Il nostro Paese sta vivendo un clima di degenerazione e disinteresse intorno ai temi riguardanti la politica, sono mesi – se non anni – travagliati in cui la popolazione vive in maniera negativa qualsiasi cosa riguardi logiche di partito e tutto quello che ne consegue. Ogni qualvolta è chiamata alle urne, evento assai raro visto che ultimamente i capi di governo cambiano come calzini – ben quattro negli ultimi cinque anni – a colpi di sfiducia e scandali, la cittadinanza per lo più si astiene. La possibilità di avere nuovamente voce in capitolo in merito a questioni comunitarie, ai cittadini, era stata data in occasione del referendum abrogativo sulle trivellazioni in mare: quorum non raggiunto e perciò nulla di fatto. La votazione sulla durata delle concessioni alle trivelle non è valida, con buona pace di molti. Un po’ meno contenti sono gli abitanti di Genova, visto il greggio fuoriuscito dall’oleodotto Iplom che sta mettendo in pericolo molti uccelli che vivevano nei torrenti e in mare, oltre alla moria di pesci che c’è stata nei giorni scorsi. Spiegare a loro e a quel 32% di persone recatosi alle urne quanto questo sia stato un “referendum inutile”, per citare Renzi, rimane assai difficile e complesso. Ha vinto l’astensione anche e soprattutto perché, stavolta, non c’è stata un’informazione adeguata sul tema (innanzi tutto ambientale prima che politico), uno spiraglio di oggettività l’ha fornito solo il Web tramite approfondimenti e articoli specifici, ma in un’Italia dove il 50% della popolazione litiga ancora con un pc, l’impatto resta minimo. Specie se l’età media è poco inferiore ai sessant’anni e alcune cariche pubbliche in televisione (quello sì che è un mezzo alla portata di tutti) promuovono il non voto: “E’ come se il Papa invitasse a non andare a messa la domenica”, Crozza voleva fare dell’ironia ma inconsapevolmente (forse no) ha detto una grande verità.
Un tema, invece, molto sentito e dove gli italiani si erano espressi palesemente era quello relativo alla privatizzazione dell’acqua: ventisette milioni d’italiani, cinque anni fa, esprimevano un profondo dissenso in merito. Le urne decretarono che l’acqua doveva restare cosa pubblica e, soprattutto, bene comune. Un esito netto e che non lascia spazio ad interpretazioni, quella volta sì che il quorum venne raggiunto. A distanza di cinque anni, il governo sembra essersi dimenticato di quel risultato. Infatti, come riporta il Forum italiano dei movimenti per l’acqua: “La legge sulla gestione pubblica del servizio idrico è stata finalmente discussa e approvata in aula alla Camera, a distanza di circa 9 anni dal suo deposito corredato da oltre 400.000 firme. Peccato che il testo approvato sia radicalmente diverso, nella forma e nei principi, di quello proposto dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. Il PD e la maggioranza hanno stravolto il testo a partire dall’articolo 6 che disciplinava i processi di ripubblicizzazione. Oggi è caduta anche l’ultima foglia di fico dietro la quale il PD aveva provato a nascondersi. Infatti, la Commissione Bilancio ha cancellato la via prioritaria assegnata all’affidamento diretto in favore di società interamente pubbliche. Un disconoscimento palese e spudorato che ha ribaltato il senso di quella legge sottoscritta da 400mila cittadini e aggiornata alla luce dei risultati del referendum popolare del 2011. Il risultato di oggi è solo la cronaca di una morte annunciata, già nei giorni scorsi infatti molti dei deputati dell’intergruppo parlamentare per l’Acqua Bene Comune avevano ritirato la firma da un provvedimento che stravolgeva il senso. La cancellazione della volontà popolare di 27 milioni di italiani che si espressero in favore dell’acqua pubblica ai referendum arriva a pochi giorni dalla tornata referendaria del 17 aprile, sulla quale la maggioranza di Governo ha fatto campagna per l’astensionismo. Il disconoscimento di un percorso di partecipazione come quello sulla gestione pubblica del servizio idrico rappresenta un preoccupante segnale per la democrazia nel nostro Paese”.
Inoltre, l’iter legislativo del decreto Madia sta procedendo più che agevolmente: questo prevede l’obbligo di gestione dei servizi a rete (che comprendono anche l’acqua) tramite società per azioni, oltre a reintrodurre in tariffa “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, cioè i profitti, esattamente nella dicitura abrogata dal referendum di sei anni fa. Un colpo di coda improvviso che cancellerebbe l’esito di giugno 2011. L’ennesimo scenario inaspettato in uno Stivale incredulo, sicuramente poco impermeabile davanti a certi cambi di fronte.
Articolo di Andrea Desideri