Dopo aver ricevuto un comunicato da Philip Morris Italia, abbiamo voluto verificare alcune informazioni da loro dichiarate (spoiler: non corrispondono al vero). Ne approfittiamo per svelare come opera l’industria del tabacco, tra marketing aggressivo e palesi mistificazioni
Con questo articolo concludiamo l’inchiesta partita dalla lettura di un recente comunicato di Philip Morris Italia, in cui l’azienda annunciava che 2 milioni di italiani hanno smesso di fumare grazie alle loro Iqos. Il primo articolo è incentrato su questi prodotti a tabacco riscaldato, ne spiega il funzionamento e la pericolosità ed evidenzia come le informazioni diffuse dall’industria del tabacco siano spesso fuorvianti, se non addirittura false. In questa seconda e ultima parte della nostra inchiesta sveleremo come opera l’industria del tabacco e in particolare Philip Morris International, una delle più potenti compagnie del settore.
Nel comunicato che abbiamo ricevuto si legge: “Philip Morris Italia lancia un nuovo prodotto e lo fa a dieci anni esatti dal suo debutto nel nostro Paese. Sotto le luci acqua marina dell’Alcatraz di Milano, l’azienda ha festeggiato la ricorrenza guardando a un futuro in cui il fumo non esisterà più. Quella che oggi sembra ancora un’utopia potrebbe pian piano diventare una realtà anche grazie all’adozione di dispositivi smoke-free come quelli di Iqos, indirizzati a quei consumatori che vogliono smettere di utilizzare le sigarette tradizionali per arrivare poco alla volta a liberarsi dell’abitudine del fumo”.
Vengono poi riportate le dichiarazioni del presidente e amministratore delegato Marco Hannappel: “Dal 2014 a oggi il panorama è cambiato grazie a investimenti in scienza che abbiamo fatto ben prima del lancio di Iqos. Sono stati investiti 12,5 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo per creare piattaforme di tecnologia e prodotti di nuova generazione che consentissero di avere alternative migliori al fumo tradizionale”.
Diverse agenzie di stampa nazionali e note testate giornalistiche hanno rilanciato il comunicato così com’era, senza cambiare neanche una virgola o verificare le informazioni prima di pubblicarle. Noi di FinestrAperta, invece, abbiamo voluto verificare le dichiarazioni di Philip Morris. Per farlo ci siamo rivolti all’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, centro di ricerca farmacologica senza scopo di lucro che si è sempre distinto per la sua indipendenza. Risponde alle nostre domande il dottor Silvano Gallus, che si occupa in particolare del controllo del tabagismo ed è pertanto la persona ideale per fugare i nostri dubbi: esperto, autorevole e soprattutto indipendente. Dalla conversazione che abbiamo avuto con lui scopriamo gli inquietanti retroscena del commercio mondiale del tabacco. Retroscena di cui la maggior parte dei cittadini non è al corrente.
Chi è Philip Morris
Philip Morris International è una delle più grandi multinazionali al mondo nel settore del tabacco e dei prodotti a base di nicotina, da sempre conosciuta per la produzione e la commercializzazione di sigarette tradizionali. Tra i suoi marchi più celebri ci sono Marlboro, L&M, Chesterfield, Parliament e ovviamente Philip Morris, che rappresentano una parte significativa del mercato globale del tabacco.
2006. Le sigarette elettroniche mettono in pericolo le multinazionali del tabacco
Nel 2006 fanno la comparsa sul mercato le sigarette elettroniche, le quali non contengono tabacco che deve essere bruciato come in quelle tradizionali, ma nicotina e altre sostanze in forma liquida. Il liquido, tramite un dispositivo elettrico, viene scaldato ed emette un aerosol che viene immesso nei polmoni.
L’industria del tabacco, vedendo messa a rischio la produzione dei suoi prodotti a causa delle sigarette elettroniche, va in allarme e decide di immettere sul mercato un suo dispositivo alternativo, che ovviamente deve avere il tabacco come elemento principale. Soltanto le multinazionali, infatti, hanno la possibilità di comprare il tabacco coltivato, trattarlo e costruire sigarette contenenti tabacco.
Il vero motivo per cui entrano in commercio i prodotti a tabacco riscaldato
Nel 2014 Philip Morris tenta dunque una strada nuova lanciando un prodotto assolutamente innovativo rispetto a quelli commercializzati fino a quel momento: le Iqos, dispositivi alternativi alle sigarette tradizionali in cui il tabacco, anziché essere bruciato da una fiamma, viene riscaldato elettricamente. Il lancio avviene in sordina: prima di essere distribuite in tutto il mondo, le Iqos vengono introdotte in due città pilota, Milano in Italia e Nagoya in Giappone. La scelta non è casuale poiché i due Paesi avevano le caratteristiche ideali per poter testare i nuovi prodotti: Governi facilmente plasmabili con azioni di lobbying, leggi permissive e un regime fiscale conveniente.
La vittoria delle multinazionali del tabacco nella guerra per il monopolio sui fumatori
L’ideazione dei dispositivi a tabacco riscaldato è parte di una gigantesca operazione di marketing operata dalle più grandi aziende del settore: Philip Morris, British American Tobacco, Japan Tobacco e poche altre. Queste industrie non solo fanno una concorrenza agguerrita ai produttori di sigarette elettroniche, ma ne comprano tutti i marchi più importanti. Il risultato è che le sigarette elettroniche più note sono ormai state inglobate dall’industria del tabacco. Una volta fatti fuori i nemici, il monopolio sui fumatori è assicurato.
La favola del rischio ridotto
Chi vive una dipendenza da tabacco ha grande difficoltà ad abbandonarla, ciononostante diversi consumatori consapevoli cominciano a valutare la possibilità di smettere di fumare per salvaguardare la propria salute. Per correre ai ripari e convincere i dubbiosi, le multinazionali propongono ormai da alcuni decenni una strategia specifica, quella della cosiddetta “riduzione del danno per il tabacco”. Vengono dunque proposti ai consumatori dei prodotti alternativi alle sigarette tradizionali che in teoria dovrebbero nuocere di meno. I lettori meno giovani ricorderanno quando erano stati messe sul mercato le varie sigarette denominate “leggere” come Marlboro Light, Camel Light, Philip Morris Super Light o Ultra Light, che contenevano meno catrame e meno nicotina delle altre e dunque, a detta dei produttori, erano proposte come meno dannose. In realtà ben presto si scoprì che per quanto riguarda almeno le malattie cardiovascolari il rischio era simile a quello delle sigarette tradizionali e quindi i Governi impedirono ai produttori di tabacco di continuare a dichiarare che questi prodotti fossero più sicuri, nonché di potere chiamare queste sigarette “Light”, in modo che il consumatore potesse fraintenderne la sicurezza.
Una trovata geniale per uscire dalla crisi: l’invenzione delle Iqos
L’industria del tabacco è in crisi: intorno all’anno 2010 il commercio di sigarette subisce l’ennesimo drastico calo, si rende dunque necessaria una nuova trovata che sfrutti la narrazione del rischio ridotto. Ed ecco il colpo di genio, le sigarette a tabacco riscaldato che fanno meno male di quelle tradizionali cavalcando l’onda della sigaretta elettronica. Nonostante anche stavolta gli annunci delle multinazionali siano ben lontani dal vero, la trovata funziona e le entrate cominciano a risalire.
Studi scientifici tutt’altro che indipendenti
Come far passare il messaggio che le Iqos sono meno rischiose delle sigarette tradizionali e che addirittura contribuiscano ad abbandonare la dipendenza dal tabacco, se questo non è vero? Investendo un miliardo di euro per finanziare gli studi. Studi che da questo punto non saranno più indipendenti e che finiranno per confermare la narrazione del rischio diminuito.
Costruire una ricerca scientifica fuorviante, se non addirittura ingannevole, senza mentire non è impossibile. È sufficiente, per esempio, finanziare studi sul tumore del polmone focalizzati su tutti i fattori di rischio che non siano il fumo di tabacco. Basterà trovare che un altro fattore di rischio – sia questo un determinato alimento o un’esposizione ambientale – aumenti anche di pochissimo il rischio di tumore del polmone che l’attenzione del lettore si sposterà dal fumo di tabacco, che in realtà provoca l’80% di tutti i tumori del polmone. Oppure basta testare centinaia di sostanze nocive nelle Iqos, mostrando selettivamente quelle che hanno concentrazioni molto inferiori rispetto alle sigarette tradizionali ed evitando di pubblicare intere classi di sostanze bene per le quali i risultati sono meno incoraggianti.
Governi poco lungimiranti e ricercatori compiacenti
Il rischio che le ricerche sui danni del fumo non siano obiettive e attendibili è alto. I Governi, che dovrebbero essere i primi interessati a tutelare la salute dei cittadini anche in un’ottica di abbattimento dei costi del servizio sanitario, spendono cifre irrisorie o nulle per la ricerca scientifica. Basti pensare che l’Italia in tutto il 2021 ha speso solo 65mila euro di soldi pubblici per promuovere campagne informative sui rischi del fumo, mentre dall’altro lato abbiamo la sola Philip Morris che mette sul tavolo un miliardo di euro per indirizzare il lavoro dei ricercatori a proprio vantaggio: il paradossale risultato è che il più grande finanziatore delle ricerche per il controllo del tabagismo è l’industria del tabacco.
Le associazioni per la riduzione del danno finanziate a suon di milioni da Philip Morris
Philip Morris ha creato la Foundation for a Smoke-Free World con 80 milioni di dollari americani all’anno inizialmente previsti dal 2018 al 2030. Come suggerirebbe il suo nome, l’organizzazione, rifondata successivamente come Global Action to End Smoking, dovrebbe avere in teoria lo scopo di battersi per un mondo libero dal fumo, anche se in realtà è noto a chi si occupa di queste tematiche che ha il compito di distribuire finanziamenti per fare ricerca “compiacente” sulla riduzione del danno. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, che ben conosce le tattiche di disinformazione finanziate dall’industria del tabacco, ha categoricamente dichiarato che non collaborerà con Foundation for a Smoke-Free World e ha perentoriamente esortato i Governi e la comunità scientifica e di salute pubblica di evitare collaborazioni con essa.
Questa Fondazione ha costituito alcuni “centri di eccellenza” con lo scopo di elargire una grande quantità di denaro a ricercatori conniventi disponibili a promuovere, a fronte di finanziamenti facili e sproporzionatamente alti, la retorica dell’industria del tabacco. Uno di questi centri lo abbiamo in Italia, si chiama CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo) ed è stato costituito all’interno dell’Università di Catania. Basta dare un’occhiata al suo sito web per intuirne le dimensioni (con un centinaio di membri accademici quasi tutti dell’università di Catania) e l’importanza (con molti progetti e studi attivi su tabacco e sigarette elettroniche e che sponsorizza altri studi). Quello che è meno chiaro è da dove arrivino i fondi per finanziare il Centro.
Tobacco Tactics, un autorevole portale creato dal Gruppo di Ricerca sul Controllo del tabagismo dell’Università di Bath, che svela le tattiche nascoste dell’industria del tabacco per diffondere disinformazione, rivela che il CoEHAR è stato costituito tramite assegni milionari da parte di Foundation for a Smoke-Free World (ben 16 milioni di dollari per il periodo 2018-2023). Di tutto questo CoEHAR non fa menzione all’interno del suo sito, inoltre i suoi studi vengono spesso pubblicati senza dichiarare alcun conflitto di interesse. In rari casi viene menzionato un finanziamento da parte di Foundation for a Smoke-Free World, che a chi non è del settore non fa destare alcun sospetto.
Il passo successivo: conquistare il mercato dei giovanissimi
La strategia di marketing dell’industria del tabacco non guarda in faccia a nessuno e punta ad allargare il mercato a un nuovo pubblico, quello dei giovani e dei giovanissimi. Con il loro design accattivante, i nuovi dispositivi fanno facilmente presa su ragazzi e ragazze, che iniziano a “svapare” in tenera età per poi passare, come dimostrano gli studi indipendenti, alle sigarette tradizionali.
In Italia la situazione è particolarmente allarmante. Nonostante il divieto di vendita ai minorenni di sigarette tradizionali, prodotti a tabacco riscaldato e sigarette elettroniche, questi prodotti risultano già diffusi in età preadolescenziale. Già nel 2019 il nostro Paese risultava quello con più alta prevalenza di tredici-quindicenni che dichiaravano di aver provato almeno una volta la sigaretta elettronica. Un altro dato spaventoso proviene da una ricerca in cui l’Italia risultava il Paese europeo con la più alta prevalenza di fumatori di sigarette tradizionali tra i diciassettenni (fonti: Gyts e Espad).
Ecco che un nuovo esercito di persone dipendenti dal tabacco è pronto per continuare a mantenere in vita le multinazionali.
(Manuel Tartaglia)