Dal 1° gennaio 2018 i consumatori dovranno dire addio ai sacchetti distribuiti gratis nel banco self-service di frutta e verdura dei supermercati. La nuova legge recepisce una direttiva europea (art. 9 bis d.l. n. 91/2017) e impone l’uso esclusivo di buste biodegradabili e compostabili (*) per la vendita di prodotti alimentari. Le nuove shopper – precisa la norma – non potranno essere regalate come avviene adesso, ma dovranno essere vendute e il prezzo va riportato sullo scontrino. Il legislatore prevede l’impiego di buste analoghe per il banco salumeria, del pesce fresco, della macelleria e della gastronomia. La multa oscilla da 2.500 a 25 mila € ma può arrivare a 100 mila €.
La questione è destinata ad avere un’ampia eco, perché il 66% degli italiani acquista la frutta e verdura al supermercato e oltre l’80% ritiene quella sfusa “più sana” rispetto a quella in vaschetta. Per comprare quella sfusa però occorrono i sacchetti che dal prossimo anno si dovranno pagare. Secondo una ricerca realizzata da Ipsos per Novamont la novità non dispiace al 58% degli italiani, che però ritengono equo pagare per ogni busta un importo massimo di 2 centesimi di euro, anche se il 13% si dichiara contrario e non è disponibile a sborsare denaro.
I problemi sollevati dalla nuova legge sono diversi. Il primo riguarda il prezzo. Ipotizzando un costo di 2 centesimi (quanto ritenuto equo dai consumatori intervistati) e considerando che una famiglia di 3 persone ne utilizza 50 al mese, la spesa mensile sarebbe di 1 €. Abbiamo chiesto alle catene di supermercati (Coop, Conad, Esselunga, Auchan, Carrefour…) quanto verranno a costare, ma nessuno ha voluto sbilanciarsi.
Sappiamo che i sacchetti di plastica per l’ortofrutta attualmente in uso e distribuiti gratuitamente costano al supermercato poco più di 1 centesimo di euro. Dal 1° gennaio queste buste saranno sostituite da quelle biodegradabili che costano 2 centesimi. Facendo i conti si scopre che alla fine la grande distribuzione ne trae comunque un vantaggio economico, perché copre i costi di acquisto dei sacchetti bio vendendoli, e non deve più accollarsi la spesa delle buste di plastica che prima distribuiva gratis. A questo punto le catene che decideranno di fare pagare più di 2 centesimi la busta avranno molte difficoltà a giustificare la scelta.
Il ragionamento che abbiamo fatto è semplice ma non bisogna dare nulla per scontato. I supermercati da anni applicano un pesante ricarico sulle shopper vendute alle casse, le comprano a 5 a 7 centesimi di euro e le vendono a 10-15! Considerando che il fatturato dell’intera filiera dei sacchetti supera i 300 milioni di euro l’anno, forse esiste anche un guadagno.
Un altro mito da sfatare è quello della fragilità dei sacchetti bio, che in realtà hanno caratteristiche del tutto simili a quelli di plastica. La resistenza dipende dallo spessore del materiale e non dalla materia prima. I consumatori devono pretendere dai supermercati di comprare sacchetti per l’ortofrutta biodegradabili con un buon livello di resistenza per poterli riutilizzare in casa come contenitori per il rifiuto umido.
Il riutilizzo è forse la novità più rilevante del provvedimento. Nelle città dove si pratica la raccolta differenziata dell’organico le persone comprano i sacchetti pagandoli 13-15 centesimi l’uno. Da gennaio sarà possibile utilizzare per l’umido di casa quelli dell’ortofrutta pagati 2 centesimi di € e, in alternativa, quelli venduti alle casse dei supermercati a 10 centesimi l’uno. Facendo bene i conti alla fine per molte famiglie l’operazione potrebbe risolversi in un vantaggio economico.
Una questione irrisolta riguarda l’etichetta del prezzo da appiccicare sul sacchetto, che adesso non è biodegradabile. La norma non dice nulla al riguardo, ma considerando lo spirito della legge europea votata alla salvaguardia dell’ambiente, è auspicabile l’uso di etichette compostabili di materiale simile a quello dei bollini presenti su alcuni marchi di banane e mele. Il problema non risolto riguarda sia la carta termica (che spesso contiene bisfenolo) e anche la colla adesiva a base acrilica non biodegradabile. Ci sono sistemi evoluti che usano carta senza supporto e senza bisfenolo, ma resta la questione della colla adesiva. A parer nostro le catene di supermercati devono modificare il sistema attuale e usare per le etichette del prezzo materiali il più possibile biodegradabili, eliminando i componenti tossici (bisfenolo) e riducendo al minimo la presenza di sostanza non biodegradabili, in attesa di migliorie tecniche su cui si sta lavorando. Utilizzare le etichette attuali sui sacchetti bio vuol dire renderli non più utilizzabili per la raccolta dell’umido a livello domestico. C’è chi pensa di toglierle ma è un lavoro inutile, perché il contenitore si lacera.
L’ultimo aspetto riguarda i consumatori convinti di poter portare da casa buste e sacchetti di carta o borse di plastica riutilizzabili vendute su Amazon o eBay. L’idea può essere interessante, ma le catene dei supermercati hanno fatto sapere di non gradire queste soluzioni, ma ne parleremo nella prossima puntata.
(*) Sacchetti e shopper per la spesa dovranno contenere almeno il 40% di materia prima da fonte rinnovabile. La percentuale salirà al 50% nel 2020 e al 60% dopo. Per i sacchetti destinati a venire a contatto con il cibo è richiesta l’idoneità alimentare.
A “Felici a Tavola” si commenterà il fatto che, da gennaio, i sacchetti che contengono l’ortofrutta saranno a pagamento. Inoltre, capiremo quali sono le avanguardie alimentari da tenere d’occhio. Non perdete l’appuntamento con la diretta: il giovedì dalle 11.30, sul sito.
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