La storia delle persone con nanismo sul grande e piccolo schermo non è mai stata rose e fiori: dai film del primo Novecento fino a oggi, tante personalità hanno fatto emergere un dietro le quinte complesso da vivere.
“Grazie al film Brutti e Cattivi ho avuto la possibilità di portare l’attenzione delle persone sul fatto che la disabilità non è una cosa per cui bisogna essere compatiti: abbiamo una vita come quella di tutti e possiamo fare tutto come tutti”. A parlare è Simone Martucci, noto ai più come Simoncino, fenomeno della rete nel 2002 con il brano Mente Malata e attore nel 2017 per la pellicola di Cosimo Gomez. Martucci è una persona con nanismo (un difetto staturale per il quale l’altezza non raggiunge i 130 cm nell’uomo ed i 125 cm nella donna) che si sta costruendo la propria strada nel mondo dello spettacolo, provando a emancipare la propria disabilità come caratteristica principale. Un esempio analogo lo abbiamo ne La Grande Bellezza (2013), film premio Oscar nel quale troviamo Giovanna Vignola, persona con nanismo e membro del Consiglio direttivo dell’associazione Insieme per Crescere, che interpreta la direttrice del giornale del protagonista. Ma di fatto, per un attore di bassa statura, emanciparsi nell’intricato universo dell’intrattenimento non è una questione semplice: nella storia del cinema, è sempre stato relegato a ruoli “fisicamente” congeniali, come gnomi, elfi o altre piccole creature del mondo delle favole.
Ad esempio, nel 1939, negli Stati Uniti d’America, l’acclamata pellicola di Victor Fleming, Il Mago di Oz, passava alla storia per aver fatto recitare il maggior numero di persone con nanismo di sempre: ben 124, che interpretarono tutte il ruolo dei Mastichini, gnomi che vivono nel paese di Oz. Se durante la proiezione, gli adorabili nani trasmettevano felicità e contentezza, lo scrittore Stephen Cox, nel suo libro The Munichkins of Oz, racconta un dietro le quinte molto più complesso: tra le pagine della sua opera, scopriamo che fu Leo Singer a comprare dai contadini poveri i loro figli con nanismo, per farli poi esibire in giro per gli USA. Un lavoro umiliante, a cui però Singer assicurava uno stipendio, vestiti su misura e un posto dove stare. Perciò, essere un individuo e un attore con nanismo nella prima metà del Novecento non era affatto semplice, complici i molti pregiudizi diffusi. In un’intervista del 1967 di Jack Paar (noto conduttore televisivo), l’attrice Judy Garland (la giovane Dorothy de Il Mago di Oz) li dipinse come “piccoli ubriachi” che si “sbronzavano ogni sera”, e mise in giro la voce che partecipavano a numerose orge negli hotel. A rincarale la dose, ci pensò Judy and I: My life with Judy Garland, autobiografia di Sidney Luft (terzo dei cinque mariti dell’attrice) pubblicata nel settembre 1992, nel quale l’autore afferma che Garland sia stata molestata ripetutamente da alcuni degli attori con nanismo. Una replica ufficiale arrivò nel 2009 da Margaret Pellegrini, una dei Mastichini, che al The Indipendent affermò che “c’erano molti a cui piaceva bere qualche drink, ma niente sfuggiva di mano. Non c’era violenza o altro di questo tipo”.
La questione del nanismo nel mondo dello spettacolo non finisce certo qui. Come abbiamo potuto già appurare, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, gli attori con nanismo recitavano in ruoli poco pagati, interpretando sempre le stesse umilianti parti. Nel corso degli anni, però, possiamo dire che qualcosa è cambiato, almeno nelle condizioni di lavoro, in quanto le discriminazioni e i pregiudizi restano ancora molto forti. Ma è anche grazie a questo mondo che le persone di bassa statura si sono potute incontrare e creare a Hollywood una delle comunità più numerose, contenente circa il 20% di quelle che vivono in tutto il paese.
L’Hollywood Report ha voluto approfondire meglio la questione, incontrando alcuni dei più noti attori con nanismo, a cominciare da Deep Roy, attore e stuntman keniota, famoso per aver interpretato da solo i 165 Umpa Lumpa ne La Fabbrica del Cioccolato di Tim Burton (2005) e di aver vestito i panni del robot C1-P8 e di un Ewok in Guerre Stellari – L’impero colpisce ancora (1980) e Guerre Stellari – Il ritorno dello Jedi (1983). La sua condizione è dovuta alla carenza dell’ormone della crescita, quindi, rispetto ad atri suoi colleghi, la sua faccia e il suo busto non sono più grandi delle altri parti del corpo. “Sono proporzionato – ha dichiarato a Hollywood Reporter – e per questo mi sento molto fortunato”. Parole che certificano un’altra forma di discriminazione, quella tra persone con nanismo, in quanto quelli proporzionati sono favoriti rispetto ad altri.
