Nella maggior parte degli alimenti la concentrazione di mercurio è al di sotto del limite di rilevabilità strumentale. Questo metallo può tuttavia contaminare alcuni cibi, come il rene e il fegato della selvaggina o i cereali e i funghi cresciuti in terreni inquinati.
La maggiore fonte di assunzione (70-90% del mercurio totale) è rappresentata dal pesce, in particolar modo da quello pescato in zone marine contaminate. Per questo motivo, le concentrazioni di mercurio negli alimenti ittici presentano un alto grado di variabilità, dipendente da vari fattori.
Pesci e molluschi sono considerati dei “serbatoi di mercurio”, anche se in realtà questo è vero solo in parte. Infatti, la maggior parte di questi organismi non subisce alcun avvelenamento imputabile ad alti livelli di mercurio. All’opposto, i mammiferi marini sembrano più sensibili.
D’altro canto, la quantità presente nei loro tessuti potrebbe costituire un problema per l’uomo che, pur avvalendosi anch’esso di un sistema di smaltimento fisiologico, non è altrettanto efficace/efficiente nell’eliminazione dell’inquinante. Peraltro, il mercurio contenuto nel pesce è spesso sotto forma di metilmercurio, un composto organico fortemente neurotossico particolarmente presente nelle creature che, come vedremo, si collocano al vertice della catena alimentare.
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