“La carica dei 104” (il numero ricorda la legge che tutela i diritti delle persone con disabilità). Una rubrica che, mensilmente, intende fornire ritratti di personalità che non si sono abbattute e, superando ogni avversità, hanno raggiunto il successo in ogni campo: arte, cultura, sport, spettacolo. Speriamo che questa raccolta di storie sia di buon auspicio per tanti, giovani e adulti, che non riescono ancora a trovare la forza di emanciparsi. Andrea Desideri, che curerà questo spazio, racconta Anna Marchesini (attrice, scrittrice e regista teatrale).
Il comico, da sempre, è una maschera. Fa ridere o sorridere per un dettaglio, un particolare, che accompagnato alla sua dialettica, lo rende unico. Assai più difficile è trovare comiche al femminile, poiché si preferisce spesso la maschera di bellezza e, secondo i cliché, un viso femminile deve esprimere grazia piuttosto che ilarità. Del resto, però, i cliché hanno sempre lasciato a desiderare, non solo altro che dicerie da superare. Luoghi comuni travisati e, spesso, tirati fuori dopo qualche bicchiere di troppo. Sicuramente, una che i cliché li ha divorati – anche usandoli a suo favore – è stata Anna Marchesini. Scomparsa da un anno, ma sempre viva in ognuno di noi. Un po’ perché possiamo rivederla nel corso di quei programmi revival che ripropongono nel preserale, dove propinano sketch famosi che hanno fatto epoca, e un po’ perché attrici comiche così non ne fanno più.
Forse ci si è avvicinata la Cortellesi, per estro e arguzia, ha provato a scimmiottarla la Raffaele (che del suo repertorio ha catturato i vocalizzi e le parodie), però nessun’altra sarà mai in grado di eguagliarla. Semplicemente perché un’eccellente comica, parliamo al femminile ma può valere anche al maschile, deve avere quella curiosità di fondo che la porta a studiare ogni situazione quotidiana – persino la più impercettibile – per riadattarla all’interno del teatro dell’assurdo, sino ad esasperarla per dar vita ad una grassa risata. Anna Marchesini era questo, una donna da palcoscenico con l’eterna voglia di stupire studiando e continuare a stupirsi dinnanzi all’evoluzione del mondo. Restia alla tecnologia, ma affascinata dalla sociologia e le relazioni umane, analizzava i cambiamenti culturali negli approcci allo stato sociale e li riproponeva in maschere. Ricorreva al fiabesco e ai romanzi d’autore, distorcendone gli interpreti e la loro natura, per spiegare quanto la vita si traducesse in un giro di corsi e ricorsi storici. Fu una delle prime a sdoganare il sesso in televisione e a teatro; lo aveva già fatto Proietti, ma quando una donna parla di orgasmi e passioni con tale ironia è destinata a lasciare il segno. Infatti, così è stato: persino dopo lo scioglimento del trio, che la vedeva protagonista assieme a Tullio Solenghi e Massimo Lopez, non ha mai smesso di reinventarsi. Cavalcava luoghi comuni, certezze ed illusioni di un paese allo sbando – il nostro – senza mai riciclarsi. Evitando di svendersi alla prima trasmissione generalista, come invece hanno fatto i suoi colleghi.
Al posto del successo facile, col passare degli anni ha preferito riproporsi nei panni di scrittrice (4 libri, tutti editi da Rizzoli, di cui uno postumo) e regista teatrale (5 spettacoli diretti in solitaria, l’ultimo risale a tre anni fa), con qualche apparizione sulle scene. Attraverso personaggi che lei stessa si cuciva addosso, ha saputo affrontare la sua malattia sul palcoscenico con la tenacia e l’ironia che l’hanno sempre contraddistinta. L’artrite reumatoide, che succhia e prosciuga ogni linfa ossea, non le aveva tolto la voglia di meravigliarsi. Infatti, grazie a quei suoi occhi vispi e alla sua visione d’insieme, era – e resta – un esempio ed un riferimento per molti allievi. Come lei stessa ha rimarcato, poco prima di andarsene: “Ho già adocchiato una vetrinetta in sala riunioni con un piccolo cofanetto verde di porcellana, credo. Ritengo sia ideale per contenere le mie ceneri. E’ una aspirazione che piano piano troverò il coraggio di far uscire alla luce. Che detto di un mucchietto di ceneri non è appropriato. Posso tentare…. e se mi ribocciano? E se poi l’Accademia trasloca? E se durante il trasloco il cofanetto verde si rompe? No eh! essere spazzata via dall’Accademia no mai più!”. Anna da quell’Accademia teatrale romana non è più andata via, come voleva e come era giusto che fosse, perché che era brava lo si sapeva e si è sempre saputo. Che fosse anche forte abbiamo imparato a capirlo col tempo, quando ogni prodotto che partoriva sapeva cogliere l’essenza dei tempi. Nonostante le avversità, è rimasta fedele ai suoi intenti e per farsi ricordare ha usato ogni sua potenzialità che ritroviamo ancora oggi, nel silenzio assordante, quando pensiamo a lei dopo aver consumato l’ennesimo dvd di un suo spettacolo. Peggio per chi non l’ha vissuta, meglio per chi vorrà ripescarla dal baule dei ricordi. Quelli belli, importanti, che servono a far capire lo scopo di una vita.
Articolo di Andrea Desideri