Cosa ci fa un’associazione che si occupa di distrofia in Palestina? Intervistiamo la dottoressa Maria Antonietta Cimmino, una delle protagoniste della Sezione provinciale di Caserta dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, coinvolta in una missione di cooperazione internazionale nella Striscia di Gaza e nei territori del West Bank
Gli attacchi franco-anglo-americani alla Siria, hanno occupato la scena mediorientale allontanando di fatto l’attenzione da altri fronti turbolenti di quell’area. Preoccupano le scelte irresponsabili di chi si comporta da padrone del mondo, violando ogni diritto internazionale, soffiando sul fuoco mediorientale già devastato da guerre, terrorismo e genocidi. Come nello stile che ci caratterizza, però, vogliamo focalizzare l’attenzione su chi, nonostante tutto, continua a seminare speranza. Per questo abbiamo raggiunto la dottoressa Maria Antonietta Cimmino, una delle colonne portanti della UILDM di Caserta, per farci raccontare la sua esperienza vissuta in una missione di cooperazione e solidarietà internazionale nei territori palestinesi.
Maria Antonietta è stata coinvolta come supporter alla attività di trainer del Direttore di Disabled People International Italia Rita Barbuto, in due progetti: We Work e Let’s Start up, attuati nei territori della Striscia di Gaza e West Bank. L’obiettivo dei progetti era quello di promuovere l’inclusione sociale delle donne con disabilità nei territori palestinesi, nonché promuovere iniziative di inclusive business attraverso la creazione e il supporto di imprese sociali che favoriscano l’occupazione e il self employment di donne con disabilità nella aeree di Nablus e Ramallah. Iniziativa che ha visto coinvolta la Rids (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo): composta da EducAid, da Aifo (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e DPI-Italia Onlus (Disabled People’s International).
Obiettivi ambiziosi in un territorio difficilissimo, che subisce da anni l’occupazione da parte di Israele in aree abitate da centinaia di anni dal popolo palestinese. Il racconto che ci fa Maria Antonietta sembra preso da una di quelle storie di fantascienza che descrivono una realtà distopica in cui si imprigionano due milioni di persone in un’enorme gabbia per oltre dieci anni, senza nessuna possibilità di uscita e senza speranza. Invece è la realtà e si chiama “Striscia di Gaza”.
Come è la condizione sociale delle persone che vivono nella Striscia di Gaza?
“La condizione sociale delle persone che vivono nella Striscia di Gaza è estremamente fragile. La preoccupazione più grande è la situazione sanitaria, la guerra impedisce la circolazione dei farmaci e la mancanza di energia elettrica, compromettendo ogni attività di assistenza; tali difficoltà compromettono maggiormente anche le condizione di salute ed assistenza delle persone con disabilità del posto. Il Lavoro delle Agenzie Onu e delle ONG è una delle poche cose che sta funzionando in questi anni, garantendo alle persone l’assistenza umanitaria necessaria in tali situazioni. È molto triste dover descrivere un territorio come Gaza, ormai un territorio invivibile; soprattutto nella zona dei campi profughi palestinesi, dove la situazione è molto critica. Il problema ambientale, il sovraffollamento e la difficoltà ad approvvigionarsi di materie prime e anche di beni primari quali l’acqua e l’energia elettrica rende la situazione preoccupante e ormai insostenibile sotto l’aspetto umanitario”.
Quali obiettivi sono stati raggiunti dai progetti di Cooperazione Internazionale?
“I due progetti hanno prodotto dei risultati eccellenti soprattutto per l’inserimento lavorativo delle donne con disabilità, le quali, grazie agli incentivi economici messi a disposizione dai progetti e alla formazione a cui sono state sottoposte, sono riuscite ad aprire delle attività (pasticceria, boutique, parruccheria…) nei propri territori e a raggiungere una indipendenza personale ed economica. È cosi migliorata, in una minima parte, la condizione sociale delle donne coinvolte e delle famiglie che le assistono. I due progetti continuano ad essere attivi anche dopo la nostra missione, grazie ai cooperanti che lavorano costantemente ogni giorno sul posto; sono delle opportunità pratiche per l’inserimento e l’autonomia sociale ed economica delle donne coinvolte”.
Che sensazioni hai provato parlando con le donne che vivono questa doppia o tripla discriminazione?
“Le sensazioni che ho vissuto sono state tantissime e diverse per molti aspetti, i quali mi hanno portato ad evidenziare fortemente la differenza tra la condizione della donna italiana e quella palestinese. Ho incontrato tantissime donne, ognuna con una storia diversa legata ad eventi discriminatori. Ho incontrato donne discriminate perché avevano scelto di intraprendere una carriera lavorativa, donne discriminate perche presentavano una disabilità e quindi considerate dalla famiglia dello sposo non idonee a prendersi cura della casa e dei figli, donne discriminate per il solo colore nero della pelle e pertanto impossibilitate a sposare un uomo di pelle bianca”.
C’è una storia che ti ha colpito maggiormente?
“La storia che maggiormente mi ha coinvolto è stata quella di una donna che ha deciso di diventare un avvocato, proprio come me. La stessa è stata considerata prima dalla sua famiglia (i suoi fratelli) e successivamente dalla società una donna che non avrebbe mai potuto essere una mamma ed una moglie premurosa per il solo fatto di essere una mamma/moglie che lavora. Tale condizione, di fatto, le impedisce di trovare un marito e di formarsi una famiglia! La realtà è legata alla mentalità che una donna con un ruolo sociale e lavorativo non sia capace di prendersi cura del proprio uomo, dei propri figli e della casa”.
Cosa pensi che possiamo fare come UILDM nel prossimo futuro per dare una mano?
“Noi, famiglia UILDM, possiamo fare molto, direi tanto, soprattutto partire dai nostri territori, dove assistiamo ancora a storie che vedono raccontare la donna come uno strumento, all’idea che una donna con disabilità non possa essere una donna emancipata, non possa trovare un lavoro ed essere una moglie ed una mamma. Dobbiamo lavorare affinchè si sedimenti la consapevolezza dell’emancipazione della donna con disabilità nella società, soprattutto per chi la vive sulla propria pelle”.
Come proseguirà l’impegno della Rids in quei territori?
“L’impegno Rids proseguirà con l’inizio di altri progetti che siano da continuazione a quanto già si sta facendo nei territori palestinesi, con la speranza che la condizione politica e sociale migliori affinché vengano poste le reali condizioni per un territorio favorevole”.
Chi ti conosce sa quanto impegno hai profuso per la UILDM Sezione di Caserta e grazie alla tua determinazione oggi siete forse la Sezione più “Giovane” in termini di partecipazione, soci e attività. Viviamo un momento storico dove la promozione della solidarietà, specialmente quella internazionale o verso persone straniere, non va molto di moda. Sembra che ci sia anche nei nostri contesti chi crede allo slogan “Prima gli italiani!”. Cosa c’entra la UILDM con queste organizzazioni di cooperazione internazionale e perché per te è importante agire per correre in aiuto a chi è vittima di discriminazione e subisce ingiustizie, fame e povertà fuori dai nostri confini?
“Prima di tutto forse non tutti sanno che la UILDM è un’associazione che da anni lavora a fianco della DPI Italiana, sia nei progetti di inclusione sociale delle persone con disabilità, sia per la promozione di iniziative volte al miglioramento delle condizioni di vita. Poi è importantissimo per me e deve esserlo soprattutto per tutti i giovani, fare qualcosa e agire perché viviamo in una società in un Paese che ha fatto passi importanti per superare tali discriminazioni ed ingiustizie. Abbiamo il dovere morale di migliorare la condizione di vita delle persone che incontriamo e che presentano una difficoltà. Dobbiamo sentire e fare nostro l’impegno di migliorare il mondo in cui viviamo. Dobbiamo essere accoglienti e solidali con le persone che scappano dai propri territori, rifugiandosi nei nostri, per la sola semplice ricerca di un luogo che garantisca loro serenità, tranquillità e la possibilità di realizzare una vita migliore. Spero che questo impegno possa essere di esempio soprattutto tra i giovani, i quali hanno l’importante compito di essere i governatori del domani e cambiare una società ingiusta che ad oggi sembra voler chiudere di proposito gli occhi davanti alle tragedie umane”.
Articolo di Massimo Guitarrini