È da marzo che Ladispoli, località balneare tra Roma e Civitavecchia, è al centro di polemiche che hanno sconfinato la cronaca politica locale.
La questione è che il Sindaco di destra ha intitolato la piazza più grande della cittadina a Giorgio Almirante, capo storico del MSI, firmatario del Manifesto della razza durante il fascismo, nonché tra gli autori della rivista «La difesa della razza» voluta da Benito Mussolini.
Diciamo la verità, gli amministratori locali utilizzano da anni questi personaggi imbarazzanti non solo per tenersi vicine le compagini neofasciste (nella cittadina del litorale laziale sono presenti da tempo gruppi che fanno riferimento a Forza Nuova e Casapound), ma anche per comunicare il controllo del territorio marchiandolo ostentando spirito di rivalsa. Il messaggio è: Qui ora comandiamo noi!
A conferma di questo, l’inaugurazione della Piazza Giorgio Almirante era stata fissata nel giorno dell’anniversario dell’eccidio Fosse Ardeatine. Evidentemente una chiara provocazione! Le numerose proteste da parte dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, della Comunità ebraica e di tanti cittadini hanno costretto il sindaco di Ladispoli almeno a cambiare data. Alessandro Grando, eletto raschiando i voti di Fratelli d’Italia e salviniani, è comunque determinato a rivendicare quella matrice politica che fa riferimento al capo indiscusso di quella destra che nel dopoguerra italiano si ispirava ai valori mussoliniani. Purtroppo negli ultimi 30 anni in Italia la “destra che prende voti” non può fare a meno di accarezzare, non solo simbolicamente, i valori del fascismo: lo ha fatto in passato Berlusconi, lo fa chiaramente Salvini che sembra contiguo a Casapound, ma a singhiozzo anche il Movimento 5 Stelle.
Ma torniamo a Ladispoli. La cittadina – resa famosa nel 1980 da Carlo Verdone quando interpretava nel film “Un sacco Bello” un giovanotto impacciato che per ferragosto doveva assolutamente raggiungere la madre a Ladispoli e invece si invaghisce della giovane turista spagnola Marisol – oggi è nota per essere stata teatro della tragedia di Marco Vannini, il ventenne ucciso dal padre della sua fidanzata, il luogotenente della marina Antonio Ciontoli, e per la Piazza Giorgio Almirante.
Per me invece Ladispoli è sempre stato il “mare vicino casa”.
Per me Ladispoli era una Bottega del commercio equo Il Fiore, e Il Fiore era Aldo Piersanti. Aldo era un instancabile amico della nonviolenza e della pace, purtroppo scomparso qualche anno fa troppo prematuramente. La sua Bottega era un punto di riferimento culturale e sociale di chi sognava un futuro più amico di quello che stiamo vivendo oggi.
Non c’è sagra del carciofo che tenga: quando penso a Ladispoli c’è un demone che viene a ricordarmi gli anni che non torneranno più, i tempi “in cui ero felice ma non lo sapevo” perché magari troppo distratto dal lavoro di crescere.
Poi succede di incappare su una testata online locale che titola “Vincere e Vinceremo!” per poi leggere meglio “Oggi tutti allo stadio per spingere il Ladispoli verso la salvezza. Le donne entrano gratis.”
Premetto che credo di essere uno dei pochi italiani che non segue il calcio. Per cui ogni volta che mi imbatto in argomenti di calcio da una parte comprendo che è una roba che unisce e muove sentimenti forti, dall’altra mi sento un marziano. Non capisco come sia possibile tanto accanimento e soprattutto come tante persone possano tollerare quella subcultura che c’è intorno al tifo, la quale da anni ha sdoganato un linguaggio terribile, intriso di valori fascio bellicisti così espliciti.
“…se i rossoblu vincono, si garantiscono innanzitutto la possibilità di giocare lo spareggio dei play out in gara unica tra le mura amiche.” Mura amiche? Cosa è un assedio? Immagino che significa che giocheranno in casa. Nell’articolo, non mancano le solite epiche dell’Impero Romano: “Vogliamo un tifo da arena gladiatoria!”
I riferimenti militari come di consueto non disertano: “Tutti insieme strappiamo con le unghie e con i denti questa vittoria. Poi faremo i conti e capiremo se prepararci alla battaglia finale ai play out.”
“Alle 15 non prendete impegni, prendete moglie e figli ed accorrete allo stadio.” La frase rende bene l’idea se fosse riletta con la voce nasale da RadioGiornale dell’Istituto Luce: “Alle 15 non prendete impegni, prendete moglie e figli ed accorrete allo stadio.”
L’articolista nostalgico naturalmente si rivolge agli uomini, non perché le donne non sappiano leggere. Lo sappiamo tutti che le donne sono troppo impegnate nelle faccende domestiche e non hanno tempo di informarsi e soprattutto il calcio si sa, è una roba per soli uomini.
A conferma di questo machismo, c’è pure la scelta della società del Club di Ladispoli di far entrare le donne gratis.
Ecco quando leggo in giro “le donne non pagano” desidero l’avvento di una realtà distopica matriarcale. Mi immagino bombe incendiarie lanciate sulle discoteche da un’orda di amazzoni inferocite, e gestori dei locali dai capelli unti torturati con ripetuti shampoo all’aceto di mela verde. Ma a parte le mie fantasie estreme, non comprendo perché non ci sia davvero una sollevazione popolare di fronte a questi chiari messaggi: “se porti tette e il culo non ti facciamo pagare!”
Se ci fosse ancora un dubbio sulla chiara matrice fascista del pezzo calcistico, l’articolo chiude con il “Vincere e Vinceremo!” La famosa chiusa del discorso di Mussolini del 10 giugno 1940 che annunciava l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, a fianco alla Germania nazista.
In realtà basta leggere la cronaca sportiva di qualsiasi quotidiano e ascoltare la telecronaca di qualunque evento calcistico per comprendere che non è un caso isolato questo tipo di linguaggio. C’è poco da scandalizzarsi se poi nelle curve ci sono striscioni e cori dichiaratamente razzisti o fascisti.
Ciò che gira intorno al calcio di fatto rende esplicito quello che corre nella pancia della nostra società: razzismo, corruzione, sessismo.
Recentemente Fulvio Collovati è stato ipocritamente sospeso per aver detto alla trasmissione “Quelli che il calcio” quello che la stragrande maggioranza dei tifosi e dei club pensano delle donne e il calcio. Gli fanno eco le dichiarazioni orribili del giornalista Sergio Vessicchio nei confronti della guardalinee Annalisa Moccia, della sezione di Nola: “È uno schifo vedere le donne che vengono a fare gli arbitri in un campionato dove le società spendono centinaia di migliaia di euro, è una barzelletta della Federazione una cosa del genere. Eccola qui, la vedete: una cosa impresentabile“. L’elenco degli episodi di questo tipo potrebbe essere infinito.
I tempi che viviamo sono il prodotto della nostra tolleranza alla bruttezza. Sono sempre più convinto che la violenza, il razzismo e il fascismo si annidano dentro le nostre pigrizie, dentro la nostra incapacità di proporre linguaggi nuovi e di sognare un “futuro più amico”.
Forse perché distratti dal lavoro di crescere o da qualche turista spagnola.