Sarà la loro prima volta sul palco di Sanremo, a 28 anni dalla loro nascita. Era il 1989 quando la passione per la musica diede vita ai Ladri di Carrozzelle, band composta prevalentemente da persone con distrofia muscolare che, nel corso degli anni, ha accolto nuove leve con diverse condizioni e patologie. Dagli inizi fino all’Ariston passano tante stagioni di onorata carriera, sensibilità e quell’autoironia che li ha fatti conoscere e risaltare per tutta Italia. Paolo Falessi, chitarrista e fondatore dei Ladri, fa sentire la sua felicità: «Senza Paola Severini Melograni e AngeliPress, noi non saremo qui – racconta a FinestrAperta.it -. Un ringraziamento enorme a loro, ed anche a Cubik TV, che sta seguendo il nostro percorso a Sanremo». Già, perché questa sera la band si esibirà all’Ariston, proprio nella puntata finale della kermesse guidata da Carlo Conti e Maria De Filippi, con il brano Stravedo per la vita. E, a poche ore dall’inizio, l’emozione è tanta.
Agli inizi palcoscenici di provincia, oggi Sanremo con circa dodici milioni spettatori. Che emozione si respira?
«Fortunatamente, adesso ho una formazione che è tranquilla. Magari sono io il più emozionato. Alla fine ne abbiamo calcati tanti, di palchi. Insomma, sarà dura. Il mio pensiero è che si faccia una bella figura, è troppo importante questa cosa. Dopo tanti anni, è un’occasione straordinaria per amplificare un’idea che è nata quasi 28 anni fa. Speriamo di fare la figura che siamo in grado di fare, di riuscire a dare un messaggio importante, un’immagine diversa e piena di vita di quelli che, di solito, vengono considerati sfigati, e che invece sono persone come le altre che, se si organizzano, lavorano e si impegnano, riescono ad ottenere dei grandissimi risultati».
L’anno scorso Carlo Conti chiamò Ezio Bosso, quest’anno ci siete voi. Quale reazione ti aspetti dal pubblico?
«Sinceramente, speriamo di riuscire a fare quello che facciamo a tutti i concerti: tutti in piedi ad applaudire, quello è l’obiettivo. Se ci riusciamo, per me è un risultato. Se non ci riusciamo, comunque stiamo sempre suonando all’Ariston ed è una cosa straordinaria».
È la prima volta che suonate insieme ad un’orchestra?
«Si, quella è la cosa più complicata. Adesso la formazione è formata da persone con patologie psichiche, quindi far suonare persone con patologie complicate insieme ad un’orchestra… Abbiamo fatto tante prove, però l’incognita c’è sempre. Quella è la cosa che mi preoccupa di più, perché l’emozione potrebbe tradirci».
All’Ariston porterete il brano Stravedo per la vita…
«… in pieno stile Ladri di Carrozzelle. Distrofichetto, venticinque anni fa, era autoironia, perché i ragazzi che erano con noi erano affetti da distrofia muscolare. Adesso abbiamo il cantante che è una persona non vedente, allora Stravedo per la vita. Perché la prima strategia che abbiamo capito, che è quella che funziona, è di prendersi in giro, l’autoironia: nel momento in cui riesci ad essere ironico sulle difficoltà che la vita ti costringe ad affrontare, l’autoironia è il modo migliore per affrontarle».
Stravedo per la vita può essere classificato come bandiera perfetta contro tutti quelli che pensano alle persone con disabilità come…
«… persone di serie b, destinate ad una vita di b, invece è una vita straordinaria. È stato faticoso, è faticoso, però non la cambierei con nessuno. Sono 28 anni che vivo emozioni fortissime, positive, negative, emozioni straordinarie».
Appunto, vengono ritenute persone di serie b anche nel mondo della musica. Secondo te, la musica è accessibile alle persone con disabilità?
«Si, anche perché la musica è democratica, non guarda in faccia a nessuno. Se tu sei bravo, allora non conta più se sei con disabilità o meno. Nessuno ha mai pensato a Ray Charles o a Stevie Wonder come disabili, erano e sono bravissimi. Forse, la musica è l’unico medium democratico. Se suoni bene, se sei bravo sul palco, va bene. Punto».
Questa è una domanda un po’ scomoda. Secondo te, c’è il pensiero che questa sera venga notata più la disabilità che la musica? Ti faccio l’esempio di Ezio Bosso: molti l’anno scorso parlarono più della sua condizione rispetto alla sua dote artistica.
«Noi siamo degli ottimisti ad oltranza, anche perché tutte le situazioni che ci sono capitate solo con l’ottimismo le superi. È chiaro che molta gente si fermerà all’apparenza, ma questo è culturale, non è una cosa che riguarda solo noi. Tra l’altro, la nostra è una canzone bella, l’abbiamo scritta con passione, la suoniamo e ci divertiamo. Poi, secondo me, basta il nostro divertimento ed abbiamo ottenuto il risultato. Però ci saranno persone che non si fermeranno all’apparenza, sicuramente. Questo è anche il periodo culturale».
Immagino che la musica sia quel tramite perfetto per superare queste barriere mentali.
«Noi siamo dei privilegiati, la musica è una forza dirompente. Conosciamo situazioni straordinarie, associazioni fantastiche che non hanno la fortuna di avere la musica. Noi ce l’abbiamo, perché con la musica vai veramente oltre, spacca tutti i muri e spezza tutte le catene. È una cosa straordinaria. È una fortuna la nostra. Speriamo di saperla sfruttare come si deve».
Com’è nata la possibilità di salire all’Ariston e qual è stata l’emozione appena appresa la notizia?
«Sinceramente, io non ci ho creduto fino a che non l’ho visto scritto pochi giorni fa. È stata una cosa pazzesca, veramente. Anche perché ci abbiamo provato per tanti anni, e questo è il primo anno che succede. È stato come aver vinto il campionato. Poi con i ragazzi un entusiasmo e un’euforia straordinaria».
Immagino salirete sul palco anche per tutti i Ladri di Carrozzelle che negli anni hanno lasciato la band.
«Assolutamente. Negli ultimi anni, le nostre parole chiave sono state leggerezza, ottimismo e buonumore. Però non ci siamo dimenticati che questa è una storia complicata. Per noi salire sul palco vuol dire ricordare Vito e Roberto che 25 anni fa sono venuti a mancare – sono stati i primi due ragazzi distrofici a lasciare la band -, vuol dire ricordare Piero, vuol dire ricordare tutti quanti. È una storia bellissima, tragicamente bella. Però la bellezza sta anche nella forza di reazione, nella forza di andare avanti. Altrimenti ci saremmo fermati. Io ho la data: il 15 marzo 1993, quando è morto Roberto. Non ci siamo fermati allora e non ci ferma più nessuno».
Qual è il tuo messaggio personale che vuoi lanciare stasera?
«Il più ovvio, scontato e retorico: bisogna credere nei sogni. Noi ci abbiamo messo 28 anni, bisogna perseverare ed impegnarsi. Per ottenere i risultati ci vuole perseveranza e sacrificio, tanto tanto tanto sacrificio. Non bisogna arrendersi neanche quando la vita ti dà delle ‘trambate’ clamorose. Perché arrivare a Sanremo dopo 28 anni è come un film».
Articolo di Angelo Andrea Vegliante