I numeri dello spreco di pesce conseguente all’adozione dei sistemi industriali di pesca negli ultimi 65 anni, fanno impressione sono impressionanti. Su un totale di circa 5,9 miliardi di tonnellate di pescato in tutto il mondo, 437 milioni sono stati gettati in mare dopo una pesca nelle reti a strascico di superficie o di profondità, dopo l’uso di ami sospesi su lunghe file di lenze o peggio, con l’esplosivo. Si tratta di un controvalore di 560 miliardi di dollari. La mancata commercializzazione è dovuta al fatto che certe categorie, pur essendo commestibili e avendo un elevato contenuto nutrizionale, non rispondono ai canoni imposti dal mercato.
A fare i conti hanno pensato i ricercatori di Sea Around Us, iniziativa patrocinata dall’Institute for the Oceans and Fisheries della Columbia Britannica, che hanno pubblicato su Fisheries Research i dati ufficiali relativi alla pesca industriale e non, di tutti i paesi che si affacciano sul mare e averli incrociati con i numeri dello spreco (ufficiale e non), le specie di pesce, i settori di pesca nel periodo compreso tra il 1950 e il 2014.
Il risultato, riassunto anche in un documentatissimo filmato, è impressionante. In 65 anni, via via che i sistemi industriali di pesca si diffondevano (oggi rappresentano il 77% delle flotte, anche se pescano poco più di un terzo del totale: un sistema davvero poco efficiente), si ributtava in mare una la quantità di pesce ributtata in mare cresce costantemente. Nel complesso si raggiunge quota 750 milioni di tonnellate, il 60% dei quali provenienti da flotte industriali da sempre sostenute da sussidi pubblici (per un totale di non meno di 35 miliardi di dollari erogati). Per contro, i pescherecci locali hanno gettato solo (si fa per dire) il 23% del pescato.
Se il pesce buttato fosse riportato a riva e utilizzato, oltre a sfamare migliaia di persone e a contribuire a tenere vive le piccole flotte locali, avrebbe reso 560 miliardi di dollari e, per limitarsi alle specie più pregiate come i crostacei in generale, non meno di 200 miliardi di dollari.
È evidente che un sistema organizzato in questo modo non regge. Quando i banchi di pesce sono sempre più poveri, talvolta estinti, e quando la preoccupazione per lo stato generale del mare cresce di mese in mese. Inoltre, come accade per gli allevamenti intensivi, il sistema è fortemente sbilanciato verso le perdite, non produce guadagni netti perché costa molto di più di quello che rende, e sarebbe quindi già stato modificato, se non intervenissero i sussidi a tenerlo artificiosamente in vita.
Questo giovedì, Andrea Desideri e Federica Caliendo parleranno del mercato ittico e tutto ciò che è legato alla dimensione fra domanda e offerta di pesce. Appuntamento alle 11.30, in diretta sul nostro sito, con “Felici a Tavola”.
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