pazienti che presentano un danno grave a livello della cute o ad una o più articolazioni. Mentre a pazienti meno gravi vengono prescritti i cosiddetti farmaci di fondo immunomodulatori che risultano efficaci solo su alcune persone, possono avere effetti collaterali importanti, e generalmente non hanno alcuna efficacia nel ridurre lo stato di stanchezza. Questo crea una situazione di paradosso per cui i malati meno gravi molto spesso non trovano nessuna soluzione al problema di stanchezza, né vengono curati in maniera efficace per quanto riguarda le problematiche articolari o cutanee, con il risultato di dover peggiorare per ricevere cure adeguate”.
Grosso modo, quanto costa dover fronteggiare questa malattia?
“Se non si può avere accesso alle cure biologiche, che sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale, i costi sono elevati, perché i farmaci, benché esista l’esenzione, vanno presi in modo continuativo e bisogna fare regolarmente le analisi ematochimiche ed esami diagnostici di controllo che non sono rimborsati. Inoltre, spesso la patologia è associata ad altre malattie autoimmuni che richiedono ulteriori visite specialistiche, esami e cure specifiche”.
Qualche tempo fa, è partita una petizione online per chiedere l’accesso diretto alla 104 per le persone affette da questa malattia. Di base, la Legge italiana non prevede nulla in merito all’artrite psoriasica? Non vi sono particolari tutele?
“Esiste l’esenzione che però, come già detto, copre solo alcune spese. Ai fini dell’invalidità civile la malattia non è riconosciuta di per sé, e l’invalidità viene riconosciuta in base alla gravità della condizione e quindi generalmente non concessa a tutti quei malati che soffrono di astenia grave e altri disturbi associati ma non presentano gravi erosioni ossee o cutanee”.
A suo avviso, come mai l’artrite psoriasica non è riconosciuta come disabilità?
“La politica degli ultimi anni ha puntato a ridurre il più possibile la spesa sanitaria e non certo a garantire il benessere del cittadino. Non ha quindi avuto alcun interesse nel far emergere/produrre dati riguardanti la gravità della patologia e l’elevato grado di diffusione nella popolazione”.
Da questa condizione non si guarisce, ma vi sono degli stati peggiorativi che potrebbero portare l’individuo a una disabilità permanente?
“Certo. La malattia è una condizione cronico degenerativa che generalmente peggiora con il tempo soprattutto quando non si possono avere le cure adeguate e non si può condurre lo stile di vita adeguato che consentirebbe di contrastare se non migliorare la condizione”.
Il nome della malattia è quasi sconosciuto a livello culturale. Cosa si potrebbe fare per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica?
“Sicuramente sviluppare la ricerca epidemiologica e clinica sulla malattia e diffonderne i dati in modo scientifico e divulgativo. Lanciare ulteriori petizioni sia da parte dei malati ma soprattutto dalle associazioni dei malati che li rappresentano. In questo modo si può sensibilizzare l’opinione pubblica e allo stesso tempo spingere la classe politica ad intervenire”.
Nel caso di approfondimento personale, vi invitiamo a leggere un breve riepilogo sull’artrite psoriasica da parte dell’Osservatorio Malattie Rare, un’interessante quanto affidabile approfondimento di Mypersonaltrainer, un quadro dipinto da Humanitas e, infine, Conoscere l’Artrite Psoriasica, libro a cura di ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici).
Articolo di Angelo Andrea Vegliante
[...] Possiamo considerare l’artrite psoriasica come una disabilità? [...]