La pellicola di Stephen Chbosky racconta l’universo di un bambino con deformità facciale alle prese con la sua prima esperienza in una scuola media. Nella nostra recensione, vi spieghiamo perché vale la pena vederlo.
Wonder è un film di Stephen Chbosky (regista anche di Noi siamo infinito), riadattamento cinematografico dell’omonimo e fortunatissimo libro di R.J. Palacio (pubblicato nel 2012). La storia narra l’universo di Auggie Pullman (Jacob Tremblay), bambino di 10 anni con una malformazione cranio-facciale dovuta a un difficile parto, nel quale “lui è il sole” e attorno a lui orbitano diversi pianeti o, meglio, persone e punti di vista.
Il centro della narrazione riguarda il desiderio di Auggie di voler affrontare il mondo della scuola media, la sua prima esperienza al di fuori della propria camera. Un allargamento dei suoi orizzonti nel quale il giovane è costretto ad affrontare gli sguardi inquisitori e accusatori dei propri coetanei, con l’ombra del bullismo e dell’isolamento sociale alle spalle. I suoi pensieri sono la prima dimensione dello spettatore su come il mondo giudica la diversità: il protagonista viene disprezzato, odiato e isolato, oltre che ritenuto un mostro e un portatore sano di malattie.
La storyline sembra procedere nel classico climax in cui l’eroe esce più forte di prima da una situazione totalmente negativa. Eppure, se Auggie è il centro del sistema solare dove ruota l’empatia della pellicola, all’appello mancano alcuni pianeti che vogliono dire la loro.
Come i genitori, Isabel (Julia Roberts) e Nate Pullman (Owen Wilson), preoccupati per la nuova sfida del secondogenito, mettendo in campo tutta la sincerità umana possibile, anche quando il giovane domanda se la diversità sarà sempre un dettaglio primario nella sua vita.
Abbiamo anche una sorella, Olivia “Via” Pullman (Izabela Vidovic), un perno fondamentale della famiglia, la figlia comprensiva che mette da parte il proprio ego mentre i suoi genitori si dedicano completamente ai bisogni di Auggie. Questo non senza delle ripercussioni nella vita adolescenziale della giovane, che spesso si trova a scontrarsi con una realtà ambivalente e stressante.
C’è poi Miranda (Danielle Rose Russell), l’amica d’infanzia della famiglia e coetanea di Olivia, alle prese con un burrascoso divorzio dei suoi genitori che la farà allontanare dalla dimensione del secondogenito Pullman, nonostante lei desideri ritornarci.
Ovviamente, ci sono i diversi compagni di classe della scuola media: c’è Jack Will (Noah Jupe), personificazione dell’amicizia vera, e Julian Albans (Bryce Gheisar), il bullo che tormenta il protagonista. E poi tanti altri piccoli pianeti che, nel quadro astronomico completo, consegnano svariati punti di vista su come viene inquadrata la diversità di Auggie.
Chiariamoci, l’argomento “diversità” è ormai all’ordine del giorno, grazie a un susseguirsi di produzioni cinematografiche e televisive. Inoltre, si potrebbe sostenere che Wonder abbia delle connotazioni simili a Dietro la maschera, film del 1985 basato sulla storia di Roy Lee “Rocky” Dennis, ragazzo con displasia cranio-diafisaria. Quindi, il rischio di vedere delle similitudini era dietro l’angolo. Fortunatamente, però, Chbosky non usa solo l’empatia emotiva, ma riesce a mettere in campo ironia e razionalità in un quadro così neutrale da consegnarci uno spaccato sociale e umano quanto mai attuale, tanto che negli Stati Uniti d’America la pellicola è stata vietata ai minori di 10 anni non accompagnati dagli adulti per la presenza di “bullismo e linguaggio forte”. Insomma, non si sono risparmiati.
Wonder presenta una sceneggiatura alternativa, volta a creare nello spettatore un ampio dibattito su come la diversità sia ancora il bersaglio privilegiato dell’ignoranza. La stessa autrice affermò che il romanzo nacque dopo che, in un parco, vide una famiglia allontanarsi con sdegno da una bambina con Sindrome di Treacher Collins: a certificare quanto la pochezza dell’animo umano sia ancora molto presente. Unica pecca il finale, quasi chiamato, su cui però lo stesso Auggie ironizzerà con una frase a effetto, ricordandoci che la diversità esiste. Fine.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante