Dopo lungaggini e cavilli burocratici, l’uomo ottiene il fine vita per cui tanto si era battuto
Diciotto anni passati paralizzato a letto. Da mesi lanciava appelli allo Stato, rimasti inascoltati. Per questo ha deciso di trovare da solo il modo per porre fine alle sue sofferenze.
È così che inizia e finisce la storia di Fabio Ridolfi, un uomo marchigiano di quarantasei anni, che da diciotto conviveva con la tetraparesi da rottura dell’arteria basilare.
Ogni giorno la mia condizione diventa sempre più insostenibile. Aiutatemi a morire”.
Queste sono le parole che qualche mese fa ha digitato sul monitor con l’ausilio del puntatore oculare, una tecnologia che permette di scrivere grazie ai movimenti dell’occhio. Da qui un suo video di cui si è parecchio parlato e che ha acceso per l’ennesima volta il dibattito sull’eutanasia.
Per poter parlare di questo avvenimento, dovremmo forse fare prima un breve distinguo fra il suicidio assistito e l’eutanasia: nel primo caso, il medico fornisce solo gli strumenti per permettere la morte volontaria, nel secondo caso, il medico ha un ruolo attivo nella morte del paziente, ovviamente sotto richiesta dello stesso o di un parente.
La richiesta di un referendum che rendesse praticabile l’eutanasia in modo legale era stata inoltrata pochi mesi fa dai Radicali e che è stata, però, considerata incostituzionale. In Italia, quindi, non esiste una legge specifica che esplica i passaggi da dover compiere per raggiungere questo scopo, ma con la sentenza su DJ Fabo del 2017, si è aperto uno spiraglio normativo. Da quel momento le ripercussioni legali per chi aiuta qualcuno nel suicidio assistito, sono molto rare. Ovviamente però ci sono dei requisiti da rispettare. È quindi ammissibile se il paziente è capace d’intendere e di volere, è tenuto in vita con trattamenti di vita artificiali e ha una patologia irreversibile e dolorosamente intollerabile.
Fabio Ridolfi è quindi stato uno dei primi italiani a richiedere e a ottenere la possibilità di poter compiere un suicidio assistito. Ma sembrerebbe che l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche abbia avuto un ritardo nell’esaminare la pratica, nonostante la relazione medica dell’uomo, inviata al Comitato Etico il 15 marzo 2022. A quanto pare, il caso di Ridolfi venne accettato ad aprile di quest’anno, ma dei cavilli burocratici, fra cui l’esplicare il tipo di farmaco da utilizzare e il come doverlo somministrare, hanno portato Fabio a scegliere un’altra strada: “Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene”. Ad altri due marchigiani come lui era stato accordato il suicidio assistito, ma ugualmente si sono ritrovati con ampi ritardi da parte dell’amministrazione pubblica, che hanno deciso di affrontare intraprendendo battaglie legali lunghe e macchinose, sempre nel silenzio della politica generale.
Attraverso la sospensione dei sostegni vitali e a una sedazione blanda portata avanti fino alla fine, Fabio ha raggiunto il suo scopo. Non ha sofferto, ha fatto quello che si sentiva, ma lo Stato ancora una volta ha perso l’occasione di rendere dignitosa una scelta personale.
(Angelica Irene Giordano)