Il tema del riconoscimento delle competenze acquisite attraverso l’esperienza e in percorsi di educazione non formale è molto dibattuto e ricco di controversie, al punto da essere spesso al centro del dibattito di chi si occupa di formazione e occupazione nell’Unione Europea
Già nel documento Recommandation sur le développement de l’éducation des adultes, UNESCO, del 1976 si sottolineava l’importanza dell’Educazione permanente al di fuori del sistema educativo formale (scuola e università) e si considerava la persona adulta come protagonista attiva della propria Educazione:
L’espressione ‘Educazione permanente’ designa un progetto globale rivolto sia a ristrutturare il sistema educativo esistente sia a sviluppare tutte le possibilità formative al di fuori del sistema educativo; in un progetto del genere, l’uomo è un agente della propria Educazione per il tramite dell’interazione continua tra i suoi pensieri e le sue azioni; l’educazione, lungi dall’essere limitata al periodo scolastico, deve estendersi alle dimensioni di tutta l’esistenza vissuta, estendersi a tutte le competenze e a tutti i campi del sapere, poter essere acquisita attraverso mezzi diversi e incoraggiare tutte le forme di sviluppo della personalità; i processi educativi, in cui sono coinvolti nel corso della loro vita, in qualsiasi forma, i bambini, i giovani e gli adulti di tutte le età, devono essere considerati come un tutto”.
A livello europeo fin dal 2001 nel Libro Bianco Un nuovo impulso per la gioventù europea è stato descritto l’impatto innovativo del lavoro con i giovani come parte del pacchetto complessivo delle misure per il lifelong learning (l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita), che richiede un maggiore riconoscimento come pure maggiore complementarietà con l’educazione e la formazione formale. Anche nel marzo 2000 emergeva la necessità di riconoscere e validare l’apprendimento non formale ed informale come parte essenziale della Strategia di Lisbona, poi rinforzata, con nuove finalità politico-istituzionali, dalla strategia europea definita con il documento Europe 2020.
Nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite tra gli essenziali Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile viene menzionata la rilevanza di un’educazione inclusiva, equa e di qualità e delle opportunità di apprendimento permanente per tutti (apprendimento formale, non formale e informale, incluso l’utilizzo delle TIC) e a tutti i livelli per migliorare le vite delle persone e lo sviluppo sostenibile; pertanto emerge da diversi anni l’idea di considerare l’apprendimento non più come una fase limitata nell’infanzia e nella gioventù dedicata solo alla promozione della carriera professionale dell’individuo, ma piuttosto come un’attività continua che si estende a tutte le aree e fasi della vita e comprende la sfera personale, sociale e gli obiettivi professionali.
Detto questo a tutti i livelli si pone la questione non solo di come far emergere le competenze apprese in ambito non formale e informale, ma anche come riconoscerle e come certificarle al pari dei percorsi formativi formali.
In Europa le legislazioni degli Stati membri dovranno a breve adottare un percorso uniforme per il riconoscimento e la certificazione delle competenze. Cosa particolarmente complessa in Italia perché, su questa materia, sono coinvolte una pluralità di istituzioni a livello nazionale, regionale e locale; con il d.lgs. 13/2013 si è ormai avviato un lento percorso ancora non concluso, che sarà capace di valorizzare il diritto delle persone all’apprendimento permanente, in un’ottica personale, sociale e occupazionale.
Il Servizio Civile Universale è sicuramente uno strumento che va in questa direzione con la possibilità, in alcuni progetti, di un “riconoscimento e valorizzazione delle competenze” e di un tutoraggio che aiuti il giovane a prendere consapevolezza delle competenze acquisite durante l’esperienza (vedi progetti con Misure aggiuntive UILDM).
In attesa che i singoli Stati avviino un sistema di armonizzazione nell’Unione per favorire il riconoscimento dell’apprendimento non formale, a fare da apripista in questa direzione è stato lo Youthpass (“passaporto gioventù”) istituito con la decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio. Lo Youthpass è uno strumento ideato per documentare e riconoscere i risultati di apprendimento dal lavoro con i giovani e dalle attività di solidarietà. Oggi è disponibile per progetti finanziati da Erasmus+: programmi Gioventù in azione e Corpo europeo di solidarietà. Da quando è nato ad oggi, ha superato un milione di certificati e come sostiene il sito web dedicato allo Youthpass della Commissione Europea: “Ciò significa che un milione di occasioni di apprendimento sono state create da innumerevoli progetti europei”.
Per celebrare questo evento l’Agenzia Europea Salto, che coordina le attività dello Youthpass, per non fermarsi solamente ai freddi dati statistici ha chiesto a coloro che hanno avuto a che fare con questo “passaporto” di raccontare (con uno scritto o girando un video) le avventure di apprendimento che ognuno ha vissuto attraverso le esperienze di volontariato, scambio o formazione a livello europeo.
Tra le storie raccontate in questo spazio c’è quella di Isabel Gutierrez, che ha fatto con UILDM LAZIO l’esperienza del Servizio Volontario Europeo e che oggi sta facendo il Servizio Civile Universale con il progetto Punti di Vista. Il suo racconto inizia così:
Si dice che il tempo ti faccia mettere le cose al loro posto, che con il passare dei giorni, tutto abbia un senso e tu inizi a capire. Deve essere che, una volta vissuta l’esperienza Servizio Volontario Europeo, tutti gli orologiai entrino in sciopero e le lancette dell’orologio rimangano immobili, perché oggi, niente di più e niente di meno che 341 giorni dopo aver finito il progetto, non sono ancora in grado di assimilare ogni singola cosa che questa esperienza mi ha regalato. Ed è proprio qui che una delle cose più importanti che il progetto mi ha insegnato inizia a venir fuori, spingendomi a gettarmi, senza sapere cosa dirò o quale sarà il risultato, a rischiare, a credere.”
Invitiamo a leggere integralmente il suo intervento qui.
Probabilmente in prospettiva il percorso di Certificazione delle esperienze di Isabel sarà più concreto e legato alle aree del sapere (chiare conoscenze), saper fare (evidenti capacità), saper essere (dettagliati comportamenti), ma dobbiamo essere consapevoli che dietro questo elenco di saperi c’è la poesia e le emozioni di un’esperienza ricca, vissuta intensamente.
Articolo di Massimo Guitarrini