I due disturbi sono stati per anni associati, ma ultimamente vengono fatte delle opportune distinzioni
La Sindrome di Asperger viene diagnosticata da alcuni anni come una sottocategoria dei Disturbi dello Spettro Autistico. Ma siamo sicuri siano proprio la stessa cosa?
L’Asperger è stata inserita nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) nel 1994. Venne osservata da tutta la vita dalla psichiatra Lorna Wing in base agli studi di Hans Asperger, pediatra viennese vissuto durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Il problema di cui si sta dibattendo da più di nove anni nelle comunità medica mondiale è il fatto che dal 2013 la Sindrome è inglobata fra i disturbi dell’Autismo. Le persone che avevano ricevuto la diagnosi prima di questa data, non si sono sentiti soddisfatti nel vedersi annessi in una nuova condizione, quando si riconoscevano già nell’altra.
Ma cos’è l’Asperger? Come stavamo dicendo, attualmente è considerato un disturbo correlato all’autismo, pervasivo nello sviluppo e di cui la causa è tutt’ora ignota. Gli Asperger hanno potenzialmente molte problematiche relazionali, interessi ristretti, ossessivi, legati a determinati ambiti e riscontrano degli schemi di comportamento ripetitivi. Spesso alla Sindrome si associano altre condizioni separate ma coesistenti come l’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione, la Tourette ed il disturbo dell’attenzione. Eppure, non riscontrano due delle condizioni principali dell’autismo: i ritardi nello sviluppo del linguaggio e quelli nello sviluppo cognitivo.
La Sindrome di Asperger nel DSM è stata quindi confusa ed assimilata all’Autismo – cosiddetto – ad alto funzionamento, contraddistinto da una capacità intellettiva nella norma e con aspetti rilevanti simili alla prima. Molte ricerche hanno messo in evidenza le somiglianze significative delle due condizioni, ma altri autori hanno sottolineato l’importanza di considerarle “due entità cliniche separate” (Montgomery, 2016).
Le diagnosi di Asperger sono cresciute esponenzialmente negli ultimi vent’anni, a dimostrare di essere qualcosa molto più comune di quel che crediamo. Ma mentre la diagnosi del disturbo autistico viene assegnata nei primi anni di vita del bambino, trovare la condizione Asperger può richiedere molti anni. Addirittura, in età adulta.
Wolfgang Amadeus Mozart, Albert Einstein, Alfred Hitchcock, Steve Jobs. Questi sono solo alcuni dei personaggi riconosciuti come Asperger nel passato per dei loro tratti tipici. Come la loro difficoltà ad adeguarsi ai contesti sociali, l’attenzione ad ogni minimo dettaglio o per il loro modo estremamente accurato di ragionare. Nonostante non ci siano state diagnosi certe visti i tempi in cui hanno vissuto, la probabilità che lo fossero è sempre più certa. Chi invece la diagnosi l’ha ricevuta per davvero, sono ad esempio personalità attualmente al centro del palco mondiale come l’imprenditore Elon Musk o la giovane attivista Greta Thunberg.
Sinceri, veloci nel pensiero, analitici e con un forte senso di giustizia sociale. “Superdotati”? Così vengono definiti da molti psichiatri, nonostante le persone con l’Asperger vivano spesso con difficoltà la propria condizione. Malgrado il loro bisogno di integrarsi (al contrario dei bambini con autismo), sono poco capaci di adeguarsi ai contesti sociali, che vivono con molta ansia. Uscire dalla routine, dai loro gesti meticolosi, vuol dire non sentirsi più al sicuro. Ed hanno sì grandi proprietà di linguaggio, ma di molto ridimensionate nell’uso sociale.
Attualmente, quindi, l’Asperger è considerato nel DSM come “disturbo dello spettro autistico di livello 1, senza compromissione intellettiva e del linguaggio associata”. Questo nuovo modo di considerarlo ha di buono che l’assistenza psicologica, prima negata per l’apparente mancanza di problemi, adesso viene fornita. Ma molti continuano a chiedersi se sia il caso di identificare nella stessa, le due diagnosi.
Però alla fine l’importante – dichiara la neuroscienziata cognitiva Francesca Happè – “è assicurarsi che gli individui siano descritti per i loro bisogni specifici anziché farli rientrare in ristrette categorie” e ad intaccare finalmente quel perenne senso di inadeguatezza, ricevendo la tanto agognata diagnosi.
(Angelica Giordano)