Un altro spunto di riflessione ce lo dà Warwick Davis, attore britannico con nanismo che ha recitato in Guida galattica per autostoppisti (2005), in alcuni Star Wars e in diversi film della saga di Harry Potter (curiosità: dopo Il Mago di Oz, Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 2 è il film che presenta il più alto numero di attori con nanismo). “Non nego mai di essere un attore basso – dice Warwick -, è sempre stato ed è tuttora un vantaggio competitivo”. Vantaggio che, però, molte volte risulta inutile, come nel film Un amore all’altezza (2016), dove l’attore francese di 183 centimetri Jean Dujardin interpreta una persona di bassa statura: “Da una parte direi che è sbagliato perché stai rubando il ruolo a un attore che è basso per davvero – commenta Wawick -; dall’altra capisco che tra gli attori bassi possa non esserci quello con le giuste capacità e caratteristiche”. Caso analogo capitò nel 2012, quando l’associazione no profit Little People of America accusò la Universal per non aver scelto attori con nanismo per interpretare i nani di Biancaneve e il cacciatore.
Un famoso attore che ha vissuto una doppia discriminazione è Tony Cox, l’elfo di Babbo Bastardo (2003): alla sua prima lezione di recitazione, l’insegnante gli disse che non solo la sua disabilità, ma anche la sua pelle nera gli avrebbe garantito solo ruoli in costume. “Ogni volta che esce un nuovo ruolo – continua a raccontare – c’è una competizione feroce perché non ce ne sono abbastanza per tutti. È terribile. E non sono per niente belli. La gente non capisce quello che dobbiamo passare”. Alla sua testimonianza si unisce Verner Troyer, principalmente conosciuto per il ruolo di Mini-Me nella serie Austin Powers che, dopo diversi problemi di alcolismo, si rimise in gioco nel 2015 con Gnome Alone: “Ero da un po’ che non mi offrivano ruoli – rivela -, così ho deciso di farlo e basta. Una volta mi offrirono un ruolo da supereroe, era troppo stupido anche solo a parlarne. In sostanza, dovevo uscire dal cappello di Abraham Lincoln e mettermi a salvare vite. Pensai: ‘Non importa quanto sono disperato, non lo farò’”.
Facendo un piccolo passo indietro nel tempo, troviamo Hervé Villechaize, attore francese di origini filippine che è ricordato per il suo ruolo di assistente di Mr. Roarke, Tattoo, nella serie televisiva Fantasilandia (1978-84) e per esser stato il cattivo Nick Nack in James Bond Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro (1974). Tra tutti, Hervé era noto per voler essere chiamato “persona di dimensioni ridotte” e non “piccola persona”. La sua figura sarà presto protagonista del film My Dinner with Hervé, pellicola di Sacha Gervasi, che verrà interpretata da Peter Dinklage, il più famoso attore con nanismo attuale, personaggio in controtendenza rispetto ai suoi colleghi.
Celebre per la sua interpretazione di Tyrion Lannister in Game of Thrones, Dinklage parla molto raramente della sua condizione, nel tentativo di creare più attenzione sulla sua carriera e valenza artistica. Un accenno al nanismo, però, lo abbiamo nel 2012: premiato con un Golden Globe proprio per la sua interpretazione nella creatura della HBO, Dinklage concluse il suo discorso citando Martin Henderson, persona paralizzata da quando un uomo ubriaco decise di prenderlo in braccio e lanciarlo secondo la pratica del “Lancio del Nano”, azione barbarica ancora in voga in certi bar e discoteche (potete averne un’idea guardando il film The Wolf of Wall Street).
L’attore statunitense, che non ha preso parte all’inchiesta di Hollywood Rerporter, mostra un’inversione di rotta importante verso l’emancipazione degli attori con nanismo, usando solamente le sue grandi interpretazioni cinematografiche, televisive e teatrali per elevare prima la sua figura di artista, e poi la sua condizione. Complice anche i tempi attuali, dove la disabilità è sempre più diluibile nel mondo dello spettacolo, Dinklage è il volto moderno dell’emancipazione, volta ad affermare le proprie qualità di attore, senza che la caratteristica sociale di individuo con nanismo metta un freno alla propria carriera lavorativa.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante