Vedere il bicchiere mezzo pieno: con ottimismo e positività, fra Desio e Monza, i primi barman con disabilità intellettiva lavorano a contatto col pubblico. Secondo alcuni, la felicità sta in un buon White Russian e lo sguardo compiaciuto del cliente. Ecco il progetto TikiTaka.
“Credo che ci voglia un Dio ed anche un bar”, canta Ligabue ma lo pensano in tanti. Qualcuno potrebbe dire che effettivamente è così: davanti a un buon cocktail possono nascere le migliori riflessioni e prendono vita i progetti più inaspettati. Un cartello, affisso in un bar (che non era il bar Mario), recitava: “Il vino ti fa male se lo bevi senza stile”. Quel tocco in più, spesso, lo dà il contesto. La compagnia, che cambia subito l’atmosfera: un bancone, quattro amici e il mondo cambia. Per questo, il bar è sempre sinonimo di inclusione. Siamo tutti uguali dopo l’ultimo bicchiere, bevuto responsabilmente, che non è solo un’etichetta.
Allora c’è chi decide di partire proprio da quel bicchiere in più, non per berlo, ma per vederlo mezzo pieno anche quando le avversità dimostrano il contrario. È il caso dei ragazzi con disabilità nei pressi di Desio e Monza, i quali – alla ricerca di un impiego – hanno deciso di diventare barman. Che poi è il supereroe di molti. Basta con le imprese, gli sport estremi, le traversate su due ruote, per alcuni la felicità sta in un buon White Russian e nel sorriso compiaciuto del cliente che, avendo sempre ragione, se ha gradito, lascerà la mancia. Ci sono anche le barlady, ovviamente, che danno quel qualcosa in più con la loro grazia ed eleganza al pari di un’oliva su un Manhattan. Così il concetto di disabilità pone l’accento effettivamente sull’abilità del singolo che, fino a quel momento, era dis-abituato (sempre per una mera questione di suffissi e desinenze) a vedersi inserito socialmente. Quindi, il progetto TikiTaka, finanziato dalla fondazione Cariplo, nasce con l’obiettivo di garantire accettazione sociale e inserimento nel mondo del lavoro attraverso la realizzazione del proprio percorso di vita e formazione. Dunque, le persone con disabilità trovano molteplici spunti che coltivano come un reticolato fra territorio e amministrazioni locali. Da qui il nome TikiTaka (che nel gergo calcistico allude a una fitta rete di passaggi ben calibrati).
Alle Friends Night di Desio, come baristi, c’erano persone con disabilità intellettiva che, a contatto col pubblico, non hanno sfigurato trovando la loro dimensione e qualifica. Mettersi in gioco è diverso da continuare a giocare, grazie a un gruppo di coprogettazione (Lab) sono stati creati i presupposti affinché questi ragazzi imparassero il mestiere e ottenessero un attestato professionale, guidati da un barman volontario che ha tenuto un corso di formazione per garantire loro la certificazione Haccp (necessaria per tutti coloro che sono a contatto con cibi e bevande). Questo gruppo di baristi ha dimostrato ampiamente di poter essere all’altezza delle aspettative, come spiega Valentina Ghetti, coordinatrice del progetto: “Ora, dopo il debutto delle persone con disabilità in alcune manifestazioni e festival fra Desio e Monza, si attende un vero e proprio collocamento in una sede lavorativa”.
La speranza è che non ci mettano troppo, che non sia l’ennesima promessa non mantenuta. Anche se, a giudicare dalle premesse, siamo sulla buona strada. Non servono necessariamente telecamere negli hotel per far integrare la disabilità in un contesto lavorativo, anzi. Molto spesso un attestato di stima arrivato nella più totale casualità e con la più spudorata naturalezza può rivelarsi più efficace e “salvifico” della ribalta. Perché ogni eccellenza si forma nella normalità di ogni singolo giorno, quando le luci sono spente ed è finito il Cointreau.
Articolo di Andrea Desideri