La narrazione sulla vita delle persone con disabilità in TV lascia ancora molto a desiderare (vedi il recente scivolone sanremese). Le riflessioni di Sonia Veres, da anni impegnata per una comunicazione corretta su questo tema
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Carlo Conti e Sammy Basso
Ogni volta che la televisione affronta il tema della disabilità, il focus sembra essere più su come far sentire “fortunati” le persone non disabili, piuttosto che dare reale spazio a chi vive certe esperienze. Questo tipo di narrazione, che si ripete con una certa costanza, non fa che rafforzare stereotipi e una visione distorta dell’integrazione sociale.
Anche durante Sanremo 2025, così come in alcuni spot attuali di associazioni, è emerso il solito schema: la malattia o la disabilità vengono usate per smuovere emozioni o per incentivare donazioni, senza però affrontare il vero problema dell’inclusione. Il racconto è sempre lo stesso: la persona disabile viene dipinta come qualcuno che ha bisogno del supporto del non disabile, mai il contrario. Si enfatizza l’eroismo di chi aiuta, mentre la persona con disabilità resta confinata nel ruolo di destinatario passivo di aiuti e compassione.
Un esempio recente è quello a Sanremo 2025 con il “Teatro patologico” o con la storia di Sammy Basso, attivista e scrittore con una rara malattia genetica. Anche in questi casi, la narrazione si concentra quasi esclusivamente sulla resilienza e sul sacrificio, come se il valore di queste persone fosse legato solo alla loro capacità di ispirare gli altri.
Ma cosa succederebbe se lo storytelling fosse diverso? Se al centro della discussione ci fossero accessibilità, diritti, lavoro e opportunità? Se le persone con disabilità non fossero raccontate come individui da aiutare, ma come parte attiva della società, in un contesto di cooperazione alla pari?
Il problema principale è il paradigma stesso della narrazione. Se cambiasse, molte persone non disabili perderebbero il ruolo di “salvatori” e questo potrebbe generare una certa resistenza. Allo stesso tempo, anche una parte della comunità disabile dovrebbe credere di più nella propria autodeterminazione, superando la convinzione che l’assistenzialismo passivo sia l’unica via possibile.
Un altro aspetto critico è che una parte delle persone disabili non sono nemmeno a conoscenza dei propri diritti o, se lo sono, non danno loro sufficiente importanza. Questo porta a una sorta di rassegnazione che impedisce un vero cambiamento sociale.
È fondamentale continuare a raccontare storie autentiche, da un punto di vista nuovo e consapevole. Solo attraverso un confronto rispettoso e costruttivo possiamo avere gli strumenti per aprire la mente e avviare una trasformazione culturale profonda. La disabilità non deve essere un pretesto per suscitare pietismo, ma un tema centrale di inserimento sociale e pari opportunità.
(Sonia Veres)